La storia di quel saluto nazista a White Hart Lane

Si preoccupò persino Adolf Hitler, quella volta, 90 anni fa. Gli era arrivata la notizia che 15-20.000 tedeschi stavano per invadere Londra e il Cancelliere temette che si trattasse di un azzardo, di una mossa che avrebbe potuto rovinare equilibri politici in continuo divenire. Era fine novembre 1935, Hitler era capo del governo da quasi tre anni e aveva già restretto libertà interne e accennato a schemi di politica estera piuttosto aggressivi, ma il rapporto con potenze e semi-potenze europee non era ancora delineato, e alla forza dei discorsi pubblici andava abbinata la prudenza nei gesti, perlomeno quelli visibili. Certo, quelle migliaia di tedeschi che si accingevano a partire per l’Inghilterra non erano soldati e nemmeno necessariamente simpatizzanti o iscritti al partito nazista: erano semplici tifosi della nazionale di calcio, ma appena messo piede sul suolo inglese sarebbero diventati i volti disseminati della Germania, e quindi su di loro gravava una responsabilità importante, ancorché involontaria. I MAESTRI CONTRO CHIUNQUE Il 4 dicembre, dunque 90 anni fa, si doveva giocare l’amichevole Inghilterra-Germania, una delle tante partite in cui gli inglesi sfidavano avversari di prestigio variabile per metterli alla prova, anche se il discorso valeva anche in senso opposto, visto che gli inglesi non avevano partecipato ai Mondiali 1930 e 1934 e non c’erano dunque recenti confronti con una posta vera in palio, anche se ai tempi anche le amichevoli assumevano, appunto, un valore di confronto tra scuole. Nessuna delle nazionali britanniche lo aveva fatto, e non c’entrava la momentanea uscita delle quattro federazioni dalla Fifa, decisa nel 1928, dato che era comunque arrivato un invito a inglesi e scozzesi: c’entrava invece l’idea che i Mondiali valessero poco, che - nelle parole di uno dei consiglieri della Football Association, Charles Sutcliffe - "fossero una barzelletta. Le nostre quattro nazionali hanno già da fare nel Torneo Interbritannico, che vale molto più del torneo che andrà in scena a Roma". Vinto dall’Italia, sconfitta poi 3-2 ad Highbury qualche mese dopo nella ‘Battaglia’ che servì ai padroni di casa per confermare la propria superiorità percepita. La Germania, terza ai Mondiali 1934, era considerata avversaria meno impegnativa rispetto agli azzurri, anche perché formata da calciatori non professionisti, ma c’era comunque una enorme curiosità di capirne livello e qualità, per dissipare un po’ la nebbia dei reportage incompleti e imperfetti dell’epoca. Sì, in Inghilterra alcuni sapevano che nella finale del terzo e quarto posto dei Mondiali i tedeschi avevano battuto il Wunderteam austriaco, ma era passato un anno e mezzo e qualche giocatore era cambiato. Non era però cambiato l’allenatore, Otto Nerz, classe 1892, professore e medico, nato a Hechingen ovvero nella regione che, grosso modo, ha dato i natali a tantissimi altri tecnici importanti, tra cui Ralf Rangnick, Jürgen Klopp e Thomas Tuchel. Nerz era un amante del calcio inglese e ammiratore di Herbert Chapman, lo stratega che aveva lanciato l’Arsenal dopo aver fatto grande l’Huddersfield Town: con Chapman, prima della sua morte avvenuta nel gennaio 1934, aveva scambiato idee e progetti, sviluppando una forte predilezione per il modulo 'WM' definito dal tecnico inglese, e lo stesso a dire il vero faceva col Ct italiano Vittorio Pozzo, con Jimmy Hogan e Hugo Meisl, ideologo e attuatore del Wunderteam. Una filosofia robusta e vigorosa, abbastanza rigida pur con frequenti concessioni all’estro nelle aree di campo designate per ciascun giocatore, ma difficilmente compatibile con quella che stava dominando in campo nazionale. TROTTOLA VINCENTE In Germania era infatti cominciato da poco più di un anno il dominio dello Schalke 04 con la sua ‘Schalker Kreisel’, la ‘trottola dello Schalke’, ovvero un sistema di gioco che privilegiava