Miti Mondiali: de la Cruz, lo sconosciuto supereroe incubo del Trap

Mondiali

Vanni Spinella

combo3

Nel 2002 l'Italia capita nel girone con l'Ecuador. Alla vigilia della sfida il Ct spaventa l'intero Paese descrivendo il terzino destro avversario come un fenomeno e rivoluziona il modulo per arginarlo: è psicosi, finché non lo vediamo all'opera...

«Il più forte giocatore italiano? Cafù. Come dite? Ah, non è italiano?» Resta l’amletico dubbio, ci era o ci faceva?, ma due indizi ci fanno propendere per la seconda ipotesi. Il primo: il nome, Ulises, biglietto da visita mica male che evoca astuti raggiri ed epici trucchetti mentali. Il secondo: una certa attitudine alla presa in giro, in particolare nei confronti di noi italiani. Per un paio di settimane infatti, nell’estate 2002, Ulises de la Cruz fu l’incubo del nostro Ct Giovanni Trapattoni, che pensò bene di trasferire la propria fobia a tutta la popolazione.

Alla vigilia del Mondiale di Giappone e Corea siamo capitati nel girone con Ecuador, Croazia e Messico, esordio fissato il 3 giugno contro i sudamericani. L’Ecuador è alla sua prima partecipazione Mondiale, una nazionale senza una particolare storia alle spalle fatta di tanti buoni elementi ma nessun fenomeno, si dice in questi casi, ma solo per mostrare il dovuto rispetto. L’unico nome che ci può risvegliare qualche ricordo è Ivan Kaviedes, una manciata di presenze nel Perugia 98/99; per il resto, una squadra di volenterosi ragazzi che militano nel campionato ecuadoregno e di cui nessuno ha mai sentito parlare. A trasformarne in fenomeno uno di loro è proprio il Trap, che sulla base di non si sa quale filmato visto, recensisce il buon de la Cruz come un supereroe. È la supervelocità, nello specifico, la sua arma segreta, quella a cui dovrà prestare attenzione l’Italia. Bloccato de la Cruz si blocca l’Ecuador, ma per bloccarlo devi prima acchiapparlo. In breve si diffonde la psicosi, delacruz diventa il nome sulla bocca di tutti. E a far ancora più paura è proprio il fatto che nessuno l’abbia effettivamente visto all’opera.

Mentre noi ci strappiamo i capelli di fronte alla sfortuna di essere capitati nel girone con l’Ecuador di de la Cruz e non in quello del Brasile di Ronaldo (o della Corea del Sud: beato chi ha beccato la Corea del Sud!), lui risponde lusingato da tanta popolarità che rispetta l’Italia, che «sono io che devo pensare a marcare gli italiani, non gli Azzurri che devono preoccuparsi di me», che l’Ecuador proverà a vincere ma l’Italia è favorita perché ha grandi giocatori e altre banalità del genere, culminate in quel "Cafù" quando gli chiedono quale sia il suo giocatore italiano preferito. Questo non sa veramente in che girone è capitato. Oppure sta facendo l’Ulises…

Intanto Totti – Totti! – lo definisce “molto forte” (probabilmente il Trap gli ha passato il dvd), mentre Doni rassicura gli italiani con una battuta: «Se parte gli sparo», per poi riportarci alla ragione: «Misure speciali per De la Cruz? Ma quando partiranno Doni e Maldini, allora, chi ci penserà? De la Cruz spinge molto, ma siamo preparati, e anche loro dovranno preoccuparsi di noi».

Il guaio, come dicevamo, è se a cascarci è il Ct. Trapattoni per l’occasione stravolge il modulo, trasformandolo in una gabbia per arginare quel terzino destro di spinta che è meglio non far scappare, prima di essere costretti a sparargli. Chissà poi come fanno nel campionato scozzese, dove ha giocato nell’ultima stagione (nell’Hibernian), dopo aver vestito le maglie di Cruzeiro (4 partite), Barcelona (quello di Guayaquil, in Ecuador) e LDU Quito. Ad ogni modo, l’Italia che solitamente rimbalza ogni avversario forte del suo muro a 3 (Cannavaro-Nesta-Maldini) per l’occasione si schiera con il 4-4-2 con il pistolero Doni esterno sinistro di centrocampo con licenza di stendere il Cafù di Quito.

Finisce 2-0 per gli Azzurri, discorso chiuso nel primo tempo, perché l’Italia in attacco ha Bobo Vieri (doppietta) e l’Ecuador ha Agustin Delgado (con Kaviedes in panchina). Morale: il calcio, a volte, è più semplice di quanto si creda. E de la Cruz? Dopo essere stato un “mito” Mondiale per una settimana, verrà eliminato al primo turno ma si guadagnerà un contratto con l’Aston Villa, dove resterà per 4 stagioni facendo spesso e volentieri panchina. Poi Reading e Birmingham, prima del ritorno in Patria dove sfrutterà al meglio la popolarità che gli aveva regalato il 2002, e il Trap in particolare. Lo farà buttandosi in politica e investendo buona parte dei suoi guadagni nel miglioramento delle condizioni del suo villaggio d’origine, Piquiucho. «Con i guadagni dei Mondiali del 2002, finanziai 18 km di canali per l’acqua e un sistema di depurazione, mentre qualificandoci per il secondo turno, nel 2006, trovai i fondi per un centro sportivo», può raccontare oggi de la Cruz. Se lo sapesse il Trap, tirerebbe fuori un proverbio dei suoi.