Calcio e tv non hanno sempre avuto un bel rapporto: come è nato e come si è evoluto

Sessantacinque anni fa, il 10 settembre 1960, la rete televisiva ITV mandava in onda la prima diretta di una partita della massima serie inglese, la First Division: Blackpool-Bolton Wanderers, da Bloomfield Road, il celebre stadio con vista sulla torre cittadina, una copia della Eiffel tuttora simbolo di quel lembo di terra a nordovest di Manchester, per decenni meta di vacanzieri spiaggianti di modeste pretese. Ma come mai proprio quella partita? Bisogna contestualizzare, anche se serve solo in parte: gran parte dei club si rifiutò di dare il nulla osta, al Fulham non c’erano le luci, a Manchester c’erano difficoltà sul fronte dei trasporti e allora ecco Blackpool e Bolton. Che erano sì in First Division senza sosta rispettivamente dal 1937 e 1935 ed erano squadre di nome e tradizione, ma i tempi della celeberrima finale di FA Cup 1953, quel 4-3 con tripletta di Stan Mortensen e con Stanley Matthews protagonista erano decisamente passati, e non per nulla qualche mese dopo il Blackpool solo per un punto si sarebbe salvato dalla retrocessione. Finì 0-1 - anche se qualche fonte dà un erroneo 0-0 - e fu una partita modesta, di fronte a soli 17.000 presenti, meno della metà della capienza dello stadio. Del resto Matthews, che poteva rappresentare l’attrazione maggiore, era infortunato e aveva comunque 45 anni, e in Inghilterra già da qualche anno era iniziato il calo di presenze negli stadi, calo organico se si considera che nel periodo post-bellico la gioia del ritorno dello sport e della vita normale aveva portato, in tutte le attività, a primati che un minimo di logica avrebbe etichettato come irripetibili. Ma la diretta, chiamata pomposamente The Big Game, come andò? Malino, perché per motivi ignoti le telecamere erano state piazzate dietro le porte, in alto, e i commentatori - Peter Lloyd e Billy Wright, l’ex capitano della nazionale ritiratosi l’anno prima e di fatto prima ‘seconda voce’ della storia - esagerarono nel dipingere come gradevole il gioco in campo e come gremito lo stadio, in netto contrasto con numeri e immagini, peraltro molto strette sul campo. La partita fu poi giocata alle 18.50, ovvero una volta terminate quelle iniziate al tradizionale orario delle 15, perché si volevano evitare sovrapposizioni e che qualche tifoso restasse a casa per vedere la diretta, aspetto che però non influì sulla bassa affluenza a Bloomfield Road, considerando che la media presenza dell’intera stagione fu di 18.715. ITV, rete commerciale, sostenuta cioè da pubblicità e non dal canone, creata nel 1955 per spezzare il monopolio della BBC, aveva scelto l’inusuale orario per poter mostrare dalle 19.30 gli ultimi minuti del primo tempo, mandare in onda subito le pubblicità dell’intervallo e trasmettere poi l’intero secondo tempo, ma non ebbe la possibilità di valutare a lungo termine l’esito dell’esperimento perché la settimana successiva l’Arsenal si rifiutò di far entrare le telecamere per la sfida contro il Newcastle United e stessa cosa fece il Tottenham sette giorni dopo: ci furono critiche dalla stampa, la constatazione che più gente aveva visto la sintesi di Arsenal-Tottenham sulla BBC che non la partita da Blackpool sulla ITV e quando anche Birmingham City, Everton e West Bromwich si dissero contrarie, il contratto tra la rete e Football League saltò e per altri 23 anni, fino cioé a Tottenham-Nottingham Forest del 2 ottobre 1983, non ci furono dirette di campionato. E dire che le premesse economiche erano interessanti: alla Football League, per 26 dirette di cui sette di venerdì sera, ITV aveva garantito 150.000 sterline, equivalenti a circa 4 milioni di oggi, da distribuire tra tutti i 92 club della lega, e ai club padroni di casa sarebbe stata versata una quota più o meno corrispondente al mancato incasso, basato sulla media presenze della stagione, 577 sterline nel caso del Blackpool. Inoltre, ai giocatori sarebbero state date 10 sterline a partita, dopo