La giornata di campionato pasquale ha portato in dote giocate belle come casatielli, dall'assist di Luis Alberto alla traversa di Calhanoglu, che sta ancora tremando
La giornata pasquale della Serie A è stata un altro momento importante per tutti gli obiettivi in gioco nel campionato, dallo Scudetto alla lotta salvezza. Le belle giocate sono arrivate belle e piene come il casatiello, anche nella partita fra Juventus e Milan, forse quella che più di tutte ha spostato gli equilibri della Serie A ieri. Cominciamo allora, prima che vi mettiate a tavola.
Simone Verdi è sicuramente uno dei giocatori più determinanti per la propria squadra in Serie A. Non solo e non tanto per l’apporto più visibile - comunque 7 gol e 8 assist - ma anche per tutte le pieghe della partita in cui fornisce il suo aiuto alla squadra. In uscita dalla difesa, dove il Bologna fatica sempre, offrendosi sempre come un porto sicuro anche per le ricezioni spalle alla porta più complicate.
Simone Verdi è però anche un giocatore bello da veder giocare, la cui ambidestria aggiunge qualità e imprevedibilità alle palle che tocca. In uscita da calcio d’angolo c’è un pallone a campanile, Verdi è più o meno solo ma con uno sguardo nota alla sua sinistra l’arrivo di Perotti; allora effettua un controllo morbido di interno con cui dribbla in controtempo l’argentino. Dopo aver dribblato col destro, Verdi riparte in conduzione col sinistro e con l’esterno anticipa il nuovo intervento dell’avversario e guida la transizione del Bologna.
Contro la Roma Verdi non ha giocato una partita appariscente, ma all’interno della strategia totalmente difensiva dei rossoblù ha aiutato con un po’ di protezioni palla, piccoli scatti, cambi di gioco, che hanno permesso ai compagni di prendere fiato, allentando la pressione.
In questa rubrica spesso usiamo le giocate come pretesto per parlare bene di certi giocatori e delle loro prestazioni. Quello che non abbiamo ancora fatto e usarle invece per parlare male di questi giocatori. Cominciamo allora con questo tunnel di Kolarov.
Il terzino serbo viene da una grande stagione, dove ha disperso un po’ di qualità via via che la quantità delle partite si accumulava. In questo finale di stagione sembra in modalità sopravvivenza, cercando di tirare fino alla fine amministrando le proprie forze. Anche ieri, dobbiamo ammettere, Kolarov è stato tra i migliori della Roma. Basta guardare le sue statistiche per accorgersene: 2 tiri, 2 passaggi chiave, 7 dribbling completati (!). Un vero dominatore statistico. Anche a causa dell’aridità offensiva della Roma, i giallorossi si appoggiano spesso su di lui a sinistra, sperando che dal suo mancino nasca qualcosa di interessante. Per questo tocca tantissimi palloni e si prende parecchie responsabilità. Persino troppe: la Roma si appoggia alla vena di Kolarov in tutte le situazioni e a tutte le altezze del campo, in modo forse eccessivo considerando che si tratta di un terzino. E allora, ogni tanto, Kolarov sembra stanco, sembra non volere tutte le responsabilità che gli vengono date.
Per questo, a fronte di tante giocate preziose ce ne sono altre fini a sé stesse, perfette per questa rubrica ma ininfluenti nell’economia della partita, che servono più che altro all'autostima di Kolarov. Questo tunnel di suola su Verdi, realizzato secondo me non a caso dopo aver subito fallo, con quel piglio passivo-aggressivo che spesso ha Kolarov in campo, è un buon esempio di bella giocata che gonfia le statistiche di Kolarov senza portare particolari vantaggi. Sono anche queste giocate, apparentemente ininfluenti, a trasmettere l'autostima di Kolarov alla squadra, a contagiare la squadra di Di Francesco di un po' di euforia necessaria a rompere un contesto tattico spesso troppo prevedibile: è da un tunnel di Kolarov, ad esempio, che era nata l’azione del gol del 2 a 0 della Roma a Napoli.
Per quanto suoni assurdo guardando il risultato finale di 6 a 2, la Lazio a mezz’ora dalla fine stava perdendo 2 a 1. Aveva preso due gol dagli unici due affondi offensivi del Benevento e davanti faticava a rendersi pericolosa. Di solito è Milinkovic-Savic che in questi contesti si assume le responsabilità più grandi, ma il serbo era ancora in panchina per problemi fisic.
L’azione parte da Simone Inzaghi che placca il pallone e lo dà a Marusic per battere velocemente la rimessa laterale. Luis Alberto si fa dare palla una prima volta, la appoggia a Caicedo che però ha un brutto controllo. Il Benevento è aggressivo e la manovra della Lazio troppo involuta anche in questa occasione. Poi però Luis Alberto, che comunque non si è smarcato ed è in una posizione ambigua tra le linee, chiede palla, la riceve e in un attimo scodella a Caicedo il pallone del 2 a 1. Ci sono due cose da notare in questo assist.
La prima è il fatto che Luis Alberto alzi la palla col collo del piede, ma poi la indirizzi quasi con il collo-esterno. Una parte di piede su cui una ristrettissima cerchia di calciatori ha sensibilità. La seconda è l’aria quasi stizzita con cui Luis Alberto lascia andare il pallone. Sembra uno che sta alzando il pallone all’amico scarso per una tedesca in spiaggia.
