Cassano: "Ho voglia di calcio. Erede? Insigne"

Serie A
Antonio Cassano: dopo la risoluzione con la Samp è svincolato e cerca squadra (getty)
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Il talento barese si racconta a 360º: "Il calcio è come la Nutella, quando la assaggi non ne puoi più fare a meno. Sono pronto per tornare". Sul suo essere nerazzurro: "È la mia squadra del cuore. Se dove sono stato più felice in carriera rispondere l'Inter"

"Il calcio è gioia, divertimento, passione. Tutti gli aggettivi più belli che esistono al mondo valgono per il calcio. Il calcio è una droga positiva. E’ come la Nutella, quando la assaggi non ne puoi più fare a meno”. Antonio Cassano sa essere anche romantico, oltre che ‘Fanta’. La sua voglia per il calcio, dopo l’addio alla Sampdoria, non si è esaurita, e ora è pronto a partire per una nuova avventura. Dove? Questo è ancora tutto da vedere: “Mi piacerebbe continuare a giocare perché, dopo i miei figli e mia moglie, la mia vita è il calcio - ha raccontato - Io amo il calcio, sono follemente innamorato del pallone e mi piacerebbe tornare a giocare a calcio. Ho una grande voglia. E' la prima volta che sono rimasto al mio peso, anche se sono fermo da sei mesi. Mi sto allenando duramente con i ragazzini perché ho un grande entusiasmo per tornare a giocare. E sono pronto per farlo”.

Offerte - “Ho ricevuto diverse offerte dall’estero - continua il barese - In Italia ho avuto delle proposte dal Palermo a luglio scorso e anche il Crotone pochi giorni fa mi ha cercato. Però sono innamorato di Genova e mi piacerebbe rimanere nei dintorni, al Nord, se dovessi giocare in Italia. Se invece dovessi andare all'estero, cosa che non escludo, sarebbe ovviamente un altro discorso. In Serie B? Il Pupo a quarant'anni, con questa serie A, può divertirsi ancora un paio d'anni e io penso, a trentaquattro anni, di poter dire ancora la mia. E non facendo solo la presenza. Se arrivasse il momento in cui diventassi ridicolo nel calcio, se non ce la facessi più, sarei il primo a smettere. Io ora sono convinto di poter ancora divertirmi e fare la differenza, in serie A”.


Su Totti - Il capitano giallorosso è stata una dei suoi più grandi compagni di viaggio: ”Bastava che ci guardassimo, con il Pupo, e veniva tutto spontaneo. Mi sono trovato divinamente con lui. E' stato un divertimento clamoroso. Certamente per noi, ma in primo luogo per il pubblico. Eravamo fantasia ed estro, insieme. E' lui quello con cui mi sono divertito di più a giocare al calcio, in tutta la mia vita. E' impossibile non diventare amico di Francesco. E' una persona seria, umile, perbene, a modo. Quando sono arrivato nella capitale i primi quattro mesi lui mi ha fatto vivere in casa sua, dove stava con la mamma e il papà. Mi ha fatto sentire a casa, ma non nel modo di dire, a casa sul serio. Mi ha tenuto tre mesi, fino a che non ho trovato un appartamento per me. Mi ha fatto ambientare in pochissimo tempo, in una metropoli grandissima. Avessi ascoltato Francesco… Stavamo trattando il rinnovo del mio contratto, era un momento di difficoltà tra me la società e lui mi disse: ‘Antò ricordati, meglio guadagnare meno ma essere felici che andare da qualche altra parte del mondo e non essere sereno al cento per cento’".

Il no alla Juve - "Le due volte che ho rifiutato la Juve è stato perché loro vogliono esclusivamente dei giocatori quadrati. Io sono una persona così, chi mi prende deve accettare i miei pregi e i miei difetti. Avevo l'occasione di andare alla Juve però, quando ho iniziato a giocare, ammiravo molto il Pupo, Francesco Totti. Era il giocatore che in quel periodo, in Serie A, era diverso da tutti gli altri. Era il più forte di tutti e io mi rivedevo in lui. Dovevo andare alla Juve però quando c'è stata l'offerta dei giallorossi ho detto al mio procuratore: dobbiamo andare a Roma assolutamente. Non mi importa della Juve. Sono andato a Roma solo ed esclusivamente per giocare con Totti".