le sole due accordate a quelli di Blackpool e Preston. Era però evidente che Joe Richards e Alan Hardaker, presidente e segretario della Football League, avevano trattato il contratto senza aver chiesto il parere dei club, e che dunque il loro strappo in avanti non era stato accettato. ALTRO CHE TRADIZIONE Ma era comunque stato uno strappo in avanti, e qui va fatta una riflessione. Perché in realtà non si era trattato del primo tentativo di dirette televisive di partite di campionato, e sul piano delle dirette, in assoluto, il fronte era già stato aperto da tempo. Molto prima che il pensiero, perlomeno su scala così vasta, arrivasse ai dirigenti televisivi e calcistici di altre nazioni. A conferma, l’ennesima e non solo nel settore televisivo o sportivo, che gli inglesi sono sempre stati grandi innovatori, specialmente sul piano commerciale, e che il loro attaccamento alle tradizioni nasce soprattutto dal fatto che queste tradizioni… ci fossero, fossero da loro stessi state create ma sotto forma di ‘innovazioni’. Il calcio stesso, messo su giù con regole codificate nella seconda parte dell’Ottocento, era del resto stato una rivoluzione, per poi assestarsi e diventare, appunto, tradizione. Quindi, non sorprende che la prima partita al mondo trasmessa in televisione sia stata, il 16 settembre 1937, un’amichevole tra Arsenal e Arsenal B , organizzata proprio allo scopo di essere filmata e mandata in differita e visibile solo a poche decine di televisori in case situate entro il raggio di 15 chilometri dalla sede della BBC ad Alexandra Palace, zona nord di Londra, e del resto anche la prossimità geografica era stata la motivazione maggiore per la scelta dell’Arsenal, club oltretutto particolarmente sensibile alle nuove tecnologie: nel 1927 infatti la prima diretta radiofonica al mondo era stata un Arsenal-Sheffield United, e la presenza dell’Arsenal in questi debutti continuò, volutamente, quando i Gunners furono la squadra ospite nella prima sintesi della prima puntata di Match of the Day, la rassegna del sabato sera, nel 1964. Quella diretta dell’amichevole, ripresa con tre telecamere, ovvero due a coprire le aree di rigore e una a coprire il resto del campo, durò solo 15 minuti, anche perché l’intero palinsesto della BBC di quel giorno era di una sola ora, ed ebbe l’ulteriore bizzarria della presentazione fatta al microfono da George Allison, commentatore della BBC che non poté però proseguire al commento perché era pure… l’allenatore dell’Arsenal e doveva accomodarsi in panchina. Sempre sul filone, non sorprende che la prima diretta integrale al mondo di una partita tra nazionali sia stata Inghilterra-Scozia del 9 aprile 1938 seguita il 30 aprile dalla prima finale di FA Cup, Huddersfield Town-Preston North End, anche questa seguita da poche decine di migliaia di spettatori, perlopiù nella zona di Londra, perché il numero di televisori era ancora limitato. Quello che è curioso è che in realtà era già stata trasmessa la finale del 1937, Sunderland-Preston, dunque prima diretta in assoluto sul piano logistico, ma non interamente, per cui nemmeno la BBC ha mai riconosciuto quella data. La copertina del Radio Times, la rivista ufficiale della rete, pubblicizzò solo la diretta radiofonica, e lo conferma il fatto che compaia un disegno del campo suddiviso in quadrati numerati, espediente creato per quella trasmissione del 1927 per favorire gli spettatori: invece di descrivere in modo prolisso la zona del campo in cui era la palla, i commentatori dicevano ‘è in zona 7’ e i radioascoltatori sapevano subito, con l’aiuto del diagramma, dove si svolgesse l’azione. È probabilmente da qui, tra l’altro, che nasce l’espressione ‘back to square one’, che indica il ricominciare tutto da capo, come quando la palla, appunto, tornava nel quadrato più vicino alla porta. Di quella partita, come di altre finali, non venne registrato nulla, per cui le uniche immagini disponibili sono quelle girate da bordo campo da cineoperatori della BBC stessa e