Serie A, le migliori giocate della 32^ giornata

Serie A

Francesco Lisanti

L'assurda parata di Donnarumma su Milik, Douglas Costa che brucia l'erba contro la Sampdoria, il gol in pallonetto di Diabaté e altri momenti incredibili di una giornata ricca di 0-0, ma comunque da ricordare

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Nella giornata dei cinque 0-0 sarebbe sbagliato arrivare alla conclusione che il campionato italiano, con molte squadre già soddisfatte della propria classifica, senza troppe ambizioni e paura, abbia deciso di protestare contro il pazzo festival delle rimonte della Champions League con una sorta di sciopero del gol. Come sempre, anche nelle partite con meno occasioni pericolose si nascondono frammenti di puro calcio, in grado di ricollegarci con la ragione stessa per cui guardiamo la Serie A. Questa settimana si sono messi in mostra alcuni dei giocatori culto di questa stagione (Barak, Ceccherini, Diabaté) e si sono presi altri quarti d’ora di gloria alcuni dei giocatori più di valore del campionato (Douglas Costa, Milinkovic-Savic, Donnarumma), con giocate eccezionali dal punto di vista fisico e tecnico. Insomma, tutto sommato, pur senza grandi movimenti in classifica, è stata una giornata piuttosto rappresentativa della diversità che il campionato italiano ha da offrire.

Barak è una delle più belle sorprese che il precampionato ci ha nascosto. Se torniamo con la memoria a una settimana dall’inizio della Serie A, ricorderemo che Barak non era ancora riuscito ad allenarsi con il resto della squadra, mentre lavorava con una tabella differenziata per superare un infortunio che si trascinava dalla stagione precedente. Poi, però, si è ambientato in fretta: al termine della seconda partita Delneri lo definiva «l’unica situazione che mi ha dato buone indicazioni per il futuro, è un gioiello». Lo stesso poteva dire lo scorso sabato Massimo Oddo, incastrato in un tunnel di 8 sconfitte consecutive, pallidamente illuminato dalla luce della serpentina di Barak lunga sessanta metri, con cui ha permesso a Lasagna di portare in vantaggio l’Udinese a Cagliari. Prima che l’Udinese prendesse due gol e tornasse nel buio del tunnel: adesso le sconfitte consecutive sono 9.

I tentativi a vuoto di Barella, prima, e Ceppitelli, poi, ricordano molto certe azioni di Holly e Benji, quelle con le scivolate riprodotte alla maniera dei duelli western, con gli attaccanti che saltano per evitare il contrasto e rimangono sospesi in aria per diversi secondi, ritrovando subito l’equilibrio per continuare a correre e saltare l’avversario successivo. Ritrova subito l’equilibrio anche Barak, che non ha il fisico di uno studente liceale giapponese, che è un gigante di un metro e novanta capace di accorciare rapidamente i passi dopo l’atterraggio, per servire un passaggio rapido e preciso che incrocia l’inserimento di Lasagna. Holly e Benji, in effetti, era molto più realistico.

C’è un videogioco coreano sul calcio con le armature, le scosse elettriche, le teste che esplodono e poi ritornano al loro posto. Ceccherini sembra venire dall’universo di quel videogioco, sempre pronto a lanciarsi sui palloni vaganti come se fossero granate, usando il proprio corpo come scudo per proteggere la porta e i compagni. Nella delicata trasferta contro il Genoa, che il Crotone ha affrontato con molti assenti tra i titolari, Ceccherini ha compiuto due scivolate provvidenziali nel giro di cinque minuti che hanno alimentato fino alla fine, seppur invano, le speranze dei calabresi di poter pareggiare (e invece hanno perso 1-0).

Nella prima delle due scivolate, la grande difficoltà sta nel cambiare orientamento della corsa senza perdere velocità, dopo il tocco filtrante di Hiljemark che ha preso in controtempo Ceccherini. Per un attimo rischia anche di cadere su sé stesso, finché non trova le forze per lanciarsi in scivolata, aiutato dal fatto che anche Pandev ha perso tempo, perché sorpreso dalla pulizia del tocco di Hiljemark.

Nella seconda scivolata, Ceccherini prima stoppa incredibilmente Pandev, a pochi passi dalla porta vuota, e poi si ritrova a terra a contorcersi per il dolore mentre Bertolacci noncurante colpisce una traversa (e dissimula in maniera abbastanza ridicola l’accenno di esultanza sulle braccia). È un’altra occasione in cui Pandev si dimostra non abbastanza rapido, non abbastanza impulsivo, non abbastanza feroce per contendergli questi palloni vaganti. Ceccherini si alimenta con la forza della disperazione, e considerando la posizione in classifica del Crotone non poteva trovarsi in un posto migliore.

Tutte le parate clamorose realizzate nei minuti di recupero invertono il corso della storia, costringendoci a chiedere cosa sarebbe successo se quel pallone fosse entrato. La conseguenza più ovvia di questa parata di Donnarumma è che la Juventus si avvia a vincere il suo settimo scudetto consecutivo (il portale statunitense FiveThirtyEight assegna ormai una probabilità di vittoria del 94%). C’è anche una seconda conseguenza, che non possiamo trascurare.

Dopo un anno speso a discutere se meritasse o meno i soldi che guadagna, se intendesse o meno legarsi a lungo alla squadra che lo ha lanciato, questa parata ci ha restituito quel genuino entusiasmo nei confronti di un talento così precoce e così eccezionale, che da ieri è anche il più giovane di sempre ad aver tagliato il traguardo delle 100 partite in Serie A (con due anni di vantaggio sulla traiettoria di Buffon, un confronto a cui è impossibile sottrarlo).