La vita al Real - "Sono andato al Real Madrid e dopo un anno e mezzo sono andato via. Ero sedotto dall'offerta del Real ma all'epoca, se avessi ascoltato il consiglio di Francesco, probabilmente sarei rimasto a Roma per dieci, quindici anni insieme a lui. Quello è stato il consiglio che mi ha dato e che dovevo ascoltare. Però al mio solito sono andato d'istinto, di testa mia. Ho sbagliato, e chi è causa del suo mal pianga se stesso. In quell'anno e mezzo a Madrid ho fatto di tutto e di più in senso negativo. Perché c'è gente che pagherebbe oro per andare al Real Madrid con tutti quei fenomeni e io invece ho combinato tutti i casini possibili, andando via dai ritiri, facendo lo stupido, non allenandomi. Pesavo sei o sette chili in più. Quei giorni sono il grande rimpianto che ho, a livello calcistico. La mia felicità era non avere regole, fare quello che mi pareva, fare feste, festicciole, mangiare quello che mi andava, non facendo vita da professionista. Non ho mai avuto vizi di nessun genere, però non sopportavo regole e costrizioni. Ho sbagliato, ho perso una grande occasione. Guarda il Pupo, che oggi, a quarant’anni, fa ancora la differenza. Significa che ha fatto il professionista per venticinque anni. Se avessi fatto io come lui, sicuramente avrei avuto un’altra carriera. Purtroppo ci sono teste e teste".


Sulla Samp - "Volevo tornare a casa, in Italia. Perché mi mancava tremendamente l'Italia, mia mamma non stava bene a Madrid, faceva fatica nell’ambientarsi lì. C'era l’opportunità di tornare in serie B alla Juve. Per la seconda volta l'ho rifiutata e sono andato alla Sampdoria perché, come ho sempre detto, la Juve è una bella donna ma non mi prende. Io sono fatto così. A Genova sono stato benissimo, ho trovato nel mondo del calcio la persona umanamente più grande che si possa trovare: il presidente Riccardo Garrone. Era una persona… non ho aggettivi per descrivere la bontà, l’umanità, di questa persona. Era il padre che avrei voluto avere. Averci litigato è il rimpianto umano più grande che ho, la cosa che tornando indietro non rifarei mai. Rifarei forse tutto il resto ma il litigio che ho avuto con lui ancora oggi non me lo perdono. Però prima che morisse abbiamo chiarito, mi sono messo l’anima a posto e ci siamo riappacificati. Però è stato un errore, un torto che a una persona del genere non si poteva e doveva fare. Non lo meritava assolutamente".

Inter squadra del cuore - "L'Inter è sempre stata la squadra del mio cuore, sono sempre stato interista. Ho spinto perciò come un matto, quando dovevo andare dal Milan all'Inter, perché volevo a tutti i costi la maglia nerazzurra. Ho fatto una buona stagione, con nove o dieci gol. Poi arrivò quel santone di Mazzarri, che si sveglia la mattina e vuole fare quello che sa tutto, e all'inizio mi disse, perché avevamo lo stesso procuratore, che non c'erano problemi con me. Poi, appena firmato, dichiarò: Cassano è il primo che deve andare via. Ho sentito allora Moratti, altra persona fantastica che ho trovato nel mondo del calcio, che mi disse: ‘Antò, sono in difficoltà, Mazzarri mi ha detto che te non rientri nei piani della squadra’. Io, siccome Moratti è una persona da rispettare, ho detto: Presidente non c'è problema, mi trovo una squadra. Sono andato via senza polemica, perché non c'era motivo di farne. Perché se oggi mi chiedessero: ‘Antonio qual è la squadra migliore nella quale tu ti sei trovato? Dove eri felice?’ Io risponderei l'Inter. Perché era gestita in una maniera fantastica da Marco Branca e Piero Ausilio. L'Inter per me è stata la piazza migliore, tra le grandi squadre. Delle piccole invece è stato il Parma".

Sull’erede - "Secondo me oggi, in serie A, ce ne è uno solo. Abbiamo dei ruoli diversi, però l’unico che mi assomiglia, come inventiva, come qualità, come personalità è Insigne del Napoli. Ha genio, è terrone come me. Rivedo in lui tante cose di me".