Sam Bartram, il portiere dimenticato nella nebbia

Come il portiere cantato da Umberto Saba, Sam Bartram rimane lì, fermo tra i pali, immobile, “caduto alla difesa ultima vana”. Le squadre sono sull’uno a uno e da un po’ le azioni della partita non lo coinvolgono più, ma è convinto che la sua squadra stia schiacciando gli avversari nell’area avversaria. Sono gli anni in cui il mito della superiorità dei ‘maestri del calcio’ è fortissimo nei britannici e Sam è uno dei protagonisti assoluti di quel football. Negli anni ’30 e ’40 dello scorso millennio la perfida Albione calcistica guarda il resto d’Europa dall’alto in basso e lui è un ‘one man club’. Nel suo cuore c’è posto solo per il Charlton Athletic, che sta vivendo il momento più alto della sua storia. E’ una giornata strana, è il 25 dicembre del 1937 e si disputa il Boxing Day della First Division, quella che possiamo definire l’antesignana della Premier League. E a Stamford Bridge è di scena contro il Chelsea, che veleggia al centro della classifica. Sono altri tempi, sono altre le gerarchie, in quell’anno il Charlton chiuderà al quarto posto mentre il Manchester City, tanto per dire, retrocederà arrivando penultimo. E dalla seconda divisione verrà promosso in First Division lo United, l’altra squadra di Manchester. Fulham Road è stata totalmente avvolta da una nebbia fitta e spessa già dal mattino e nelle gelide stanze della Football Association si è discusso per almeno cinque minuti sull’opportunità di giocare o meno il match. Ma per gli inglesi il football è una religione e alla fine si è deciso di andare avanti, per quanto il rischio di non vedere la palla e di incespicare ogni due metri fosse palpabile. Il primo tempo è equilibrato. Gli 'Addicks' non hanno in mente altro che fare un boccone solo del Chelsea, i 'Blues' ribattono colpo su colpo e per la prima frazione di gara inchiodano il punteggio sul risultato di un gol per parte… Nel Boxing Day è tradizione regalare dei doni ai membri meno fortunati della società, ma non al Chelsea, forse è anche per questo che Sam, dall’interno della sua area piccola è convinta che il Charlton dopo aver subito una rete abbia suonato una carica tale da impedire al Chelsea persino di passare ancora anche solo la linea di centrocampo. Del resto, da quando è arrivato sulla panchina, quattro anni prima, il maniacale Jimmy Seed i biancorossi sono saliti dalla terza alla prima divisione nel giro di tre sole stagioni , grazie proprio a quella filosofia di attaccare sempre. Intorno al sessantesimo l’atmosfera nella metacampo del Charlton cambia radicalmente, e Sam se ne accorge subito: “Eravamo una delle squadre top, in quel momento, e vidi sempre meno figure intorno a me, dato che attaccavamo costantemente. Camminavo su e giù lungo la linea di porta, felice all’idea che il Chelsea era bloccato nella propria metà campo. I ragazzi stanno martellando i Pensioneers, pensai compiaciuto mentre battevo i piedi per riscaldarmi. Ovviamente, però, non stavamo mettendo la palla in rete, dato che nessuno tornava a schierarsi come si fa dopo aver segnato un gol. Con il passare del tempo feci qualche passo in avanti, fino al limite dell’area, cercando di scrutare qualcosa attraverso la nebbia, che diventava più densa con il passare dei minuti. Non riuscivo a vedere niente: la difesa del Chelsea era chiaramente in difficoltà”. Bartram è un portiere con uno stile tutto suo. Inventa le parate. Ti aspetti degli errori, ma invece ottieni emozioni, ma quel giorno, al di là della rete subita è praticamente inoperoso. E’ fermo tra i pali, ogni tanto saltella per tenere caldi i suoi ventitré anni, aspetta. Aspetta un compagno, un pallone, un avversario, un segnale, un’ombra nella nebbia, nulla… Sugli spalti il pubblico ha cominciato a rumoreggiare