Se dovessimo fare un catalogo astratto dei migliori gesti tecnici della Serie A, accanto al dribbling di Douglas Costa, al colpo di testa di Icardi, al cambio di gioco di Insigne, ci sarebbe anche il tiro di Hakan Calhanoglu. Era anche la qualità più scontata, quando quest’estate è arrivato in Italia: «Diciamo che Hakan non me lo aspettavo con una gamba così importante, vedevo il tiro e la balistica, ma pensavo fosse lento invece quando apre e strattona apre il campo, non mi aspettavo un giocatore così completo» ha dichiarato Gattuso di recente.
Calhanoglu può calciare la palla con tutte le parti del piede non calando minimamente né in potenza e né in precisione. Può usare una meccanica moderna, calciando con un mezzo esterno che imprime traiettorie imprevedibili alla palla; ma ama calciatore anche di interno a giro, o di collo pieno. Calhanoglu è molto sicuro di questa qualità e prova il tiro da fuori spessissimo: 4.7 volte ogni 90 minuti, il quarto in Serie A per tentativi. Eppure non ha ancora segnato da fuori area in Serie A, riuscendoci quest’anno solo in Champions League contro l’Arsenal a Londra.
Ieri però si stava per rifare con quello che sarebbe stato non solo uno dei gol più belli dell’anno, ma anche dei più decisivi. Il Milan attacca la Juventus in transizione quattro contro due. André Silva scarica su Calhanoglu che attacca il corridoio di centro sinistra. Barzagli indietreggia; André Silva taglia verso l’esterno e offre il passaggio in profondità, Calhanoglu lo usa come premessa per provare il tiro. Ha la palla addosso e il busto quasi frontale rispetto a questa. La palla si alza e poi si abbassa un po’, ma non troppo da scendere sotto la traversa. Da un replay successivo si è vista la porta di Buffon tremare, ed è la migliore immagine di quanto la Juventus sia andata vicina a non vincere una partita che invece è stata, ancora una volta, fondamentale per dare una spallata al Napoli nella corsa Scudetto.
Fra le cose che invece metteremmo fra le sottovalutate della Serie A ci dovrebbe essere anche il contributo difensivo di Pjanic. Probabilmente per quel fisico, del tutto sprovvisto di muscoli, così sfacciatamente anti-agonistico, la nostra idea di Pjanic è quella di un giocatore raffinato e svampito, che lascia ai compagni il lato sporco delle partite. In realtà il bosniaco è uno dei centrocampisti della Serie A più efficaci in fase difensiva, e di sicuro fra i più intelligenti.
Pjanic intercetta 2.1 palle ogni 90 minuti, è il settimo fra i centrocampisti in questa graduatoria, a dimostrazione di un’intelligenza e di un istinto non comune nel difendere in avanti e leggere il gioco avversario. Questo intercetto, effettuato quando le due squadre di erano allungate sul campo e si è di fatto decisa la partita, racconta bene le qualità di Pjanic. Il bosniaco segue tutta l’azione senza affanno, tenendo continuamente d’occhio palla ed avversari. Bonaventura gli corre a sinistra, attaccando il centro, ma Pjanic non si scompone e si mantiene a metà tra lui e Suso, per negargli la possibilità di rientrare verso l’interno. Quando Suso poi cerca di servire Bonaventura al centro, e Pjanic intercetta, sembra tutto naturale, ma è frutto di una lettura raffinata partita da lontano.
Saponara sembrava un giocatore perduto. Prima di metà marzo aveva giocato, in questa stagione, appena due ore complessive. Da quando è arrivato alla Fiorentina ha avuto un numero quasi non ricostruibile di problemi fisici, più o meno gravi e quando è rientrato in campo, con i capelli rasati e l’aria imbolsita, è sembrato la copia sbiadita del trequartista moderno che era all’Empoli.
Proprio in questo finale di stagione Saponara ha invece ritrovato una centralità insospettabile nella Fiorentina. Ha giocato da titolare le ultime 3 partite e con lui in campo la Fiorentina ha sempre vinto, segnando 5 gol e subendone 1. Ieri contro il Crotone ha giocato una grande partita, realizzando 4 dribbling, completando il 92% di passaggi e offrendo alla viola una qualità sulla trequarti che quest’anno era stata fin troppo sacrificata in favore della quantità.
In questo gol si capisce bene quanto sia preziosa la sua bravura nell’ultimo passaggio. È una situazione completamente chiusa, in cui Chiesa tiene palla fermo, circondato da tre giocatori. Tocca a Saponara e si inserisce, non sembra esserci lo spazio fisico per restituirgli il pallone, ma il trequartista lo fa passare fra le gambe dell’avversario. È un gol con una dinamica da futsal, dove gli spazi stretti costringono a surplace intervallate da strappi improvvisi e gesti tecnici chirurgici. Bella anche la finalizzazione di Chiesa, che alza il pallone sopra la testa di Cordaz.
Saponara era un giocatore teoricamente perfetto per il calcio verticale e ad alti ritmi pensato da Pioli, e la sua assenza è stata forse sottovalutata nella valutazione della stagione della Fiorentina.