Vicini: "Dopo il flop al Mondiale non serve una rivoluzione"
MondialiL'INTERVISTA. L'ex ct sostituì Bearzot in una situazione simile a quella che vedrà Prandelli succedere a Lippi: "All'Italia serve una fusione tra esperti affidabili e nuove leve. Cesare la farà ripartire, sperando che esploda qualche grande personalità"
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di Lorenzo Longhi
Il futuro, l’eterno ritorno dell’uguale. Da domani Cesare Prandelli sarà chiamato a ricostruire una Nazionale che, in quattro anni, è passata da un trionfo inatteso a una debacle fragorosa, dando inizio all’era post-Lippi. Come accadde ventiquattro anni fa ad Azeglio Vicini, cui spettò l’onere di succedere a Enzo Bearzot, vincitore in Spagna nel 1982 ma eliminato già agli ottavi da Messico ’86. Per questo non c’è nessuno di più indicato dell’ex ct azzurro per aiutarci a capire come la Nazionale può rinascere dalle proprie ceneri.
Vicini, lei allora come Prandelli oggi. Il paragone regge?
“Sì, se parliamo dei risultati ottenuti dalla Nazionale. Ma c’è una differenza importante, da contestualizzare”.
Dica.
“Io provenivo dai ranghi federali. Avevo partecipato già a cinque Mondiali collaborando con diversi ct, da Valcareggi a Bearzot. Era una politica che consentiva agli allenatori delle giovanili di vivere subito lo stress della Nazionale maggiore. Non accade più: i ct vengono da altri contesti e devono convivere con una situazione del tutto nuova”.
Quanto conta una federazione forte alle spalle del ct?
“Moltissimo. La Figc di allora aveva le spalle larghe”.
E questa?
“Forse non è forte come allora. Ma di sicuro ha piena fiducia in Prandelli. È ciò che conta”.
Oggi a Prandelli c’è chi chiede una rivoluzione. Lei dovette ricostruire la Nazionale, come fece?
“La mia fu una fusione, non una rivoluzione. Credo che Prandelli farà lo stesso”.
Spieghi.
“Bearzot aveva portato in Messico diversi giocatori che non c’erano nel 1982 e che diventarono importanti nella mia Nazionale: Ancelotti, De Napoli e Bagni cominciarono a fare esperienza già in Messico, come in Sudafrica hanno fatto ad esempio Montolivo e Bonucci. Io aggiunsi un gruppo di giovani e alcune chiocce, come Bergomi e, per i primi due anni, Cabrini e Altobelli. Credo che Prandelli attuerà una soluzione simile”.
I giovani, già: lei proveniva dall’Under21.
“Era una grande Under 21, aveva perso solo ai rigori la finale dell’Europeo con la Spagna. Zenga, Donadoni, Ferri, Mancini, Vialli...”.
Fu il blocco della sua Nazionale. Prandelli tuttavia non può contare su un’Under altrettanto forte.
“Qualche giovane interessante in Italia c’è. Ora si tratta prima di tutto di costruire un buon gruppo, aggiungendo alcune novità e qualche promessa a uomini di esperienza ed affidabilità, come possono essere Buffon, De Rossi e Chiellini. È il primo passo per creare una buona Nazionale”.
Poi?
“Poi basta poco: sono sufficienti tre giocatori di grande personalità e qualità per trasformare una squadra competitiva in una vincente. In quel periodo, in azzurro inserimmo Roberto Baggio e Paolo Maldini che stavano esplodendo”.
Oggi è il turno di Balotelli?
“Voglio essere onesto: quando esordì nell’Inter, pensai che alla sua età non avevo mai visto un giocatore così dotato. Da allora però sono passati tre anni. E il discorso è il medesimo, siamo ancora lì, alle potenzialità. Tocca anche all’Inter farlo giocare”.
A Lippi veniva imputata la mancanza di qualità. È questo l’errore che Prandelli non dovrà ripetere?
“Lippi ha dato fiducia a un gruppo di cui si fidava, uomini attaccati alla maglia. È una prassi che spesso paga: in Sudafrica non è andata così. Se parliamo di qualità, può capitare che in certi periodi storici un po’ difetti. Ma può sempre uscire un grande giocatore di qualità e personalità: il nostro calcio non è da buttare”.
Prandelli dovrà anche riconquistare l’affetto della gente. C’è una ricetta?
“Guardi, per la verità la Nazionale nel 2006 portò in piazza milioni di italiani a festeggiare, significa che l’amore c’era. Però la gente dimentica in fretta e questa eliminazione brutale ha chiuso il ciclo”.
La sua Nazionale piaceva alla gente.
“Ci rese simpatici la ventata di gioventù ed entusiasmo portata dall’innesto dei giocatori dell’Under: la stampa è in genere più indulgente con i giovani e ai tifosi non interessava se un giocatore fosse della Juventus, del Milan o dell’Inter. Era l’Italia e basta”.
Quanto tempo serve a un ct per costruire la “sua” Nazionale?