da un po’, non si vede più nulla, neppure la linea perimetrale verticale. I tifosi ospiti incominciano ad abbandonare silenziosamente lo stadio. Qualcuno sbadiglia, altri cercano di non cascare dai gradoni. In campo l’arbitro chiama a sè i due capitani e dopo un breve conciliabolo decide che è meglio sospendere il match. Oggettivamente non si vede proprio niente e i giocatori, l’uno di fronte all’altro faticano persino a distinguersi in volto. La nebbia ha vinto. Le squadre si incamminano verso l’uscita e raggiungono gli spogliatoi, intorno il silenzio spettrale che solo la nebbia, che tutto ovatta, sa regalare, un muro grigio ovunque. I giocatori vanno a cambiarsi e intirizziti si fiondano sotto le docce. Vic Woodley, portiere del Chelsea, è il primo a infilare la porta del vestibolo. Da più di un quarto d’ora oramai in campo era tutto un pascolare senza meta che rendeva inutile ogni stoicismo. Sulle tribune non c’è più neanche un’anima, persino il fischio del direttore di gara è stato debole, quasi un pro forma. Il Charlton avrebbe dovuto vincere quella partita, nel gruppo era forte la delusione e tra il freddo e la voglia di tornare a casa nessuno si preoccupò di verificare che tutti fossero rientrati a cambiarsi. Erano usciti tutti dal campo: spettatori, giocatori, staff tecnici, arbitro e addetti ai lavori, tutti fuorché Sam. Sam Bartram era ancora lì, fra i pali, nella nebbia ad attendere di tornare protagonista della partita anche lui, mentre da quasi venti minuti tutto è terminato. Finalmente qualche giocatore del Charlton si accorge che nello spogliatoio manca Sam. Qualcuno pensa ad uno scherzo o che sia in bagno, altri - conoscendolo - credono che sia nello spogliatoio dell’arbitro per organizzare un’eventuale ripresa. Poi a qualcuno viene in mente una cosa: “Ma Sam è stato avvisato che la partita è stata sospesa?“. Nello spogliatoio cala il gelo, c’è chi ride, chi si gira dall’altra parte, chi getta la saponetta in terra. No. Nessuno ha avvisato Sam Bartram, che è ancora in campo a giocare una partita fantasma, ai confini della realtà. Un poliziotto corre in campo… Sam lo intravede appena… : “Ehi… cosa diavolo ci fai qui? La partita è stata sospesa più di un quarto d’ora fa. Il campo è completamente vuoto”. Sam torna negli spogliatoi incredulo, si scusa con i compagni… quelli ridono, lo chiamano rimbambito, gli tirano addosso gli asciugamani. Sono tutti già in giacca e cravatta. Lui non fa una piega: “Ragazzi pensavo che stessimo attaccando da parecchio!“. Sam Bartram chiude così, con una battuta, un episodio che diventerà leggenda, e del quale parlerà anche nel suo libro autobiografico ‘Sam Bartram by himself illustrated’, pubblicato nel 1956. Una vita spesa nel Charlton Athletic, con cui ha collezionato 623 presenze, vivendo uno degli episodi più incredibili nella storia del calcio, in un’epoca in cui neanche la radio trasmetteva ancora le partite in diretta, un’epoca senza procuratori pronti a tutelare diritti e chiedere danni, anni nei quali tra racconti surreali e grotteschi il calcio ha alimentato la propria leggenda. Sam Bartram, dopo quasi cento anni, è ancora ricordato come il portiere dimenticato, disperso nella nebbia. Ma Bartram non è stato solo questo. Alla sua morte il ‘The Observer’ scrisse, che fu ‘il miglior portiere a non avere purtroppo mai vestito la maglia dell’Inghilterra’. Rimase a difendere i pali del Charlton per ventidue stagioni consecutive, nonostante all’esordio avesse preso sei gol. A volte efficace, a volte sfrontato, a volte un po’ impacciato era a suo modo miracoloso e spettacolare. E aveva un carattere particolare che lo rendeva difficile da gestire. Jimmy Seed ci riuscì assecondandolo e non dando peso a certi eccessi della sua personalità che rappresentavano delle