Nelle ultime partite Spalletti ha cambiato ruolo al centrocampista croato, mettendolo al centro del gioco. Sta funzionando così bene che il tecnico ha detto che ci ha pensato troppo tardi
INTER-JUVENTUS, LE PROBABILI FORMAZIONI
Il 2018 di Brozovic era iniziato con la cancellazione di un volo charter per Siviglia. La trattativa per la cessione, ben avviata e già diffusa ai giornali, si era appena infranta sul veto di Spalletti, che aveva preferito non privarsene senza la garanzia di poterlo sostituire. Erano gli ultimi giorni di mercato, e l’Inter inseguiva un altro trequartista (si parlava di Pastore, o in alternativa di Ramires) che potesse colmare il vuoto di creatività palesato nella prima parte di campionato.
La conferma di Brozovic fu dettata soprattutto dalla necessità e in parte dall’istinto, due costanti che hanno accompagnato la guida di Spalletti lungo questa indecifrabile stagione, e che hanno spesso prevalso sull’imposizione di un indirizzo tattico, di una visione a lungo termine. Abbiamo visto l’Inter modellarsi partita dopo partita sullo stato di forma dei suoi giocatori e sulle alchimie che andavano creandosi in campo, e per i primi tre quarti di campionato Brozovic è rimasto inghiottito da questo vortice di gerarchie, schiavo della proverbiale discontinuità.
«Brozovic non è solo discontinuo ma anche molto appariscente nella sua discontinuità», scriveva Emanuele Atturo nel tentativo di risolvere questa indecifrabilità dell’Inter, e nello specifico quella di Brozovic. Secondo l’indice degli xG, il croato contribuiva alla fase offensiva più e meglio delle alternative a centrocampo, ma all’occhio umano risultava un giocatore poco presente, a tratti svogliato, spesso impreciso nella rifinitura e sempre in ritardo nelle chiusure. Quel tipo di giocatore capace di accompagnare per ottanta metri Politano senza mai dare l’impressione di voler veramente affondare il contrasto.
L’ultima volta in cui abbiamo assistito a questa versione di Brozovic è stata l’11 febbraio, nella partita contro il Bologna, in cui pure aveva trovato il suo occasionale momento di brillantezza per servire l’assist per l’1-0 di Éder. Qualche giorno prima, contro il Crotone, era uscito in mezzo a qualche fischio e si era limitato a prendere a calci la panchina prima di sedercisi. In quel caso Spalletti aveva provato a vedere il bicchiere mezzo pieno: «Se i giocatori reagiscono in qualche modo è anche positivo, era arrabbiato per la sostituzione e il risultato».
Brozovic non sembra mai particolarmente contento, ma qui possiamo escludere di sicuro che lo fosse.
La settimana successiva i fischi erano moltiplicati, Brozovic aveva reagito con un applauso polemico abbastanza plateale, e Spalletti con un tono leggermente meno diplomatico: «Devo rivedere l’episodio, e ad ogni modo noi abbiamo un regolamento: chi esce da questo regolamento si autoesclude, non sono io a farlo».
La transizione a regista
Dopo quell’episodio è trascorso un mese esatto perché Brozovic recuperasse il posto da titolare, nella partita dell’11 marzo contro il Napoli. Per la prima volta in questa stagione, è stato schierato davanti alla difesa con compiti da regista, all’interno di un triangolo di centrocampo ben assortito che comprendeva anche Gagliardini nelle vesti di interditore e Rafinha qualche metro più avanti, a cucire le distanze tra i reparti.
Anche questa scelta veniva dettata dalla necessità. Da gennaio in poi, il centrocampo dell’Inter ha iniziato a soffrire il calo atletico di Borja Valero e i problemi muscolari di Vecino, costringendo Spalletti a cercare nuovi equilibri per restituire linfa a una manovra sempre più lenta e prevedibile. Con il senno di poi, il tecnico ha riconosciuto: «Ci ho messo troppo a metterlo in quella posizione. Pensavo che mi avrebbe creato il vuoto davanti alla linea difensiva. Fa molti metri e recupera palloni importanti, gestendo la palla in maniera molto qualitativa».