delle agenzie che avevano i diritti per la trasmissione di brevi servizi nei cinema, ma questo è un aspetto che esce dal contesto di questo articolo. Il 19 ottobre 1946 andò in onda la prima diretta post-bellica, un Barnet-Wealdstone della Athenian League, lega minore: anche qui la scelta cadde, per motivi logistici, su una partita disputata a Londra, e anche qui la scelta non fu quella di trasmettere gli interi 90’ ma solo gli ultimi 20 minuti del primo tempo e tutta la ripresa, anche se la telecronaca dovette essere chiusa anzitempo perché col sole ormai al tramonto la visibilità si era ridotta in modo eccessivo per le telecamere dell’epoca. Un ulteriore passo si fece con la diretta di una partita di FA Cup che non fosse la finale: si trattò - ancora a Londra, per i soliti motivi - di Charlton Athletic-Blackburn Rovers dell’8 febbraio 1947. LE LUCI DELLA RIBALTA Quel Barnet-Wealdstone del 1946 era stato un ripiego, perché la BBC avrebbe voluto trasmettere partite di campionato, ma i suoi approcci erano stati respinti dalla Football League, all’epoca ancora affidata a personaggi di vecchio stampo, non diversissimi a dire il vero dai succitati Hardaker e Richards che però, protagonisti della trattativa del 1960, a loro paragone sono poi passati per innovatori, e tutto questo è grottesco. Tanto per dire, quel Charlton-Blackburn era arrivato due giorni dopo la morte di Will Cuff, presidente della Football League dal 1936, e ultimo esponente di una generazione di allenatori e dirigenti che avevano addirittura assistito alla nascita, nel 1888, della Football League stessa. A spezzare la situazione arrivò il calcio internazionale, o meglio il calcio internazionale, prima come amichevoli poi come Coppa dei Campioni e altre coppe europee, abbinato alla costruzione in molti stadi di impianti per l’illuminazione: nel dopoguerra, per motivi di ordine pubblico il governo aveva proibito la disputa di partite infrasettimanali pomeridiane, e allora la lega aveva spostato giornate intere alla primissima serata, diciamo tra le 19 e le 20, in estate e primavera, quando cioé la luce era sufficiente, ottenendo così anche un incremento di pubblico come parte dell’esplosione di spettatori del dopoguerra, ma dopo un po’ erano emerse voglia ed esigenza di giocare alla sera anche negli altri mesi, ed ecco allora le luci. Sulle quali subito partì una campagna da parte della BBC: che nel 1955 caldeggiò la formazione dell’Anglo-Scottish Floodlight Trophy, una sorta di torneo infrasettimanale tra squadre inglesi e squadre scozzesi da disputarsi proprio alla luce dei riflettori e da mandare in onda in diretta. Tutto però saltò quando sia la Football League sia la federazione scozzese si rifiutarono di dare ufficialità alla manifestazione, che fu giocata, addirittura per tre anni, come semplice serie di amichevoli, anche di alto livello, visto che la doppia sfida Tottenham-Heart of Midlothian, 15 ottobre e 12 novembre 1956, avvenne con le due squadre in testa ai rispettivi campionati. Un anno e tre giorni prima della partita di ‘andata’, la ITV aveva trasmesso la sua prima diretta in assoluto, Tottenham contro Vasas Budapest, secondo tempo commentato da quel Peter Lloyd che avrebbe poi narrato Blackpool-Bolton, anche se quella sera a causare problemi non fu la luminosità in sé, viste le notevoli luci dello stadio White Hart Lane, ma la nebbia, calata in modo scomodo durante il secondo tempo. Il 26 ottobre prima diretta inglese di una partita di coppa, Londra-Francoforte per la Coppa delle Fiere, e il 12 gennaio 1956 ITV fece poi la storia con la prima diretta di FA Cup, Bedford Town-Arsenal, ripetizione di una partita del terzo turno. Che l’identificazione dello sport come chiave per l’affermazione di una rete fosse immensa lo testimonia il fatto che già a ottobre 1955 ITV stessa avesse organizzato un torneo di rugby unicamente allo scopo di poterlo trasmettere, pratica che ad esempio in Italia trovò applicazione solo, con Mediaset, nei primi anni Ottanta. Il 5 