L'ennesima rinascita di Adel Taarabt, fantasista dalle sette vite

Serie A

Stefano Piri

Arrivato a Genova a metà della scorsa stagione, col tempo il marocchino ha ritrovato la forma fisica e ha ricominciato a danzare per il campo


Adel Taarabt è stato il migliore in campo nella seconda vittoria stagionale del Genoa, a Crotone, un paio di settimane fa. Nel primo tempo ha scompigliato le linee rigide dei calabresi con le sue strane accelerazioni di suola dal passo pesante; nel secondo ha dato il meglio di sé proteggendo il pallone e il vantaggio del Genoa grazie ad un inesauribile repertorio da giardinetti, fatto di spazzolate d’esterno e oscillazioni del corpo che fanno scomparire e riapparire il pallone come se la visione degli avversari fosse una trasmissione televisiva lievemente disturbata.

Negli ultimi minuti della partita, poco prima di essere sostituito da Centurion e salutato dall’ovazione dei genoani presenti a Crotone, Taarabt ha attraversato il campo in diagonale rifilando agli avversari due tunnel riusciti e uno quasi in una manciata di secondi. Quando finalmente è riuscito a strappargli il pallone dai piedi, il Crotone aveva consumato così tante energie nervose che ha spazzato il pallone malamente in avanti, pur avendo tutto il tempo per impostare. “Taarabt si diverte!” gridavano intanto i commentatori di Sky.

Superando le ultime comprensibili cautele dopo la partita la stampa ha decretato più o meno all’unanimità che Taarabt “è tornato”, una notizia che all’inizio dell’anno sembrava inimmaginabile.

 

Fuori rosa dalla squadra riserve

Taarabt è arrivato al Genoa a gennaio 2017 dal Benfica, che lo aveva prima spedito nella squadra riserve e poi messo fuori rosa dalla squadra riserve stessa, che è un po’ come retrocedere dall’inferno a un metainferno, o essere licenziati da disoccupati.

Era in evidente sovrappeso, e la curiosità piena di aspettativa che il mondo del calcio gli aveva tributato fino a qualche anno prima si era da tempo trasformata in stizzito disinteresse. Nessuno sembrava più interessato al conflitto interiore che un tempo aveva reso così affascinante la parabola di Taarabt, perché appariva ormai chiaro che si trattava di una lotta impari: per smisurato che fosse il suo talento, la sua inaffidabilità, svogliatezza e complessiva capacità di autosabotarsi erano comunque maggiori.

I suoi esordi abbaglianti, le sue stagioni di pura ispirazione con il QPR, la cavalcata in Milan-Napoli conclusa con quell’incredibile schiaffo di piatto nell’angolino da venti metri non esistevano più in quanto tali, ma solo come carta straccia, garanzie fasulle di promesse non mantenute. Di Taarabt erano più facili da ricordare i comportamenti grotteschi, tali da spingere l’ex mentore Redknapp ai tempi del QPR a definirlo “un bugiardo” e “il peggior professionista con cui io abbia mai avuto a che fare”, la lite con Joey Burton, le dichiarazioni scomposte e spesso autolesioniste («dopo aver giocato nel Milan tornare al QPR è deprimente», appena tornato al QPR, oppure «la Serie A mi fa schifo» nel momento in cui un paio di società di serie A erano le uniche in Europa pronte a dargli una possibilità).

Preziosi e Juric lo hanno accolto con ottimismo ma anche con ferma rassegnazione all’idea che il Genoa non potesse fare assolutamente nulla di pratico per rilanciare la sua carriera, a parte sperare per il meglio. La lotta di Taarabt è con sé stesso – hanno detto in sostanza entrambi per commentare il suo arrivo – e una società che lo acquista non ha più possibilità di determinare  l’esito di questa lotta di uno scommettitore o di uno spettatore qualsiasi.

Taarabt invece per una volta ha fatto dichiarazioni talmente umili e promettenti che viene da pensare gliele abbia fatte imparare a memoria il suo terapista, e si è tirato insieme a sufficienza da far venire l’acquolina in bocca ai genoani con un paio di frazioni di gara sontuose. Dopo meno di un mese ha cambiato una trasferta a Firenze servendo due assist da subentrato a Simeone e Hiljemark e consentendo al Genoa di pareggiare 3-3. Poi ha avuto un piccolo infortunio e si è lasciato inghiottire da qualunque cosa sia quella che lo inghiotte nei momenti brutti, ha giocato qualche altra partita in modo insignificante e uno scampolo di derby in modo rattristante, messo in campo per provare a raddrizzarla ma talmente lento di gambe e di pensiero, talmente impotente, da sembrare davvero un ex calciatore.

Allora è scomparso completamente dai radar, al punto che quest’estate ho avuto più di una conversazione con genoani solitamente molto informati che si chiedevano se Taarabt fosse ancora in rosa, se fosse invece tornato al Benfica e se in generale giocasse ancora a calcio di mestiere. Una risposta parziale e tutt’altro che incoraggiante è arrivata a fine agosto, quando Taarabt ha rilasciato un’intervista nella quale diceva di aver “perso la passione per il calcio” e di stare pensando di ritirarsi.