La qualità del lancio di Brozovic permette all’Inter di attaccare meglio la profondità: qui si propone per ricevere una sponda di Icardi e apre un piatto morbido sulla corsa di Perisic.
In questo senso, si può individuare nella partita di Brozovic contro il Napoli il punto di svolta che ha rimesso l’Inter sui binari della corsa a un piazzamento in Champions League. La sua prestazione, sorprendentemente ordinata, ha permesso di portare a casa un pareggio dignitoso e qualche segnale di crescita dopo il lungo periodo di crisi.
Spalletti ha scommesso sulla tenuta del centrocampo, e in particolare sulla tenuta della diga davanti alla difesa, rivestita di grandi responsabilità. In fase di non possesso, l’Inter provava a contrastare le combinazioni palla a terra del Napoli con una linea di centrocampo a quattro, chiamata continuamente a muoversi in avanti per restringere il raggio di azione di Jorginho e poi all’indietro per chiudere la profondità.
Brozovic agiva nella zona di Allan ed è stato coinvolto meno rispetto a Gagliardini in situazioni di uno contro uno. Ha impressionato per la costante applicazione difensiva e il linguaggio del corpo, con cui ha dettato le distanze tra i compagni e i movimenti della linea. Una piacevole sorpresa, per un giocatore che dava invece l’impressione di dover trovarsi sempre vicino al pallone per conservare tensione emotiva e influenza nel gioco.
Ha chiuso la partita con 4 contrasti vinti e 3 intercetti, il massimo registrato in entrambe le voci fino a quel momento, e l’88.5% di precisione nei passaggi, molto al di sopra della sua media stagionale.
La velocità di adattamento
Dopo l’eccellente prestazione, ha giocato tutte le partite successive dal primo all’ultimo minuto, ad eccezione di quella con l’Atalanta per via di una squalifica. Un’assenza forzata che ha confermato la sua centralità nell’economia del gioco dell’Inter. Il suo contributo alla fase offensiva è cresciuto partita dopo partita, e sotto questo aspetto ha mostrato grande flessibilità in base al piano gara e all’inerzia del momento.
Ci sono le fasi di gioco in cui si assume tutte le responsabilità creative, pur partendo da posizione arretrata, e inizia a ricercare con insistenza i movimenti in profondità degli attaccanti, seminando il panico nelle linee di difesa avversarie.
Poi ci sono le fasi di gioco in cui non si muove dalla propria metà campo e dimostra di possedere un angolo di visione a trecentosessanta gradi: si orienta con il corpo di fronte ai difensori e galleggia tra le maglie del pressing alla ricerca di uno spazio per ricevere, ricamando passaggi misurati e cambi di gioco che danno respiro alla manovra.
La mappa dei 102/109 passaggi completati contro il Cagliari, che evidenzia l’alternanza tra gioco orizzontale e gioco verticale.
«Ci dà la pulizia che ci sarebbe servita prima e ci ho messo un po' a capire che quella era la sua posizione», ha ribadito Spalletti in un’altra occasione, insistendo nell’autocritica. Brozovic ha effettivamente dimostrato di padroneggiare tutte le qualità che si richiedono a un regista: è rapido negli smarcamenti, sicuro nella protezione del pallone, intelligente nell’orientare il successivo passaggio con il primo controllo, e poi preciso nel servire i compagni sia nel breve che sulla lunga distanza, sfruttando la capacità di corsa degli esterni.
Partendo da dietro, nel momento in cui le squadre si allungano e gli spazi si aprono, ha anche la possibilità di rompere le linee avversarie con il dribbling e l’elegante conduzione palla al piede, aumentando la presenza offensiva dell’Inter che anche quest’anno, quando è riuscita ad attaccare in velocità, ha spesso sofferto la solitudine di Icardi in area di rigore. Da quando gioca stabilmente in mediana, Brozovic ha aumentato il numero di dribbling tentati ogni 90 minuti, passati da 1.4 a 1.6, e ha anche aumentato sensibilmente la percentuale di riuscita, da 73% a 82%.