il movimento continuo dei giocatori e della palla, quindi un distacco da filosofie più robuste, vigorose e schematiche come quelle nate dal 'WM'. Era una squadra memorabile, interamente composta da giocatori nati a Gelsenkirchen e dintorni, alcuni dei quali figli di minatori o essi stessi minatori in adolescenza, legati spesso da amicizia o parentela: il capitano Fritz Szepan aveva sposato la sorella di Ernst Kuzorra, e altri due giocatori erano fratelli. Molti erano di famiglie originarie della Prussia orientale, cadute poi dopo la Seconda Guerra Mondiale in mani sovietiche e divenute polacche e lituane, e i loro cognomi lo dimostrano: Szepan e Kuzorra appunto ma anche Przybylski, Kalwitzki, Tybulsky, provenienti tutti dall’area chiamata Masuria, popolata perlopiù da protestanti e quindi meno facilmente ‘polacca’ anche ad occhi successivi, anche se commentando la foto della squadra vincitrice del titolo 1934 un quotidiano di Varsavia scrisse ironicamente ‘ecco i campioni polacchi di Germania’. Quello Schalke vinse il titolo nel 1934, 1935, 1937, 1939, 1940 e 1942, poi 1958 ma già con modi diversi, e fu la squadra del decennio senza però essere completamente rappresentata in nazionale, proprio per diffidenza di Nerz verso un sistema di gioco che non riteneva compatibile con le proprie idee, così come l’atteggiamento di alcuni giocatori. E se dunque Szepan, centrocampista ma anche difensore, ebbe 34 presenze tra il 1929 e il 1939 e fu l’unico in nazionale a Londra, Kuzorra nonostante le sue grandi doti di centrocampista offensivo e punta ne ebbe solo 12, nessuna delle quali tra 1932 e 1936. Insomma, una Germania enigmatica, e per questo attesa con curiosità degli inglesi. ARRIVA COLUMBUS Curiosità che era estesa un po’ a tutti i componenti della spedizione, a partire appunto dai tifosi, previsti in gran numero, grazie alla disponibilità di traghetti e navi, spesso a prezzi bassi per l’epoca, corrispondenti a circa 60 euro attuali. Era un periodo storico in cui la minaccia tedesca era compresa ma non ancora fino in fondo, e in alcuni settori della vita pubblica britannica c’era il sentore che Hitler e la Germania potessero essere addirittura un cuscinetto nei confronti dell’Unione Sovietica, per non dimenticare la nascita, nel 1931, della British Union of Fascists, il movimento politico creato dal baronetto Oswald Mosley, disilluso dalla politica tradizionale. Il 18 giugno 1935 era poi stato firmato un accordo bilaterale Gran Bretagna-Germania sul riarmo della marina teutonica, sottoposta a forti limitazioni dal trattato di Versailles seguito alla Prima Guerra Mondiale: per i britannici, che di fatto approvarono una violazione di quel trattato senza una consultazione con Francia e Italia, era un modo di controllare la crescita tedesca, per i tedeschi era l’inizio di un’auspicata alleanza in funzione anti-francese e sovietica. Addirittura, i britannici avevano voluto che la firma avvenisse nel 120° anniversario della disfatta francese di Waterloo, segnale della convinzione con cui avevano intrapreso i colloqui, e Hitler aveva definito quel 18 giugno come "il giorno più bello della mia vita", convinto com’era che quel trattato rappresentasse il primo passo di una solida alleanza. Non bisogna poi dimenticare un altro fatto cruciale: il Principe di Galles, Edward, asceso al trono il 20 gennaio 1936 per poi abdicare a dicembre per l’incompatibilità tra il ruolo e il desiderio di sposare un’americana non nobile e soprattutto divorziata, Wallis Simpson, dette spesso l’idea di essere favorevole a un accordo con la Germania, muovendosi, dopo l’abdicazione, in modo tale da portare il ministro del tesoro, Lord Caldecote, ad avvisare nel 1940 il primo ministro Winston Churchill con le parole "il Duca è noto per le sue simpatie naziste, e potrebbe essere al centro di [pericolosi] intrecci". In questo clima confuso di incertezza, di curiosità a volte morbosa, di