La storia e le caratteristiche di Nahitan Nandez, il centrocampista dell'Uruguay che si sta dimostrando come una delle più grandi rivelazioni di questi Mondiali di Russia
Nonostante il gioco del calcio si sia evoluto al punto da essere diventato un’esperienza completamente differente da quello delle origini, dal punto di vista atletico, estetico e filosofico, con una velocità incontrollabile che riproduce quella dell’avanzamento tecnologico, resistono comunque alcuni elementi di continuità. Soprattutto sul piano emotivo, fili a piombo che in qualche modo ci riportano al suo stadio primordiale. Una di queste costanti è la dedizione completa, l’abnegazione portata all’estremo, fino al superamento dei propri limiti, da parte dei calciatori: ogni quattro anni ci ricordiamo della sua esistenza quando vediamo scendere in campo l’Uruguay, e spolveriamo - estraendolo dallo scatolone in cui teniamo quei concetti ormai logori - le parole garra charrúa.
Se dovessimo spiegare il concetto di garra charrúa a un ragazzo, o ragazza se è per questa, rapita dagli alieni in giovane età e liberata da poco, avremmo un esempio di grande attualità, che viene dal Mondiale russo del 2018, vale a dire il tackle di testa di Nahitan Nandez contro la Russia.
Non si hanno testimonianze della garra charrúa prima della famosa espulsione di José Batista dopo neppure un minuto nei Mondiali messicani dell’86. Per quanto abbiamo l’impressione che faccia parte dell’Uruguay da sempre (la “Celeste” di Obdulio Varela e José Andrade aveva questa garra? Probabilmente no) e che sia una costante anche della squadra che è arrivata a giocarsi un posto in semifinale in Russia, va sottolineato anzitutto come questo Uruguay sia dovuto cambiare rispetto alle ultime uscite.
Il ricambio generazionale era inevitabile (seppur non scontato) rispetto a quella generazione dorata che è arrivata quarta in Sudafrica nel 2010, ha vinto la Copa América l’anno successivo e si è spinta fino agli ottavi in Brasile nel 2014. Nahitan Nandez è uno dei caudillos della nouvelle vague, forse il più sottovalutato (rispetto a Bentancur, De Arrascaeta o Torreira) eppure in qualche modo, il più insostituibile nelle intenzioni di Tabárez. Ed è quello che più di tutti continua la tradizione della garra, seppur in un’interpretazione lontana dagli stereotipi. Una garra, cioè, che non è semplice grinta incosciente, un dinamismo animalesco che è il contrario dell’intelligenza calcistica.
Ex capitano dell’U20, Nahitan Nandez è il punto di congiunzione tra la visione 1.0 e quella 2.0 del centrocampista uruguayano, uno dei volani che potrebbe toglierci dalla retorica della garra senza negarla (come in parte fa Bentancur, che ha uno stile molto raffinato) ma in qualche modo aiutandoci a sorpassarla. Nandez è abile nel recupero palla, anche a costo di doverci mettere la testa (e il tackle di questo Mondiale non era la sua prima volta); ma è anche dotato di tutta la tecnica necessaria per non perderla, la palla, e quindi perfetto nell’interpretazione di entrambe le fasi di gioco.
L’esordio di Nahitan in Nazionale, tre anni fa, vale già di per sé come un piccolo compendio del suo stile di gioco.
Nandez è molto di più di un semplice distruttore di manovra: è un centrocampista moderno, ultradinamico, capace di recuperare rapidamente il possesso attraverso un’applicazione costante del pressing (mostrando anche ottime qualità decisionali, quindi cognitive), e a un’accelerazione, grazie a doti atletiche non indifferenti. Ma, come detto, una volta recuperato il pallone, sa anche come giocarlo.
Nella gara degli ottavi contro il Portogallo è stato l’uomo che dopo Suárez ha tentato più duelli offensivi (10) e dribbling (5). In media recupera 10 palloni a partita, senza paura di involarsi subito dopo verso la porta avversaria, anche in virtù di una specie di cosciente spericolatezza. Un giocatore che non perde mai l’agonismo, ma che ha trovato la chiave per farlo diventare parte dell’armonia del reparto, e del suo stile di gioco.
Il gioco di Nahitan Nandez è la storia della sua evoluzione: nella sua pur breve carriera, spesa tra Peñarol (del quale è stato il più giovane capitano della storia) e Boca Juniors in Argentina, oltre che nella Celeste, è stato centrale difensivo, laterale di centrocampo (come nella gara d’esordio contro l’Egitto), volante difensivo de doble cinco («all’inizio» ha raccontato «davo calci come un pazzo, ma perché arrivavo sempre in ritardo») e volante de juego, ma anche enganche e mezzala. Una poliedricità, e uno spirito di adattamento, che ne testimoniano al tempo stesso la modernità e l’aderenza alla tradizione.
Nahitan Nandez è il perfetto eroe per caso: in bilico tra un carattere fumantino (per una rissa in Libertadores si è guadagnato un Daspo di due mesi dalle tribune degli stadi) e scaramanzie molto tenere (porta sempre con sé due elfi che gli ha regalato la madre e che fa baciare ai compagni prima di scendere in campo), la sua leadership silente potrebbe rappresentare per il calcio uruguayano una via nuova, un nuovo corso.
«Bisogna essere duri, ma senza perdere la tenerezza». È una frase del Che Guevara, che piace molto a Oscar Washington Tabárez, e che sembra appartenere anche a Nandez, quando esce in maniera lucida e pulita dal pressing avversario. Affrancandosi, casomai, anche da qualcosa di più grande degli avversari, e cioè dai cliché.