Schick: "Scelsi la Juve per Nedved, ora sono felice alla Roma. Futuro? Difficile andare più in alto di così"

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A tutto Patrik: "Io, l'infanzia e i calci alle sedie quando non giocavo con la Samp. Scelsi la Juve per Nedved, poi i bianconeri mi hanno deluso". Ora l'avventura alla Roma: "Kolarov mi ha detto che non devo sentire la pressione. Futuro? Pochi club più in alto dei giallorossi"

"Sono orgoglioso e felice di essere qui, non ho mai pensato di andare via!". Con questo messaggio, pubblicato su Instagram, Patrik Schick prova a mettere un punto alle polemiche che in giornata hanno tenuto banco in casa Roma, dopo l'intervista concessa dall'attaccante ceco a un magazine del proprio paese nella quale dichiarava di sognare in futuro un top club europeo. "Adesso faccio tutto per tornare in campo. Ho in testa una cosa sola: dare il massimo per la Roma! Forza Roma Sempre!", conclude il giocatore giallorosso sui social.

A tutto Patrik Schick, senza se e senza ma: lui, l'infanzia in Repubblica Ceca, gli inizi, i "calci alle sedie" quando non giocava con la Sampdoria. Poi la Juve e la chiamata della Roma: "Quando ho firmato mi sono sentito sollevato, ora posso concentrarmi solo sul calcio giocato". L'attaccante ceco si racconta sul magazine "Reporter". Un'intervista a 360 gradi, introspettiva. Ricca di curiosità, aneddoti e storie sulla vita calcistica di Schick.

"Felice alla Roma, sogno il Real"

Sull'arrivo in giallorosso: "Quando ho visto il centro di allenamento mi sono reso conto che qui posso ottenere il meglio, non so se cose del genere esistano da altre parti. Non mi devo preoccupare di nulla, qui ci sono campi perfetti, i migliori sistemi di recupero, la palestra, i nutrizionisti ci misurano continuamente e ci dicono cosa mangiare, ci sono dozzine di impiegati solo per noi". Schick ha parlato anche dei suoi guadagni, alla Roma il suo ingaggio è quintuplicato rispetto a quello che percepiva alla Sampdoria, anche se in futuro non esclude di voler guadagnare ancora di più: "Prendo i soldi come una motivazione, è ovvio che un giocatore desidera spostarsi dove è retribuito meglio, ma è difficile andare più in alto di così. Forse rimangono solo un paio di club, diciamo Real Madrid, Barcellona o Manchester United".

"Scelsi la Juve, Nedved mi chiamò. Poi..."

Poi un commento amaro sul mancato passaggio alla Juventus: "A fine stagione potevo scegliere, le offerte che mi piacevano di più arrivavano da Torino, Milano e Roma. Scelsi la Juventus perché mi chiamò Nedved. Non vedevo l’ora. Francamente a giugno mi sentivo un giocatore della Juventus, ma in realtà non lo ero". Le visite mediche a Torino hanno rivelato un piccolo problema al cuore, ma il ceco era rimasto fiducioso sulla sua salute: "Sapevo che non era niente di serio, era un’infiammazione cardiaca che era passata, stavo bene, sapevo di avere abbastanza tempo per riposare, ma la Juventus rinviò il mio trasferimento. Quando tornai dalle vacanze, il mio agente Paska mi disse che sarei dovuto tornare a Torino per altri test. Risposi che non sarei andato da nessuna parte. Alla Juve non importava più di me, ero un po’ arrabbiato. A metà luglio, la clausola di risoluzione da 25 milioni non fu più valida, dunque il presidente della Sampdoria mi disse che avrebbe voluto spuntare il prezzo più alto possibile e lo fece, cedendomi per 40 milioni di euro alla Roma".

I consigli di Kolarov

"Quando ho firmato, ho provato grande sollievo perché potevo concentrarmi solamente sul calcio. Sono sicuramente più tranquillo di un anno fa a Genova, perché arrivai come un signor nessuno, ma qui tutti mi conoscono, sanno che sono un giovane che qualcosa ha fatto. Kolarov mi ha rassicurato e mi ha detto di non subire il peso del costo del mio cartellino, di star calmo e che tutto sarebbe andato bene e che sono stati loro a voler spendere quei soldi".

Sull'arrivo alla Samp e Giampaolo

E ancora: "Giampaolo mi chiese come mi chiamassi e mi resi conto che non sapeva chi fossi. A volte mi sono chiesto se sarei dovuto rimanere allo Sparta. Dopo le partite in cui non giocavo, stavo a casa arrabbiato, a malapena salutavo Hanca (la compagna, ndr) e mi chiudevo in camera. Tutti i miei cari mi dicevano di essere paziente, così ci provai e ci fu una svolta. Ero a Torino dove giocammo contro la Juventus, alla fine di ottobre. L'allenatore mandò in campo le riserve, probabilmente voleva farci fuori, dandoci una chance per poi avere dei motivi per non farsi rompere le scatole dopo la sconfitta. Ma andò abbastanza bene e dopo un quarto d’ora segnai, fu una fortissima emozione. Per un po’ non credevo che fosse vero, nonostante non ci fosse nulla di controverso. Provai entusiasmo per diverse settimane". Lunga strada verso la gloria: "Due giorni dopo in allenamento sbagliai un paio di volte e lui cominciò a urlarmi contro in modo isterico". Nella partita successiva Schick va in panchina: "C’erano anche i miei genitori a vedermi. Quando tornai a casa mi chiusi in camera e diedi calci alle sedie per un’ora. Chiami di nuovo il mio agente e mi disse che la mia chance sarebbe arrivata. Nella partita successiva l’allenatore mi fece scaldare all’intervallo, ma al 18’ mi disse di sedermi perché sarebbe entrato qualcun altro. Ma poi lui fu allontanato per proteste e il suo secondo mi chiamò: nella mia testa avevo già smesso di giocare, ma entrai e segnai al 90esimo".

"Già da piccolo segnavo molto..."

Sull'infanzia e gli inizi: "Mi facevo notare, segnavo molto, ma quando non ci riuscivo piangevo talmente tanto che i miei allenatori mi dovevano sostituire. Papà si preoccupava per me, assisteva sempre alle partite e quando facevo qualcosa di sbagliato si copriva gli occhi con le mani e scuoteva la testa: mi rendeva nervoso. A 12 anni ero un giocatore dello Sparta Praga e partecipai a un torneo. Per qualche motivo, papà scosse ancora la testa, e quando mi urlò qualcosa non ressi più, mi girai verso di lui e gli feci il dito medio. Penso che qualcosa successe in quel momento. Sono cambiato molto. Fino ad allora, me la prendevo parecchio, ma improvvisamente pensai: “Chi sta giocando a calcio qui? Io o lui? Io!”. Papà smise, non ho mai più mostrato il medio, di solito ondeggio la mano, ma significa la stessa cosa".