preoccupazione e anche speranza che tutto andasse bene, lo sbarco di alcune decine di migliaia di tifosi tedeschi non poteva non lasciare traccia. Le autorità britanniche, comprese quelle calcistiche, fecero di tutto per dare alla partita e al contorno un profilo unicamente sportivo, e l’unico organismo ad opporsi a parole e con i fatti fu il Trades Union Congress, l’organismo che riuniva varie associazioni sindacali, con il supporto di alcune associazioni ebraiche, allarmate per le recenti Leggi di Norimberga con cui erano stati vietati i matrimoni misti e agli ebrei era stata tolta la cittadinanza. Il fatto poi che la partita fosse stata programmata a White Hart Lane, stadio del Tottenham, club da sempre contrassegnato da una forte presenza ebraica tra i sostenitori, aveva suscitato ulteriori perplessità. Un quotidiano aveva poi messo in giro la voce che gruppi di tedeschi avrebbero marciato in quartieri a maggioranza ebraica e che in giro per Londra si sarebbero visti pullman con la svastica disegnata sul fianco, ma nulla di tutto ciò accadde, così come non fu mai attuato, perché forse non esisteva, il piano per cui a un segnale convenuto, uno squillo di tromba, una buona parte di spettatori avrebbe abbandonato lo stadio in segno di protesta in occasione della partita tra Tottenham e Burnley, prevista pochi giorni prima. Membri e simpatizzanti del Trades Union Congress furono gli unici ad organizzare manifestazioni, con striscioni e volantinaggi culminati anche in scontri con le forze dell’ordine, ma per il resto il clima incoraggiato dalle autorità fu di accoglienza e amicizia, supportato anche da alcuni quotidiani, che non irragionevolmente sottolinearono come un’accoglienza calorosa ed efficiente avrebbe dimostrato che non c’era bisogno di militarizzare un evento per renderlo ben organizzato. Certo, ci furono cautele, non nascoste. A Londra infatti solo in occasione di incoronazioni si era visto un numero di poliziotti come quello messo sulle strade in quei giorni. Pare ce ne fosse uno ogni 10 metri, o comunque a portata di voce del collega più vicino, e lo scopo era insieme di controllo e protezione: dei locali da eventuali teste calde tedesche e viceversa. Un atteggiamento prudente abbinato a manifestazioni scenograficamente particolari: a Southampton, infatti, ad accogliere la nave Columbus che trasportava 1600 tifosi ci furono la banda che di solito si esibiva alle partite del club locale, uno striscione di benvenuto dell’associazione tifosi dei Saints, un dirigente , il segretario e futuro allenatore George Goss, e a tutti parve normale che i tedeschi salutassero col braccio teso il proprio inno e applaudissero quello inglese, scendendo poi tra pacche sulle spalle e strette di mano. Il saluto nazista, e anche qui sta la peculiarità dell’evento, non era ancora visto come minaccioso in senso assoluto. Certo, le scene di adunate a Norimberga, con folle a perdita d’occhio, avevano fatto impressione ai non molti che le avevano viste nei notiziari al cinema e nelle foto dei giornali, ma c’era ancora una larga fetta di popolazione che le catalogava come semplici eccentricità esibizionistiche. L’ambasciatore tedesco, Leopold Von Hoesch, che tra l’altro non era in eccelsi rapporti con Hitler, aveva contribuito a rasserenare gli animi sottolineando come per un’amichevole di pochi mesi prima in Francia la presenza di 15.000 tifosi ospiti non aveva creato alcun problema, e i rapporti Francia-Germania erano certamente più tesi, anche per ovvi motivi geografici, acuiti dal referendum che il 13 gennaio 1935 aveva ridato ai tedeschi la regione della Saar. Era una mentalità tra il candido e il volonteroso, nel segno del concetto di ‘appeasement’, l’acquiescenza accomodante che i britannici speravano potesse fermare le ambizioni di Hitler, che invece ne approfittò poi per prendersi tutto il braccio, teso o meno che fosse. Dopo Versailles le quattro federazioni