Stasera il portiere del River Plate potrebbe sostituire Caballero, dopo una carriera difficile passata soprattutto in Colombia
Nella conferenza stampa prima della fondamentale sfida con la Nigeria di stasera, Sampaoli ha comunicato di aver chiara la formazione che schiererà, ma di non volerla comunicare ai giornalisti perché non l'aveva fatto neppure con i giocatori. Al suo fianco c’era Franco Armani, il portiere che sembra al momento l’unico certo del posto da titolare, insieme a pochi altri, tra cui Messi e Mascherano.
La sopraggiunta titolarità del portiere del River Plate è comunque eloquente dell'attuale stato psicologico di Sampaoli, che in un colpo solo darà finalmente ascolto alla vox populi, che voleva Armani tra i pali già dall’inizio del torneo; schiererà un calciatore al suo esordio assoluto con l’Albiceleste (e l’insperienza sembra quasi una nota di merito, in questo momento, per chi rappresenta la Selección); infine, promuovendo titolare Armani disattenderà una delle sue convinzioni principali, su cui ha edificato tutto l’impianto (poi imploso) della sua formazione tipo in Russia, e cioè che il portiere debba essere in primo luogo bravo con i piedi: una caratteristica che, in realtà, non appartiene troppo ad Armani (ma forse neppure a Caballero, e comunque secondo Ubaldo Fillol non dovrebbe proprio essere prioritaria). Come per un segno del destino, Armani ha molti punti di contatto con Sampaoli. Entrambi sono nati a Casilda, nel santafesino, ed entrambi si sono affermati fuori dall’Argentina: in Cile Sampaoli, in Colombia Armani, che dopo alcune stagioni interlocutorie e mediocri in Argentina, ormai venticinquenne, si è trasferito all’Atlético Nacional per vivere sette anni indimenticabili, costellati da titoli e affermazioni. Tanto che Pékerman, a un certo punto, gli ha anche proposto di naturalizzarsi colombiano per avere l’opportunità di convocarlo con i “Cafeteros”.
Per Armani l’affermazione tardiva tra i pali del River Plate, con cui ha giocato l’ultimo semestre, è il risultato di una carriera costruita con perseveranza e fede, più che fiducia, nei suoi mezzi. Quando era al Nacional, dopo aver vissuto qualche stagione nell’ombra del titolare Gastón Pezzuti, si è rotto il legamento crociato del ginocchio nella prima partita in cui era schierato titolare. «Dio ha voluto dirmi, con quell’infortunio, “Non andartene dal Nacional, ti aspettano grandi cose”». Forse Franco Armani è davvero il tipo di persona - più che di giocatore - che serve in questo momento buio per l’Argentina: uno che crede ai miracoli, alla fede, ai segnali divini. Essere il numero uno dell’Albiceleste oggi, in questo momento complicato, è un compito delicato: Armani si è presentato però sicuro di sé, dicendo che si sente «in grado di giocare con i piedi», come a voler assecondare le fissazioni del suo CT, e rassicurare i tifosi. In effetti il portiere del River Plate non si prende mai troppi rischi, gioca a un tocco sul difensore e si lancia in sventagliate - comunque precise, grazie a un destro sufficientemente educato - solo quando strettamente necessario. Armani, però, non aderisce al profilo dello sweeper-keeper tipico del calcio moderno, proprio perché le sue skills principali sono quelle del portiere old school, plastico nonostante la mole imponente, concreto ma senza disdegnare la spettacolarità, soprattutto quando interviene utilizzando la mano di richiamo.
Non sempre stilisticamente ed esteticamente impeccabile, Armani è però totalmente reattivo: spesso inscena sequenze di interventi con una rapidità di movimento che fa somigliare le parate in partita all’applicazione pratica di un allenamento (l’anno scorso, in una partita di Libertadores contro il Rosario Central, ha respinto il pallone via dai suoi pali tre volte in cinque secondi). L’ultima volta che ha raccolto il pallone dalla sua rete è stata addirittura il primo aprile: nel semestre con il River Plate ha collezionato dodici porte imbattute su venti partite giocate, respingendo 49 dei 59 tiri subiti, mantentendo l’imbattibilità per 619 minuti. Bisognerebbe capire se avrà una personalità sufficientemente solida per resistere come l’albero maestro di un vascello nella tormenta. Di certo ha il physique du rol: quando è tra i pali Armani sembra capace di ingigantirsi, di sovrastare compagni e avversari nel gioco aereo, e di respingere qualsiasi pallone transiti nell’ampiezza dei pali, che copre estendendosi con tutto il corpo per raggiungere angoli inattesi, grazie a riflessi sublimi.
Quando Franco Armani indosserà per la prima volta la camiseta Albiceleste saranno passati esattamente quarant’anni e un giorno dalla storica vittoria dell’Argentina al Mundial ‘78. Il portiere di quella Selección era Ubaldo Fillol, che giocava con il River Plate e aveva esordito, quattro anni prima, da debuttante assoluto subentrando alla terza partita (della seconda fase a gironi) dell’Argentina ai Mondiali tedeschi. Il medesimo destino toccato a Sergio Goycoechea, altro estremo difensore di scuola “Millonarios”, che esordì nel terzo match di Italia ‘90 per contribuire a trascinare i suoi fino alla finale. Chiaro che si tratti solo di coincidenze evocative. Ma per Sampaoli, ora come ora, oltre la tattica, oltre il trasporto emotivo, anche affidarsi alla cabala può sembrare una strategia plausibile.