maggio 1956 prima diretta di finale FA Cup di ITV, in diretta concorrenza con la BBC, con commento del solito Lloyd, di Wright e di Frank Swift, l’ex portiere della nazionale, diventato giornalista e morto poi nell’incidente aereo di Monaco del 6 febbraio 1958, quello della tragedia del Manchester United. Sempre ITV fu la prima a fare la diretta di una partita di Coppa dei Campioni di una squadra inglese, la semifinale Manchester United-Real Madrid del 25 aprile 1957, e questo elenco fa comunque capire quanto la situazione si stesse evolvendo nel giro di pochi anni tra la fine della guerra e quel 1960 di Blackpool-Bolton, anche per l’enorme aumento del numero di televisori nelle case, esploso nel 1953 per l’Incoronazione della Regina Elisabetta. IL CAMPIONATO NON SI TOCCA Restava però il fatto che si poteva pensare di trasmettere in diretta tutto, tra Mondiali e coppe europee, ma non in contemporanea con le partite di campionato, e certamente non queste ultime. E gli eventi di quel 1960 lo dimostrano. I motivi erano tanti, e in parte già illustrati: timore di perdita di pubblico in occasione della partita stessa, timore di assuefazione che facesse perdere la voglia di calcio, sentimento che esprimeva una contraddizione involontaria dato che implicava che il calcio non fosse poi così bello da vedere. "Il pericolo della tv è che ci trasformi in una nazione di spettatori da salotto" disse nel 1954 Arthur Drewry, presidente della Football League e successivamente della Fifa, che nel periodo di espansione delle amichevoli internazionali e della loro popolarità aveva addirittura chiesto ai club la conferma scritta che per loro il campionato valesse più delle partite contro squadre straniere. Alcune società, più di altre, erano state fermamente contrarie alle dirette, specialmente a quelle in orari di disputa di altre partite: il Sunderland già nel 1950 aveva fatto questa richiesta formale, aggiunta alla furba insinuazione che la lega stesse vendendo male il prodotto per le sintesi di 5’ in onda il sabato sera sulla BBC, e un anno dopo aveva fatto notare come nel giorno della finale di FA Cup la presenza allo stadio era passata dai soliti 40.000 a 17.727, e i circa 23.000 mancanti erano probabilmente rimasti davanti al televisore, motivo per cui dopo un po’ la finale fu giocata dopo la fine del campionato e non più in un sabato di partite. Anche se fa un po’ specie l’osservazione del club del nordest, riferita al 28 aprile 1951, quando il numero di apparecchi televisivi in tutta l’Inghilterra era ancora ridotto, e la scelta principale per molti era restare a guardare la partita fuori dalla vetrina di un negozio di elettrodomestici. Altro momento importante fu il 1956: sia la BBC sia la ITV offrirono somme notevoli per dirette di campionato, o meglio dei secondi tempi di partite con calcio d’inizio alle 18.15 e solo nella solita zona di Londra, ma ci furono profonde discussioni a vari livelli. Innanzitutto, se è vero che l’orario non si sarebbe sovrapposto a quello delle altre gare, era però anche vero che si sarebbe saputo in anticipo quale partita sarebbe stata scelta per la diretta e dunque molti avrebbero potuto scegliere di vederla da casa, problema che si allargò anche alle semplici rubriche di sintesi della sera. A trattative ancora in corso, i sindacati e le organizzazioni di categoria di artisti, teatri e… corse dei cani, passatempo popolarissimo, fecero pressioni sulla Football League, temendo che l’approvazione del contratto potesse avere ripercussioni sulle loro attività, e alla fine arrivò il no, guidato con vigore da alcuni club, tra cui Liverpool ed Everton, che proseguì nella sua offensiva anche dal 1964, quando nacque Match of the Day, e persino dopo il presunto boom post-Mondiali 1966, unitamente a Burnley e… Arsenal, che dopo un commento critico durante la rubrica impedì l’accesso alle telecamere per quella successiva. GLI ANNI OTTANTA Dopo un lungo periodo in cui il calcio di campionato era stato solo quello delle sintesi, con