Nell'ottobre del 2009, proprio contro il Perù, l'Argentina si trovò a giocarsi la qualificazione per il Mondiale in una partita dal finale epico. Sotto una pioggia torrenziale il 35enne Martin Palermo segna il gol decisivo nel recupero. E il Ct Maradona si tuffa nelle pozzanghere per la gioia
Se fosse ancora il Ct dell’Argentina, non abbiamo dubbi su chi Maradona non convocherebbe mai e poi mai (Icardi), così come possiamo immaginare a chi si affiderebbe anche bendato per una partita da dentro o fuori, vita o morte, come quella che la Seleccion si appresta a giocare contro il Perù. Martìn Palermo, per El Diego, è sinonimo di resurrezione quando ormai ti hanno fatto il funerale, il santo protettore delle panchine e patrono delle scivolate nelle pozzanghere d’acqua. Siamo certi che sorvolerebbe anche sulla carta d’identità che recita 44 anni tra un mese. I talismani non hanno età, la riconoscenza va oltre il tempo. D’altra parte ne aveva già 35 quando Maradona lo fece santo, mentre lui a petto nudo sfidava la tormenta urlando contro il cielo la sua gioia.
Anche allora, come oggi, Argentina-Perù era decisiva per la qualificazione al Mondiale dell’Albiceleste, quasi al termine di un girone schizofrenico e decisamente non all’altezza. E oggi, probabilmente, si giocherà con in mente quel precedente datato 10 ottobre 2009.
Un disastro firmato Maradona
Piove, sul Monumental. Ad essere precisi, è un vero e proprio diluvio quello che si abbatte sullo stadio di Buenos Aires, come se qualcuno dal cielo volesse lavar via tutti i peccati di un’Argentina capace di ridursi all’ultimo per centrare la qualificazione al Mondiale del 2010: l’Albiceleste, guidata in panchina da Maradona, viene da tre sconfitte di fila (Ecuador, Brasile, Paraguay), con appena 3 punti racimolati in 5 partite, perché nella galleria degli orrori non va dimenticato l’umiliante 6-1 incassato sui monti di La Paz, dalla Bolivia. Contro il Perù ultimo nel girone, in casa, la penultima giornata diventa decisiva per strappare l’ultimo pass disponibile per il Sudafrica. Brasile, Cile e Paraguay si sono già qualificate e nel pomeriggio l’Uruguay, sotto 1-0, ha rimontato l’Ecuador grazie ai gol di Suarez e Forlan (al 92°), prenotandosi il quarto posto. L’Argentina deve innanzitutto vincere con il Perù per riprenderselo, per poi difenderlo all’ultima giornata proprio nello scontro diretto contro l’Uruguay. Solo così si va al Mondiale.
Le premesse non sono le migliori, ma un gol di Higuain all’inizio della ripresa sembra indirizzare le cose nel verso giusto per Maradona e i suoi. Poi, però, inizia a gocciolare e l’Argentina pian piano sparisce dal campo: Higuain spreca un paio di occasioni buone per chiuderla, alimentando le voci che lo vogliono poco decisivo nei momenti decisivi; Messi vaga nella pioggia come un fantasma, confermando i dubbi di chi non lo ritiene capace di caricarsi sulle spalle la Nazionale. Quando Maradona ormai pensa di averla comunque sfangata, il diluvio che scende dal cielo si fa all’improvviso doccia gelata. Al 90° il Perù fa 1-1, l’Argentina ha un piede e mezzo fuori dal Mondiale per la prima volta dal 1970. Un disastro, su cui la prima firma è proprio quella del suo figlio prediletto, ora Ct.
Preghiera a San Palermo
Qualcuno raccoglie il pallone dal fondo della rete e lo riporta a metà campo con la verve di uno zombie, Diego se ne sta impietrito a bordocampo, una statua di sale sotto la pioggia battente: intanto il quarto uomo mostra il cartello che segnala due minuti di recupero. La Seleccion si getta in avanti senza più nulla da perdere, assedia l’area peruviana, ci fa piovere palloni senza una strategia vera e propria, se non quella di sperare che accada qualcosa. E, alla fine, qualcosa accade sul serio. Anzi, qualcuno.
