Gli azzurri sono tornati: pochi insulti e molta indifferenza

Mondiali
Andrea Pirlo e Simone Pepe sull'aereo per il mesto ritorno a casa della Nazionale
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Il 26 giugno è una data ricorrente per la Nazionale italiana. Nel 2006 il successo della svolta sull'Australia, nel 2008 il via al Lippi bis, oggi il mesto ritorno a casa. L'indifferenza ha preso il posto della speranza e dell'euforia. IL VIDEO E LE FOTO

di LUIGI VACCARIELLO
Da Malpensa

Il 26 giugno. C’è un filo magico, anche se in questo caso sembra più tragico, che lega Marcello Lippi e la Nazionale a questa data. Il 26 giugno 2006 è il giorno di Italia-Australia, la partita della svolta, quella che segnerà, con quel rigore nel finale procurato da Grosso e realizzato da Totti, l’indistruttibilità del gruppo forgiato dal ct toscano che a Berlino si proclamerà Campione del Mondo. Il 26 giugno 2008 è il giorno del ritorno. La Federcalcio liquida Donadoni dopo il ko nei quarti con la Spagna agli Europei e annuncia il Lippi bis. Il 26 giugno 2010 è il giorno del rientro casa dopo il tonfo sudafricano. Tre date, sempre lo stesso giorno. Tre stati d’animo differenti. Euforia, speranza e indifferenza. Già Indifferenza. Sentimento o emozione che non c’è, da sempre difficilmente accostabile alla passione italiana per la maglia azzurra. Quella che fa abbandonare uffici, rende le strade deserte nell’ora di punta e fa attaccare alla tv persino chi del calcio farebbe volentieri a meno. Perché la Nazionale è un’altra cosa.

Ma è proprio questa l’aria che si respira nello scalo milanese di Malpensa dove la seconda parte degli azzurri, quella del Nord (geograficamente parlando), ha definitivamente messo fine all’amara e triste esperienza mondiale. A Roma qualche tifoso ha espresso il proprio dissenso e dispiacere per quello che in molti reputano come il peggior tonfo della Nazionale di sempre. A Malpensa, crocevia dell’esaltante triplete nerazzurro, l’indifferenza regna sovrana. Per la prima volta ad attendere gli azzurri ci sono solo giornalisti, polizia e operatori aeroportuali. Qualche tifoso riesce ad infiltrarsi, ma il distacco è totale anche nei confronti di quei volti che solo qualche giorno fa erano pronti ad illuminarsi d’azzurro.

Il Volo Az 8081 partito da Johannesburg alle 22 di un venerdì notte d’inverno sudafricano, che aveva fatto scalo a Fiumicino alle 8, arriva al terminal 2 dell’aeroporto milanese con mezzora d’anticipo rispetto alle previste 10.45. Gli azzurri decidono di uscire da un varco secondario. Il numero 1, da sempre dedito al trasporto di merci e al rifornimento del carburante come tiene a precisare chi da quelle parti è di casa e della Nazionale non è proprio soddisfatto. Alla spicciolata entrano le prime macchine (non proprio delle utilitarie): sono quelle dei calciatori, che lontani dagli occhi indiscreti di cronisti e fotografi si salutano. Il primo ad abbandonare il gruppo è il vicepresidente federale Albertini, subito dopo è il turno di Gigi Buffon. Passano pochi minuti ed è il momento di Iaquinta, Camoranesi, Pirlo e Gattuso.

Vetri scuri e zero voglia di parlare. Intanto nel capannello che si è creato intorno ai cancelli c’è chi chiede, ironicamente, se vedremo sfrecciare anche Cassano o Balotelli. Ma questa magari sarà un’altra storia, speriamo un’altra favola che toccherà scrivere a Cesare Prandelli. Trascorrono i minuti, arriva un suv bianco, sul sedile posteriore c’è Federico Marchetti. Lui, che il Mondiale si aspettava di viverlo da spettatore privilegiato in panchina, invece si è trovato ad assaporarne tutta l’amarezza per l’infortunio a Buffon. Saluta tutti. La macchina si ferma, il portiere del Cagliari guarda fuori, ma il finestrino non si abbassa. Neanche lui ha voglia di parlare. Poco dopo sfrecciano via Maggio, Marchisio e Zambrotta che, nonostante 33 anni sul groppone e un’esperienza da fare invidia ad Altafini, lascia l’aeroporto accompagnato dai genitori, come a scuola. Ma non si tratta di una crisi di Peter Pan, l’esterno del Milan è solo di Como, non proprio Johannesburg. Per oltre 10 minuti non si vede più nessuno all’orizzonte. Ne manca uno all’appello. È Giorgio Chiellini: dopo quasi quaranti minuti di attesa anche il difensore bianconero abbandona la nave. Lo fa in silenzio, come tutti e nove i compagni che l’avevano preceduto. Tra l’indifferenza. Toccherà ora a Cesare Prandelli far rifiorire quell’entusiasmo che appartiene alla Nazionale e agli Italiani. Anche perché l’azzurro non è il colore dell’indifferenza, ma dell’euforia e della speranza.

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