robusti contrasti tra le due reti rivali, nel 1983, alla scadenza del contratto BBC e ITV per le suddette sintesi del sabato sera, si aprì una nuova fase, culminata in quel Tottenham-Nottingham Forest del 2 ottobre. Nei club, i responsabili commerciali cominciavano ad avere sempre più peso, anche alla luce del calo drastico di presenze allo stadio, causato in buona parte dalle esplosioni costanti di violenza, e le dirette, con adeguato compenso, cominciarono ad avere sempre più peso. Un’azienda chiamata Telejector fece alla Football League una proposta interessante, dal valore annuale di otto milioni, che sarebbero 34 oggi: ogni lunedì sera, la trasmissione integrale in differita di partite su schermi giganti installati in 5000 pub, società sportive, ospedali e persino scuole, aperte ad hoc. Differita, certo, ma integrale e con copertura capillare. Un progetto che avrebbe portato benefici anche ai locali, solitamente meno affollati il lunedì sera. Alcuni club si opposero subito, altri fecero notare come l’ultima cosa che si voleva, in tempi di violenza tra tifosi, era che si mescolassero fans di squadre diverse in un pub, e dopo un po’ la Telejector si fece da parte, lasciando la strada all’accordo biennale siglato solo a luglio: 4,6 milioni totali, più 300.000 annui per compensare mancati incassi, per 10 dirette a testa per BBC e ITV , e questo volle dire che per la prima volta in quasi 100 anni di storia l’orario di quelle 20 partite sarebbe stato cambiato per esigenze televisive. I numeri dissero che le partite del venerdì ebbero successo molto minore di quelle della domenica, arrivate anche a 11 milioni di spettatori, ma la consuetudine della diretta di campionato aveva preso piede, e non poteva più essere fermata. O forse sì, e dagli eventi del 14 febbraio 1985, che Simon Inglis nel suo inarrivabile libro ‘League Football and the men who made it’ definisce come una nuova versione del Massacro di San Valentino, nacque di fatto l’attuale Premier League. QUANDO TUTTO NACQUE I club infatti rifiutarono le offerte di ITV e BBC approvate dalla commissione televisiva, che prevedevano un compenso di 19 milioni di sterline per un quadriennio, con 19 dirette nazionali annuali più 15 dirette su base regionale e le sintesi di un minimo di 66 partite. In complesso, tra sponsor sulle maglie e cartellonistica, ai club sarebbero arrivati circa 52 milioni. Particolarmente ostile fu il celebre Robert Maxwell, presidente dell’Oxford United e imprenditore, di cui divenne famosa la descrizione dell’offerta delle due aziende televisive: "mad, bad and sad", ovvero folle, brutta e triste. Durante le feroci discussioni di quel 14 febbraio venne fuori di tutto, tra club che non volevano proprio calcio in tv e altri che ispirandosi ai contratti della NFL con le reti americane speravano in un minimo di 90 milioni. Alla fine saltò tutto e, come abbiamo raccontato mesi fa nel pezzo su Frank McAvennie, il calcio sparì dagli schermi per alcuni mesi: non ne ne beneficiarono le presenze allo stadio, prossime al minimo storico anche per l’effetto negativo dei disastri di Bradford e dell’Heysel, e le conseguenze a lungo termine furono profonde. I grandi club, specialmente l’Everton, che in quel periodo vinceva tutto sul campo e a cui nuovi dirigenti avevano dato una mentalità completamente diversa da quella precedente, cominciarono infatti a sospettare, anzi a capire, che le loro esigenze erano diverse da quelle degli altri, e col contratto provvisorio partito nella seconda metà della stagione 1985-86 il Rubicone venne attraversato anche sul piano strutturale: il numero di squadre della First Division fu ridotto da 22 a 21 a 20 tra 1986 e 1988 e la percentuale di diritti televisivi loro spettanti passò al 50%, ponendo così fine al sistema in vigore da sempre, ovvero quello della distribuzione equa dei diritti a tutti e 92 i club della Football League. I piccoli club vennero risarciti con l’introduzione dei playoff, in grado così di suscitare emozioni nella seconda