L’umiltà di Taarabt

Un paio di settimane dopo è uscita la notizia che Taarabt aveva chiesto a Juric una seconda possibilità, che si era messo a dieta e che si stava allenando come un pazzo, e personalmente non ho avuto dubbi sul fatto che facesse sul serio, perché ho molti amici che passano con la stessa rapidità da periodi di depressione assoluta a febbrili propositi di riscatto, e so quanto possono essere seri e dedicati nelle fasi “buone” (so anche che in una certa misura questa determinazione maniacale ma intermittente è una delle determinanti della loro incompiutezza, e soprattutto della loro infelicità).

In effetti Taarabt si è presentato in forma alla prima di campionato, ha impiegato un paio di partite a trovare il passo e poi ha iniziato a fare cose da stropicciarsi gli occhi. La trasferta di Udine alla terza di campionato ha anticipato alla perfezione quello che sarebbe stato l’andamento della stagione. Un Genoa volenteroso ma mortalmente lento e prevedibile si consegna agli avversari, mentre Taarabt cerca di cambiare la musica della partita con una serie di assoli, sterzate, inciampi calcolati.

Contro Lazio, Inter e Bologna, le giocate di Taarabt somigliano così tanto a zampilli di acqua fresca nel deserto che non è chiaro se il pessimo rendimento della squadra lo penalizzi o lo aiuti a risaltare. Stampa e tifosi non possono far finta di niente, ma allo stesso tempo cercano di trattenere l’entusiasmo come quando si e’ corteggiati da un ex fidanzata o un ex fidanzato che abbiamo amato alla follia ma che ci ha fatto soffrire troppo.

Il 16 ottobre a Cagliari però Taarabt mette in campo una di quelle prestazioni che tirano per la giacchetta anche gli scettici. Dopo una manciata di minuti serve a Galabinov il pallone dell’uno a zero con un filtrante da videogioco che si infila come una lama tra cinque difensori del Cagliari. Pochi minuti dopo lo fa di nuovo, in una situazione di altrettanto soverchiante inferiorità numerica, e Galabinov non fa doppietta solo perché davanti a Cragno opera con lentezza da stopper.

Al trentacinquesimo infine Taarabt riceve all’indietro al limite dell’area, accarezza la palla con l’esterno e detta l’uno-due a Rigoni che gliela restituisce nella lunetta, dove Taarabt strozza il destro sul primo palo mandando la palla nell’angolino. Il Genoa vince la prima partita stagionale e trova il suo uomo-squadra, che si conferma anche nella partita successiva contro il Napoli segnando di nuovo con un gran diagonale.

Al procuratore di Taarabt questo basta e avanza per dichiarare l’intenzione di trovargli una squadra da Champions League, e adombrare la possibilità di un addio al Genoa già a gennaio. Viene spontaneo chiedersi se un procuratore del genere faccia bene ad un giocatore che sotto tutti i punti di vista è ancora convalescente da una serie di crisi profondissime, ma in modo più neutrale c’è anche da chiedersi se andare in una squadra “da Champions” sarebbe davvero una buona mossa per Taarabt, e più in generale quale sia il posto adatto ad un giocatore come lui nel calcio contemporaneo.

Siamo così abituati a pensare ai suoi problemi di comportamento che rischiamo di dimenticarci che nemmeno a livello tecnico Taarabt è completo. Ha una facilità e una varietà di dribbling paragonabile a quella dei migliori calciatori in assoluto, e una tecnica di calcio poco inferiore, ma le sue scelte di gioco sono spesso da giocatore di seconda fascia, cresciuto nelle ostilità del calcio di strada. Spesso tiene troppo la palla e perde uno o due tempi di gioco aspettando in un modo che potremmo definire infantile che i compagni di squadra facciano proprio il movimento che vuole lui. Tende a forzare la ricerca della giocata decisiva anche quando scelte più conservative avrebbero effetti più sicuri e comunque interessanti. Alterna momenti di frenesia in cui chiede palla in tutte le zone del campo con continuità maniacale a lunghe pause in cui è costretto a rifiatare e ha la faccia di uno nella fase depressiva della sindrome bipolare. Tutti difetti veniali a fronte delle sue iniezioni di vitalità in una fase offensiva sterile come quella del Genoa di quest’anno, che però diventerebbero problemi molto seri ad un livello appena più alto. Quando Taarabt salta due uomini e poi spreca tutto provando a segnare d’esterno a giro da venticinque metri, a Genova prende un applauso, altrove gli tirerebbero i seggiolini.

Il gioco di Taarabt è antimoderno da moltissimi punti di vista. Il suo modo di dribblare e pettinare l’erba col pallone è puro, classico, basato sull’inganno e l’abbaglio dell’avversario e quindi soggetto a un margine d’errore troppo alto per la filosofia del possesso abbracciata dalla maggior parte dei top club contemporanei. La dimensione di Taarabt è quella del trascinatore di un club di seconda o terza fascia, dove può ricevere il calore, la fiducia e la pazienza di cui ha bisogno per rendere al meglio.

Lo abbiamo appena recuperato in questa veste e c’è da sperare che il frenetico ascensore sociale del calcio moderno non lo porti a ventott’anni in una prigione dorata in cui perdersi definitivamente. Vogliamo Taarabt in provincia, a rendere bellissime partite che senza di lui non guarderemmo nemmeno a pagamento. Speriamo non ce lo portino via.