calcistiche britanniche, tra l’altro, erano state le più dure verso quella tedesca, ma dopo la riammissione della Germania ai Giochi Olimpici, nel 1928, avevano attenuato le loro posizioni e accettato gli inviti ad amichevoli: nel 1929 Germania-Scozia e nel 1930 Germania-Inghilterra. Anche le parole di Hoskins ai tifosi tedeschi erano state contrassegnate dall’intenzione di dare alla partita un significato positivo: "lo sport, specialmente il calcio, è secondo me uno degli strumenti più importanti per promuovere l’amicizia tra nazioni. Più tempo trascorriamo assieme, dentro e fuori dal campo, più ci capiamo e meglio è per tutti". Un sentimento reciproco, almeno nei gesti: alcuni tifosi tedeschi portarono addirittura una corona di fiori alta quasi due metri e la appoggiarono al monumento ai caduti, il Cenotaph, assieme ad un biglietto con le parole "in memoria dei caduti britannici, da parte dei 1500 tifosi tedeschi arrivati per la partita" e tutti gli addetti ai lavori, da Szepan a Nerz alla federazione tedesca, fecero ogni sforzo per staccare il tema politico da quello sportivo. Del resto, come scrisse al quotidiano Times un lettore, perché, visto il successo e il numero di tutto esaurito nella recentissima tournée dell’Orchestra Sinfonica di Berlino, "dovremmo trattare i nostri amichevoli visitatori in modo diverso solo perché si gioca a calcio?". E alla cena post-partita, presso un hotel di Londra, il presidente della Football Association, Charles Clegg, dopo gli inni, un brindisi a Hitler e a Re Giorgio V, si era scusato con gli ospiti per le proteste del Trades Union Congress e delle associazioni ebraiche, "che sembrano non voler capire che il calcio è uno sport, e lo sport è libero da influenze politiche, che io sappia. Non riusciranno mai a sporcarlo con la politica", facendo eco alle dichiarazioni pre-partita del ministro dell’Interno John Simon, che in un incontro con una delegazione del Trades Union Congress aveva ribadito la tradizione britannica di separare lo sport dal resto, anche se la decisione stessa di incoraggiare la disputa della partita allo scopo di ammorbidire le relazioni anglo-tedesche era, in sé, politica, approvata dal primo ministro Stanley Baldwin. Alla fine, entrambi i governi avevano il medesimo obiettivo: tenersi buoni a vicenda, una conclusione che attraversò momenti difficili quando le pressioni salirono, più nell’intensità della protesta del TUC e delle associazioni ebraiche che nei numeri, e per qualche giorno si penso addirittura di annullare la partita, eventualità valutata anche da Hitler che voleva evitare qualsiasi caratterizzazione negativa dell’immagine tedesca. Nessuno però lo voleva davvero: i britannici volevano confermare la loro apertura, i tedeschi non volevano danneggiare le relazioni internazionali in vista delle Olimpiadi del 1936, ed è significativo che da una ricerca pubblicata nel 2024 dal The International Journal of the History of Sport risulti come la stampa tedesca, compreso il Völkischer Beobachter che era una sorta di giornale di partito, abbia dato alla partita un significato quasi esclusivamente sportivo, concedendosi solo un sorrisetto nel vedere che ‘proteste marxiste’ erano perlopiù state ignorate dalla massa. ALZABANDIERA Il giorno della partita fu davvero particolare. I tifosi tedeschi vennero portati a White Hart Lane su pullman speciali, e intorno allo stadio ci fu un cordone di 1000 agenti, facenti capo a una stazione di polizia temporanea allestita pochi giorni prima, anche per contrastare un paio di marce di protesta e volantinaggio annunciate ed effettivamente portate a compimento, anche se in molti casi i volantini e gli striscioni furono confiscati e strappati dai poliziotti, che operano anche alcuni arresti. All’ingresso in campo delle squadre, pochi minuti prima del calcio d’inizio delle 14.30, ci furono solo applausi, e il protocollo fu rispettato: inno inglese e