parte della stagione, ma ormai il meccanismo era inarrestabile, e con il contratto del 1988 con la ITV, 44 milioni complessivi nel quadriennio 1988-1992, la percentuale a favore dei club della prima serie passò al 75%, con ulteriori dettagli decisivi per il futuro: ad un certo punto infatti Greg Dyke, capo dello sport della ITV, aveva offerto 750.000 sterline annue a testa ai club della cosiddetta Big Five , unione segreta che si era formata in modo non ufficiale già da alcuni anni, più due milioni da dividere tra West Ham, Aston Villa, Nottingham Forest, Newcastle United e Sheffield Wednesday. Una frattura che la lega fermò con minacce legali, arrendendosi però ai fatti e riconoscendo quel 75% alle squadre della First Division, con successiva vendetta interna: impotenti di fronte alle scelte della commissione televisiva, i piccoli club, che ovviamente su 92 erano in maggioranza, esautorarono al voto il presidente Philip Carter, dell’Everton, e ribaltarono la decisione di ridurre la First Division a 18 club, imponendo un nuovo aumento a 22 e annacquandone così il valore sportivo che era stato uno dei punti fermi di quella riforma così parziale e frettolosa, ma decisiva. ARRIVA SKY Nel 1986 l’ente governativo di controllo dell’etere aveva assegnato ad un consorzio chiamato BSB la licenza di trasmettere via satellite, e la BSB basandosi sull’esperienza americana aveva provato a inserirsi nei diritti della Football League del 1988, offrendo addirittura un contratto decennale con un minimo garantito di nove milioni annui, potenzialmente in grado di salire a 25 e trovando anche favore presso alcuni club della Big Five, che però non si erano fidati della tecnologia ed erano terrorizzati al pensiero che la BSB saltasse per aria a metà strada. Pericolo reale, che correva anche la rivale nata nel 1988, Sky, e che fu scongiurato dalla fusione, avvenuta nel novembre 1991 e nella quale Sky ebbe la supremazia finanziaria e logistica, dato che si affermarono le sue antenne satellitari tonde rispetto a quelle quadrangolari di BSB. Per sfondare, però, Sky aveva bisogno di un colpo clamoroso, che si realizzò quando i club della First Division, per liberarsi della zavorra degli altri, lasciarono la Football League e fondarono la Premier League, certi di un appoggio economico senza precedenti da parte di almeno una tra Sky, ITV e BBC, con l’inserimento improvviso di un consorzio di banche svizzere, che suggerì al potentissimo David Dein la creazione di un canale satellitare gestito dalla Premier League stessa, con dirette OGNI sera tranne il giovedì, progetto che però si smorzò subito per i potenziali costi. I diritti se li aggiudicò Sky, in modo rocambolesco e complicato - troppo per questo articolo - con un contratto da cinque anni e 304 milioni di sterline, che l’azienda poté garantire - come scrive Roger Domeneghetti nel suo ‘From the back page to the front room’ - anche grazie ai 500 milioni di dollari incassati dalla casa madre nel 1991 per il film ‘Mamma, ho perso l’aereo’. Da quel giorno, il campionato in diretta a pagamento è, per gli inglesi, un dato acquisito. E dire che tutto sarebbe potuto avvenire molto prima, ma con altra tecnologia: nel 1965 infatti un consorzio chiamato British Home Entertainment aveva lanciato nelle zone di Londra e Sheffield un aggeggio che andava attaccato al televisore e permetteva la visione di eventi, non solo sportivi ma anche culturali come l’Otello prodotto dal National Theatre. Per collegarsi bisognava infilare monetine in una fessura dell’aggeggio, stesso meccanismo in uso per decenni anche per luce e gas, tra l’altro, monetine che sarebbero state conteggiate a distanza, e si trattava dunque davvero di una forma antesignana di pay-per-view: il governo, però, per proteggere BBC pose un limite di 150.000 abbonati, circa 100.000 in meno di quelli di cui la BHE aveva bisogno per fare quadrare i conti, e dopo tre anni l’esperimento fu chiuso.

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Roberto Gotta