Tutte le altre voci statistiche di rilievo hanno subito variazioni apprezzabili, a cominciare da quelle difensive: è aumentato del 143% il numero di contrasti vinti, da 1.4 a 3.4, e del 467% quello degli intercetti, da 0.3 a 1.7. Per gli avversari è difficile aggirare la fisicità di Brozovic, che può anche contare sui 181 cm di altezza e su un’ottima elevazione, e contestualmente ha anche aumentato il numero di duelli aerei vinti da 0.9 a 1.4.
Da quando ha trovato stabilmente la voglia di lottare su ogni pallone, il croato si è riscoperto indispensabile anche in chiave difensiva (nei 630 minuti che ha giocato da regista, l’Inter ha subito soltanto 2 gol), e ha di conseguenza facilitato il gioco di transizioni rapide più congeniale agli attaccanti a disposizione.
Brozovic è diventato anche un difensore più consapevole: qui si accorge con la coda dell’occhio del movimento a rientrare di Suso, abbandona al momento giusto la corsa di Kessié e va a vincere il contrasto.
Anche i passaggi tentati ogni 90 minuti hanno subito un aumento vertiginoso, da 59.8 a 96.3, un volume che il solo Jorginho sostiene tra i giocatori con almeno 1000 minuti giocati. Di conseguenza è aumentata anche la precisione, dall’82% al 90%, che si è altrettanto stabilizzata sui livelli dei migliori interpreti del ruolo.
Questo dato evidenzia come il gioco di Brozovic sia dovuto diventare più orizzontale e meno diretto, e in effetti sono diminuite tutte le voci solitamente registrate nell’ultimo terzo di campo: i passaggi chiave si sono dimezzati, da 3.5 a 1.7, i cross si sono ridotti al minimo, da 2.2 a 0.6, e sono diminuiti anche i tiri tentati, da 2.4 a 1.9.
Brozovic si è responsabilizzato
L’aspetto più interessante della trasformazione di Brozovic da mezzala di strappi e di grandi pause a sapiente regista difensivo è la rapidità con cui si è calato nei nuovi panni. Per gli allenatori e per i giocatori il tempo è sempre un’attenuante, o un’aggravante nel caso in cui le cose vadano male.
Gli esperimenti tattici si misurano sulla base della programmazione estiva e del lavoro nel precampionato, le architetture più complesse vengono valutate lungo due o tre stagioni di apprendimento, assimilazione e maturazione. Brozovic, invece, nel giro di una settimana si è alzato dalla panchina che poco prima stava prendendo a calci per la frustrazione e si è scoperto un interprete del ruolo alla pari dei migliori del campionato.
Volendo leggere tra le righe, nell’autocritica a cui si è spesso sottoposto Spalletti si nasconde un sincero stupore. Quando si è trovato a commentarne le recenti prestazioni, Spalletti è sembrato sforzarsi di trovarci una base razionale: «Lui, nel ruolo di trequartista, aveva bisogno di interpretare il campo come meglio voleva. Messo in un contesto più ristretto, avendogli creato un recinto dove passa la maggior parte di palloni, è fortissimo. Perché poi recupera il pallone e si sente responsabilizzato per la delicatezza del ruolo».
È una chiave di lettura condivisibile: la responsabilità come antidoto all’indolenza, la posizione nevralgica nel flusso del gioco come panacea delle frequenti distrazioni. Una seconda chiave di lettura, slegata dal contesto tattico, l’ha offerta qualche giorno fa Nebuloni di Sky Sport davanti ai cancelli della Pinetina, che ha accennato a un salto di qualità che ha coinvolto anche la vita professionale di Brozovic: «Chi lo conosce bene sostiene che abbia radicalmente cambiato la sua condotta fuori dal campo».
In parte lo si poteva intuire dalla strategia di comunicazione, che proprio nelle ultime settimane è passata dalle foto al televisore, dai fotomontaggi di dubbia qualità, dai messaggi polemici su sfondo di bersaglio elettronico per le freccette, alla rappresentazione color pastello di un affettuoso padre di famiglia, con spazio per i meme e per gli hashtag virali. È successo da un giorno all’altro, il tempo che serve a riscoprirsi un grande regista.