valvole di sfogo. Come quando, proprio in quella stagione, all’inizio del campionato fissa le sue nozze il giorno della gara contro il Middlesbrough: va in chiesa, torna al The Valley e dopo la partita si fionda al ricevimento di nozze; scrisse il ‘Daily Mirror’: "Bartram ha impedito, innumerevoli volte, l’unione tra la palla e la rete nel sacro vincolo del matrimonio". I compagni avevano invano tentato di dissuaderlo da quel proposito, ma lui aveva risposto sorridendo… “E che problema c’è? Io mi sposo, vengo allo stadio, mi cambio, gioco, poi doccia e me ne torno dagli invitati per il rinfresco“. Nessuno ci aveva creduto, ma era accaduto proprio così, il portiere nella stessa giornata si era sposato, aveva giocato una partita di campionato e poi, lavato e profumato, era tornato dalla moglie come se niente fosse. Perché Sam Bartram, portiere inglese classe 1914, era un guascone che eccitava i tifosi, tanto che alla metà degli anni Duemila gli hanno eretto e dedicato una statua di bronzo alta tre metri all’ingresso dello stadio. Era completamente all’opposto del tipico ‘gentleman’ inglese dei primi del Novecento, bravissimo anche con i piedi, non disdegnava di uscire dalla propria area e correre verso quella avversaria. E questo di lui piaceva da impazzire. Nella sua autobiografia è sincero ma si presenta attraverso le parole di un quotidiano: “Mi chiamo Samuel Bartram e in pochi sanno chi sono. Quei pochi mi chiamano semplicemente Sam. ‘Bartram è un portiere con uno stile tutto suo. Inventa le parate. Ti aspetti degli errori, ma invece ottieni emozioni’. Questo è quello che scrive il ‘Daily Express’. Questo sono io. Sono stato il portiere del Charlton Athletic per più di un ventennio. Un “one man club”. E degli Addicks sono diventato un eroe”. Ma mai come in quel Boxing Day del Natale del 1937, tuttavia, Sam Bartram incarnò la vera ‘solitudine del numero uno’ e non avrebbe certo sfigurato nella carrellata di grandi portieri che Giampaolo Santoro mandò in libreria quindici anni fa… Cosa c’è di più folle, romantico e letterario, infatti, del rimanere soli nella nebbia ad aspettare un pallone e un avversario che non arriveranno mai? E cosa c’è di più eroico del servire la Patria durante la Seconda Guerra Mondiale come istruttore fisico ed atletico dei soldati, per poi ricominciare a giocare, sempre e rigorosamente nel Charlton? In verità delle chiamate dalla Nazionale inglese le ha ricevute, ma non ufficiali nella Football League War Cup. E poi in amichevoli in Australia e in Nazionale B. Senza giocare. Fu per questo che – ‘The Observer’ a parte, una volta scomparso - quando era in attività la stampa lo prendeva in giro definendolo ‘miglior portiere inglese fra quelli che mai sarebbero stati convocati dalla Nazionale’ dato che l'Inghilterra aveva ai tempi a contendersi il posto da titolare fra i pali due fuoriclasse come Frank Swift e Ted Ditchburn. A quarant’anni Sam si prende due grandi rivincite. La prima è il secondo posto al premio FWA Footballer of the Year, la seconda è ciò che dichiara di lui Jimmy Seed quando comunica il suo ritiro dal calcio giocato: “Sentirò un tonfo al cuore quando stenderò la formazione per la partita della prossima settimana senza il nome di Sam in cima. Non trovi un altro Sam Bartram senza una lunga, lunga ricerca”. Sarà un caso ma la stagione successiva, il Charlton finirà in fondo alla classifica e non tornerà nel massimo campionato per i successivi 30 anni. Ma ancora oggi, “quando si parla del Charlton uno dei primi nomi che qualsiasi tifoso o semplice appassionato cita è quello di Sam Bartram, l’uomo che si è fatto portiere per inseguire il sogno di giocare a calcio”. Per il Charlton è un’icona, per tutti gli altri è Sam Bartram, il portiere dimenticato in campo. Nato a Jarrow, cittadina