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I tormentoni dei Mondiali 2006

Mondiali

Ci hanno accompagnato durante quel magnifico viaggio, sono rimasti nella memoria collettiva e oggi fanno parte della cultura popolare. Impossibile non associare certi tormentoni a quella magica estate. Nella settimana che Sky Sport dedica alle imprese del Mondiale 2006 li rispolveriamo per calarci al meglio nell’atmosfera

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Fu l’estate in cui, in un certo senso, nacque un linguaggio. Capace di accomunare tutti gli italiani, tifosi e non, perché trovatene uno che non abbia mai canticchiato il popopopopò o chi non conosca Kannavaro, nella sua versione con la K. Ancora oggi, quando ripensiamo al Mondiale 2006 o ne parliamo con gli amici, è inevitabile: prima o poi qualcuno se ne uscirà con un “Andiamo a Berlino, Beppe!”. Ancora oggi li chiamiamo "tormentoni": ma è sicuramente un piacevole tormento.

 

Popopopopò

Per noi italiani è diventata la canzone del “Popopopopò”, in realtà si tratta del motivo di “Seven nation army” dei “White Stripes”, tornato improvvisamente di moda come coro da stadio con cui venivano accompagnate le vittorie della Nazionale. Incredibilmente appropriata, se si pensa che la canzone inizia con le parole “Li scaccerò / Un esercito di sette nazioni non mi fermerà”: sette, come le squadre affrontate dall’Italia per arrivare al successo finale. A distanza di anni il tormentone è ancora attuale, rispolverato da tifosi di ogni nazionalità e sport per festeggiare in compagnia.

“Siamo una squadra fortissimi”

Un testo volutamente sgrammaticato, una melodia che cattura l’orecchio e il tormentone è pronto: la canzone di Checco Zalone ci accompagna fino alla vittoria e oltre, diventando persino un singolo di successo, una hit capace di rimanere per cinque settimane in vetta alle classifiche, anche con il Mondiale già alle spalle.

Chiudete le valigie, andiamo a Berlino

A fine Mondiale, quell’ “Andiamo a Berlino” diventerà anche il titolo del libro in cui Fabio Caressa racconterà la sua, che poi è stata anche la nostra, avventura Mondiale. Alessandro Del Piero ha appena finalizzato un’azione da manuale con cui l’Italia, allo scadere dei minuti supplementari e già avanti 1-0 grazie al gol di Grosso, mette il sigillo sulla vittoria contro i padroni di casa della Germania. Non c’è più tempo per le speranze tedesche, non c’è più motivo di essere cauti o scaramantici: l’Italia ha vinto, è in finale, e allora mentre gli Azzurri in campo si abbracciano e i nostri avversari crollano a terra, noi possiamo già sistemare la valigia, immagine perfetta per riassumere il momento. Anche questo ostacolo è stato superato, pratica chiusa, ora la testa è già alla prossima tappa del viaggio. Un passo dopo l’altro, così l’Italia ha costruito quel suo Mondiale, focalizzandosi su un obiettivo alla volta. “Andiamo a Berlino, Beppe”, e in quel Beppe ci sono racchiusi tutti i milioni di italiani che stanno vivendo il sogno davanti alla tv.

 

“Kannavaro!”

A proposito di quel gol di Del Piero: recentemente, in una delle tante chat da quarantena che ci stanno riempiendo le serate, Cannavaro e Totti l’hanno ricordato ammettendo di aver costruito, in quella occasione, uno dei gol più “italiani” che si potessero immaginare. La Germania tutta avanti alla ricerca del pareggio, noi rintanati che non chiediamo altro. Non vogliamo altro che venire in possesso del pallone per ribaltare il fronte in un amen, alla nostra maniera. Un’azione tutta in verticale, fulminea, letale. Dalla perfezione del lancio profondo di Totti al controllo di Gilardino che si accentra e attira la difesa su di sé, prima di scaricare per l’accorrente Del Piero: riduttivo chiamarlo “contropiede”… Ma a dare il la all’azione è un anticipo maestoso di Cannavaro, che in quel preciso istante diventa “Kannavaro!”, con la K. E che sempre in quell’istante fa un passetto decisivo verso il suo Pallone d’Oro.

 

“Grosso! Gol di Grosso!”

Se è vero che ogni Mondiale ha il suo eroe, spesso a sorpresa, il 2006 ha incoronato come “uomo del destino”, “degli ultimi minuti”, Fabio Grosso: con questa giustificazione Marcello Lippi gli aveva affidato l’ultimo rigore, quello decisivo, della “lotteria” con la Francia. Il rigore procurato contro l’Australia allo scadere, il gol alla Germania con cui nasce l’urlo “Grosso! Gol di Grosso!” che per mesi ricorderemo a ogni rete segnata allo scadere anche al campetto con gli amici

 

“Lo conosci… Lo conosci… Non è gol!”

Le prove generali del rito erano state fatte in occasione del rigore calciato da Zidane nei minuti regolamentari: “Buffon conosce Zidane”, aveva sussurrato Caressa, esploso poi in un illusorio “Non è gol!” nel momento in cui la palla rimbalza fuori dalla porta (ma dopo aver superato la linea bianca), con lo zio Bergomi costretto a vestire i panni di quello che ci riportava con i piedi per terra (“È gol, è gol…”). Se la prima volta non funziona, alla seconda Caressa aggiusta il tiro (cosa che non farà Trezeguet, fortunatamente): questa volta decide di rivolgersi personalmente a Buffon, con quel “lo conosci… lo conosci…” che sembra una preghiera e che stavolta, dopo un traversa-fuori che non ammette repliche, può trovare il suo sfogo in un “Non è gol” ripetuto per 7 volte. Sei di fila più una, dopo una breve pausa, giusto per ribadire il concetto.

 

“Siamo campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo!"

("Abbracciamoci forte, e vogliamoci tanto bene; vogliamoci tanto bene. Perché abbiamo vinto, abbiamo vinto tutti stasera, abbiamo vinto tutti”)
 

La citazione al triplice “Campioni del mondo”, tormentone Mundial ideato da Nando Martellini, è dovuta, con l’aggiunta di quella quarta strofa, come le stellette che l’Italia può appuntarsi sulla maglia da quel momento in poi. Un traguardo di tutti gli italiani, perché dietro a quelli in campo c’eravamo anche tutti noi, presenti anche al momento di sollevare la coppa. “Alza la coppa, capitano! Alzala alta al cielo, capitano, perché questa è la coppa di tutti gli italiani!”. Non avete ancora la pelle d’oca?