“Prandelli avrà due anni per preparare gli Europei, prima tappa in vista dei Mondiali. Fu così anche per me: fare bella figura agli Europei - noi arrivammo alle semifinali - sarà importantissimo anche sotto l’aspetto psicologico. Prandelli sarà in grado di far ripartire la Nazionale, a modo suo”.
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di Lorenzo Longhi
Il futuro, l’eterno ritorno dell’uguale. Da domani Cesare Prandelli sarà chiamato a ricostruire una Nazionale che, in quattro anni, è passata da un trionfo inatteso a una debacle fragorosa, dando inizio all’era post-Lippi. Come accadde ventiquattro anni fa ad Azeglio Vicini, cui spettò l’onere di succedere a Enzo Bearzot, vincitore in Spagna nel 1982 ma eliminato già agli ottavi da Messico ’86. Per questo non c’è nessuno di più indicato dell’ex ct azzurro per aiutarci a capire come la Nazionale può rinascere dalle proprie ceneri.
Vicini, lei allora come Prandelli oggi. Il paragone regge?
“Sì, se parliamo dei risultati ottenuti dalla Nazionale. Ma c’è una differenza importante, da contestualizzare”.
Dica.
“Io provenivo dai ranghi federali. Avevo partecipato già a cinque Mondiali collaborando con diversi ct, da Valcareggi a Bearzot. Era una politica che consentiva agli allenatori delle giovanili di vivere subito lo stress della Nazionale maggiore. Non accade più: i ct vengono da altri contesti e devono convivere con una situazione del tutto nuova”.
Quanto conta una federazione forte alle spalle del ct?
“Moltissimo. La Figc di allora aveva le spalle larghe”.
E questa?
“Forse non è forte come allora. Ma di sicuro ha piena fiducia in Prandelli. È ciò che conta”.
Oggi a Prandelli c’è chi chiede una rivoluzione. Lei dovette ricostruire la Nazionale, come fece?
“La mia fu una fusione, non una rivoluzione. Credo che Prandelli farà lo stesso”.
Spieghi.
“Bearzot aveva portato in Messico diversi giocatori che non c’erano nel 1982 e che diventarono importanti nella mia Nazionale: Ancelotti, De Napoli e Bagni cominciarono a fare esperienza già in Messico, come in Sudafrica hanno fatto ad esempio Montolivo e Bonucci. Io aggiunsi un gruppo di giovani e alcune chiocce, come Bergomi e, per i primi due anni, Cabrini e Altobelli. Credo che Prandelli attuerà una soluzione simile”.
I giovani, già: lei proveniva dall’Under21.
“Era una grande Under 21, aveva perso solo ai rigori la finale dell’Europeo con la Spagna. Zenga, Donadoni, Ferri, Mancini, Vialli...”.
Fu il blocco della sua Nazionale. Prandelli tuttavia non può contare su un’Under altrettanto forte.
“Qualche giovane interessante in Italia c’è. Ora si tratta prima di tutto di costruire un buon gruppo, aggiungendo alcune novità e qualche promessa a uomini di esperienza ed affidabilità, come possono essere Buffon, De Rossi e Chiellini. È il primo passo per creare una buona Nazionale”.
Poi?
“Poi basta poco: sono sufficienti tre giocatori di grande personalità e qualità per trasformare una squadra competitiva in una vincente. In quel periodo, in azzurro inserimmo Roberto Baggio e Paolo Maldini che stavano esplodendo”.
Oggi è il turno di Balotelli?
“Voglio essere onesto: quando esordì nell’Inter, pensai che alla sua età non avevo mai visto un giocatore così dotato. Da allora però sono passati tre anni. E il discorso è il medesimo, siamo ancora lì, alle potenzialità. Tocca anche all’Inter farlo giocare”.
A Lippi veniva imputata la mancanza di qualità. È questo l’errore che Prandelli non dovrà ripetere?
“Lippi ha dato fiducia a un gruppo di cui si fidava, uomini attaccati alla maglia. È una prassi che spesso paga: in Sudafrica non è andata così. Se parliamo di qualità, può capitare che in certi periodi storici un po’ difetti. Ma può sempre uscire un grande giocatore di qualità e personalità: il nostro calcio non è da buttare”.
Prandelli dovrà anche riconquistare l’affetto della gente. C’è una ricetta?
“Guardi, per la verità la Nazionale nel 2006 portò in piazza milioni di italiani a festeggiare, significa che l’amore c’era. Però la gente dimentica in fretta e questa eliminazione brutale ha chiuso il ciclo”.
La sua Nazionale piaceva alla gente.
“Ci rese simpatici la ventata di gioventù ed entusiasmo portata dall’innesto dei giocatori dell’Under: la stampa è in genere più indulgente con i giovani e ai tifosi non interessava se un giocatore fosse della Juventus, del Milan o dell’Inter. Era l’Italia e basta”.
Quanto tempo serve a un ct per costruire la “sua” Nazionale?
“Prandelli avrà due anni per preparare gli Europei, prima tappa in vista dei Mondiali. Fu così anche per me: fare bella figura agli Europei - noi arrivammo alle semifinali - sarà importantissimo anche sotto l’aspetto psicologico. Prandelli sarà in grado di far ripartire la Nazionale, a modo suo”.
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