portuale a Nord dell’Inghilterra, nella contea del Tyne and Wear, Sam decide di dividere gli anni successivi alla carriera da calciatore fra la scrittura e una timida e breve esperienza da allenatore. Di aneddoti da raccontare ne ha tanti. Non solo l’esordio al Charlton e le sei reti subìte e quell’odissea di ventidue minuti della nebbia. Tra le storie da scrivere ha quelle raccolte come preparatore atletico degli aviatori della Royal Air Force in tempo di guerra. Ma anche il debutto assoluto in periferia fra gli amatori del Boldon Villa, al posto del povero portiere titolare che si è appena spaccato un ginocchio. In quel momento Sam non sa ancora che diventerà un portiere. E’ in panchina da centrocampista-ala. Eppure è quel giorno che la sua vita cambia, magari non grazie a uno stile raffinatissimo, ma attraverso interventi decisi, asciutti e decisivi. E’ lì che lo nota un talent scout, Angus Seed, che lo segnala al fratello Jimmy. Il momento in cui la sua sliding door si spalanca. Tanti piccoli racconti lo aiutano a diventare cronista e poi giornalista, infine editorialista sportivo per il ‘Sunday People’, trascorrendo in tale veste i suoi ultimi anni ad Harpenden, nell’Hertfordshire. Sam ha sempre quel che voleva, non ha mai lasciato il Charlton perché si trovava bene, gli seccava cambiare casa e città, a quella squadra e a quella gente era legatissimo. Lo ha fatto per scelta coerente e cosciente. Una sorta di storia d’amore, la sua, come lo è stata quella fra Gigi Riva e Cagliari. Sam è stato un buon portiere, non il migliore, ha giocato in una buona squadra, certo non la migliore d’Inghilterra; gli andava bene così, e quando ha capito che non era tagliato per il mestiere di allenatore ha deciso di raccontare il calcio anziché preparare le partite. Era un portiere molto agile, ma essendo nato in un altro ruolo era abile nel dribbling, forse anche per questo ha saputo dribblare tutte le avversità della vita. Anche quando da ragazzo ha dovuto alternare i primi calci a dure giornate di lavoro in miniera. Prima di ogni partita del club che gioca a ridosso del Tamigi, a Sud-Est di Londra, grandi e piccini oggi si fermano dinnanzi alla sua statua e gli rendono omaggio, icona di un calcio nostalgico e forse più autentico. Un mancato centrocampista, usato da ala, passato alla storia come estremo difensore, ignorato da tutti e abbandonato con i guantoni alle mani a riflettere sul perché nella nebbia quel derby tanto atteso fosse così silenzioso. Quella partita, dai risvolti ‘dickensiani’ è passata alla storia come la ‘favola di Natale del mondo del calcio’. Samuel ‘Sam’ Bartram l’avrà raccontata centinaia di volte, forse migliaia, negli anni successivi. Fino a quel 17 luglio 1981 in cui morì improvvisamente per un malore, a 67 anni, mentre tornava a casa dal suo ufficio. Tra le case vittoriane di Floyd Road, non lontano dalla A206 e dalla Charlton Church Ln, nel cuore del borgo di Greenwich, spicca il sorriso bronzeo irriverente di Sam proprio di fronte all’ingresso dell’impianto edificato nel 1920 . La maglia col collo alto, la palla di cuoio nella mano destra, i guanti piegati nella mani sinistra. Il passato è incastrato nel presente e nel futuro, come dovrebbe essere, del resto, per ogni cosa. E forse fra quelle stradine ancora abita qualcuno che, ragazzino, vide giocare e puo’ ancora testimoniare le gesta di quel portiere così stravagante per quell’epoca. Il portiere dimenticato nella nebbia, che senza mancare al proprio dovere, rimase al freddo nel silenzio, senza vedere nulla e nessuno, fiducioso che la sua squadra avrebbe trionfato anche per lui. Convinto come Umberto Saba, che in fondo, anche nella solitudine “della festa anch’io son parte…”

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Lucio Rizzica