inno tedesco , durante i quali sia i giocatori sia i tifosi ospiti fecero il saluto a braccio teso. Sul pennone in cima alla East Stand sventolavano la Union Jack, la bandiera britannica, ma anche la bandiera con la svastica, entrambe a mezz’asta perché il giorno prima era morta la principessa Victoria, sorella del re. A un certo punto, peraltro, la bandiera tedesca si afflosciò: un 24enne londinese, Ernie Wooley, era riuscito ad arrampicarsi lungo una grondaia e a tagliare la corda della bandiera con un coltellino, prima di essere catturato e messo in cella, salvo uscirne senza alcun tipo di condanna perché i poliziotti avevano smarrito la lama e il Tottenham non era stato in grado di dimostrare il valore commerciale del cordino reciso. Quasi nessuno si accorse della temporanea sparizione della bandiera, a gioco in corso. L’Inghilterra vinse 3-0, sprecando anche occasioni di amplificare il risultato, che però venne visto quasi come un successo morale dagli ospiti: è vero che c’era stato quel 3-3 pochi anni prima, ma era parso un verdetto casuale. In più, per paradosso, quella squadra di dilettanti a tratti era parsa più organizzata della nazionale inglese, e un motivo forse c’era: se infatti i tedeschi avevano un allenatore vero, appunto Nerz, gli inglesi erano ancora avviluppati nel concetto originale di squadra che si allenava da sola, o meglio con la semplice supervisione di un ‘trainer’, George Allison dell’Arsenal, ma con giocatori scelti da un comitato di saggi o presunti tali. Finita la partita, giocatori e dirigenti furono accompagnati al banchetto, quello del discorso di Clegg, mentre i tfosi tedeschi… sparirono: come riportano varie cronache dell’epoca, alle 11 di sera, ovvero circa sei ore dopo la fine della partita, a Londra non c’era più traccia di tedeschi, partiti in treno verso i porti dai quali sarebbero poi salpate le navi e i traghetti per il ritorno verso il Continente. Una presenza rapida, colorita e al tempo stesso ordinaria, che lasciò una profonda, ambigua impressione, resa ancora più forte dal passare del tempo. GLI EFFETTI Restano, di quella partita, proprio le immagini. La bandiera con la svastica, le braccia tese, in uno stadio inglese, uno scenario bizzarro anche se, va ribadito, vissuto come affronto e un errore storico solo a posteriori, a guerra iniziata. Ai tempi, oltre alle proteste evidenziate, non c’era stato nulla di particolarmente scandaloso, perlomeno a livello ufficiale, e anche qualche frecciatina preventiva dei quotidiani inglesi, che avevano presentato i tedeschi come un’orda di incivili, era stata smentita poi dalla assoluta normalità di aspetto e comportamenti degli ospiti. Certo, quando nel 1938 si giocò il ‘ritorno’ a Berlino e i giocatori della nazionale inglese furono incoraggiati dalla loro federazione a salutare i padroni di casa con il braccio teso, la tensione e le polemiche furono poi maggiori, anche se quotidiani come il Times avrebbero scritto che si era trattato di un fortissimo segno di rispetto verso i tedeschi, ma quella è un’altra storia, che a suo tempo forse racconteremo. E tra l’altro, a quella partita del 1938 sarebbe mancato un personaggio, Nerz, caduto in disgrazia dopo l’eliminazione della nazionale nella semifinale olimpica del 1936, apparentemente l’unica partita mai vista dal vivo da Hitler. Tornato a fare l’insegnante e l’istruttore, nominato poi professore di filosofia all’università di Berlino e responsabile della riabilitazione fisica dei militari feriti, dopo la guerra fu arrestato per i suoi legami con il regime - aveva preso la tessera di partito nei primi anni Trenta ed era poi passato all’organizzazione paramilitare delle Camicie Brune - e portato al campo di concentramento di Sachsenhausen, gestito dai sovietici. Lì morì il 19 aprile 1949, per edema cerebrale o per denutrizione, a seconda delle fonti.

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Roberto Gotta