Minuto 92 e 3 secondi. Corner dalla destra, saltano tutti ma nessuno azzecca la deviazione vincente; controcross dalla sinistra di Di Maria spizzato dalla difesa; nuovo tentativo dalla destra, con Federico Insua che stavolta mette in mezzo un rasoterra teso accompagnato da una preghiera. A raccogliere entrambi, dopo che la palla ha cambiato direzione un paio di volte carambolando tra i piedi dell’area intasata, c’è il 35enne Martin Palermo, entrato in campo qualche minuto prima e appostato sul palo più lontano, come se sapesse che in quel punto preciso si sarebbe compiuto il suo destino.
Tre rigori e una provetta
Lui, Martin Palermo, l’uomo che ha scritto il proprio nome nel libro dei record per i tre rigori falliti in una partita sola, contro la Colombia nel 1999, al termine della quale leggenda vuole che l’addetto all’antidoping si sia impietosito a tal punto da rinunciare a ritirare il suo campione di urine, perché “questo qua oggi non centra nemmeno la provetta”. Lui, l’uomo che solo qualche giorno prima aveva segnato contro il Velez un altro gol da record, da quaranta metri. Ma di testa. Lui, quel Martin Palermo che, dopo la doppietta nella finale di Intercontinentale del 2000 con cui aveva steso il Real Madrid, aveva tentato – fallendo – l’avventura in Europa (Villarreal e Betis), per poi tornare nel suo Boca Juniors e diventare il miglior marcatore della storia del club. Sempre lui, l’attaccante che lo scrittore argentino Martin Caparros descrisse come “un canto di speranza, il vessillo di noi che non abbiamo mai avuto nessun talento particolare, la dimostrazione che tutti possiamo farcela”. Perché “è facile trionfare se si è Messi. Quello che è difficile, meritorio, incredibile è vincere essendo Palermo”. Lui, quello che si presentò al Boca tinto di biondo platino, dopo aver posato vestito da donna per Olè e che in campo – è sempre Caparros che parla – “fa lo sgambetto alla sua ombra, cade, si scontra con se stesso, muove le sue lunghe gambe come chi sposta un pianoforte, fa un assist a un uccello nel cielo. E quando fa un passaggio e il passaggio arriva a destinazione, le tribune respirano di sollievo”. Ci voleva uno più matto di lui per riportarlo in Nazionale 9 anni dopo l’ultima apparizione. E quel matto esisteva davvero.
Un mano dal Cielo
Gli attimi immediatamente successivi al tocco da due passi di Palermo sono momenti di delirio collettivo assoluto che solo il calcio sa regalare, consumati sotto una pioggia che all’improvviso è passata da punizione divina a doccia catartica. Martin Palermo, strappatosi via la maglia di dosso, urla a petto nudo contro la tormenta; Maradona entra in campo approfittando delle pozzanghere e si lancia, pancia a terra, scivolando a mo’ di aeroplanino, ridendo da solo, felice come un bambino.
I due matti si ritroveranno in un lungo abbraccio a fine partita, quando il Pibe lo farà santo ripetendo come una preghiera “E’ stato un miracolo di San Palermo”, ma muovendo allo stesso tempo qualche critica al Padreterno per i tempi con cui si era manifestato: “Il Barba (lo chiama proprio così, ndr) a un certo punto si è ricordato di rivolgere uno sguardo al Monumental, e quando ha visto il Perù pareggiare ha deciso di non lasciare che l’ingiustizia si realizzasse”. Possiamo chiamarla una “mano de Dios”, Diego?
In conferenza stampa, il Ct ancora fradicio di pioggia e di gioia svela ai cronisti di aver fatto entrare in campo Martin Palermo dicendogli semplicemente: “Vai e risolvi questa 'storia' come hai già fatto tante altre volte”. “Lui – continua Maradona – mi ha risposto 'come faccio?', e io gli ho chiesto di giocare in una posizione avanzata”. Il calcio è uno sport semplice.
Altre imprese da record di Martin Palermo:
In gol di testa da 40 metri
Come sbagliare 3 rigori in una partita sola
Epilogo
Alla fine l'Argentina batterà anche l'Uruguay (1-0, gol di Bolatti, un altro a cui Maradona farebbe una statua) e si qualificherà per il Mondiale del Sudafrica, dove deluderà le aspettative uscendo ai quarti di finale, umiliata dalla Germania. Il Ct Maradona, naturalmente, trova un posto tra i 23 convocati per Martìn Palermo, che si toglierà anche la soddisfazione di un gol nel 2-0 alla Grecia, nel girone: entrato in campo all'80°, al minuto 89 fa gol. Chissà cosa gli aveva detto El Diego quella volta.