I più attenti ne avranno tratto anche una riflessione sull’importanza del controllo orientato. È vero, Milik calcia nell’angolo che Donnarumma ha già battezzato, ancor prima che caricasse la conclusione. Però non ha alternative: se volesse calciare sul primo palo dovrebbe andarci con il destro, che non è il suo piede e oltretutto rischierebbe di farsi anticipare da Musacchio. È il rimbalzo del pallone a influenzare le conseguenti decisioni dei due protagonisti: se Milik lo avesse fatto scivolare lateralmente, per chiudere di sinistro sul palo più vicino, probabilmente staremmo parlando di un’altra vittoria nel recupero del Napoli, di un chiaro disegno astrale per tenerlo in corsa. Invece il controllo di Milik si strozza sul suo piede, e a quel punto può affidarsi soltanto alla precisione. In effetti Milik è molto preciso nel calciare, ma Donnarumma lo è altrettanto nel chiudere lo specchio.

Questo gol di Diabaté ricorda quel famoso aforisma di Einstein sulla struttura alare del calabrone, che in relazione al suo peso non dovrebbe permettergli di volare, eppure in qualche modo questo succedeva. Solo che l’insetto non era il calabrone, ma il bombo (un altro insetto impollinatore). E l’aforisma non era neanche di Einstein, ma di Sikorskij, ingegnere e aviatore russo. D’altra parte si sa che internet deforma in modo grossolano la memoria storica, di conseguenza ci dobbiamo chiedere cosa resterà di queste tre settimane in cui Cheick Diabaté è saltato fuori dal buco nero del mercato di riparazione del Benevento segnando tre doppiette consecutive, un evento che non si ripeteva dal 2001 (all’epoca fu Dario Hubner, altro attaccante di culto).

Diabaté ce lo ricorderemo perché la sua struttura fisica non dovrebbe permettergli di realizzare gol del genere: ha delle gambe veramente troppo lunghe per trovare dei jeans della sua misura nei grandi magazzini, tanto più per ridicolizzare Pegolo con questo pallonetto morbidissimo. La preparazione al tiro è composta da una serie di finte sul posto, che a causa della lunghezza delle gambe di Diabaté potrebbero anche non essere finte sul posto, ma passi che è costretto a fare prima di trovare l’impatto con la palla. Anche il tacco di Djuricic che lo mette da solo davanti alla porta è molto bello, e ci riconcilia con un’idea di grazia più tradizionale.

Per capire la portata di Douglas Costa sul nostro campionato conviene partire dalla fine, e andare a ritroso. Sala si ritrova crocifisso sul prato, frustrato dal senso di impotenza. Viviano è accovacciato con la testa sulle ginocchia, come un impiegato sulle scale davanti al portone dell’azienda che lo ha appena licenziato. Regini si gratta il naso e si guarda intorno con l’aria di chi non vuol saperne più niente: ha compiuto uno sforzo oltre le sue possibilità per recuperare la posizione, con gli occhi a terra, la lingua di fuori e il collo incassato nelle spalle, e quando si è ritrovato nell’uno contro uno non aveva più le forze neanche per pensare a quale lato convenisse coprire. Con leggero ritardo arriva in area Ferrari, che all’altezza del cerchio di centrocampo aveva deciso di ribellarsi, di porre fine alla dittatura dei dribbling supersonici. Aveva tentato l’anticipo in scivolata, ma a Douglas Costa era bastato un tocco di mezzo esterno in equilibrio precario per sgusciare via a una velocità fuori controllo.

Da quando è arrivato alla Juventus, Douglas Costa ha dato spesso l’impressione che gli mancasse solo un po’ di istinto finalizzatore per saltare sul gradino dei più grandi calciatori contemporanei, ma la sensibilità con cui si accorge dell’inserimento di Khedira e gli regala un pallone comodissimo da appoggiare in rete fa parte di quella categoria lì, una categoria troppo distante dal mondo in cui vivono i difensori della Sampdoria.

Non esiste una classifica dei giocatori più citati in questa rubrica, ma se se ci fosse Milinkovic-Savic sarebbe in testa senza ombra di dubbio. Contro la Roma ha regalato almeno tre giocate degne di essere menzionate.

Abbiamo lasciato fuori lo strabiliante pallonetto disegnato in corsa che pesca Immobile in area di rigore nell’unico punto in cui avrebbe potuto raggiungerlo - una delle più ghiotte occasioni della Lazio, che Immobile conclude di sinistro stringendo troppo la traiettoria - e che percorre l’unica traiettoria possibile per raggiungerlo, dato che tutti i canali rasoterra erano occupati dalla densità della difesa romanista. Abbiamo lasciato fuori anche l’ultima azione della partita, il collo pieno da oltre sessanta metri di rara potenza e discreta precisione che prova a sorprendere Alisson proprio sullo scoccare dell’ultimo secondo sul cronometro. Chiunque fosse immerso nei playoff NBA fino a un attimo prima avrà avuto l’allucinazione di un crossover tra i due sport.

Abbiamo scelto invece questo doppio e triplo avvitamento perché più difficilmente ha trovato spazio negli highlights a fine partita. Milinkovic-Savic incespica sul primo controllo, e in una situazione in cui qualunque altro centrocampista avrebbe ricavato nulla più che una figura goffa riesce a procurarsi un vantaggio sul diretto marcatore. Ingloba la palla tra i suoi tentacoli e con un delizioso gioco di suola riesce a servire Parolo, che deve aver visto chissà in quale momento tra la caduta e il rapidissimo sollevamento. Esistono diversi slogan motivazionali costruiti intorno al tema «non conta quante volte cadi, ma quante volte ti rialzi»: qui Milinkovic-Savic cade due volte nel giro di pochi secondi e riesce comunque a sembrare il centrocampista più elegante del campionato.