Sono passati esattamente cento giorni da quando l’allenatore si è insediato nel centro sportivo di Castel Volturno. Da allora, è cambiata la gestione della rosa e il clima fuori dal campo, ma non i risultati che restano positivi
9 luglio – 16 ottobre: in tutto 100 giorni, in cui Carlo Ancelotti è riuscito a cambiare volto ad una squadra che era bellissima e quasi vincente, senza far calare la passione dei napoletani. Aurelio De Laurentiis lo blindò a fine maggio, ma soltanto all’inizio di luglio l’allenatore cominciò ufficialmente la sua avventura alla guida del Napoli, con l’arrivo a Castel Volturno. Sembrava impossibile superare così presto la separazione da Maurizio Sarri, sia da un punto di vista tattico che da quello umano, per chi l’ha vissuto, anche per uno come Ancelotti. Ma quella serenità, quella fiducia incondizionata nel futuro che ha trasmesso all’ambiente hanno portato risultati importanti e comunque in scia rispetto a quanto fatto negli anni addietro. Il presidente l’ha fortemente voluto per dare maggior rilevanza in Champions League al club, e si è affidato ad uno dei migliori in circolazione in questo senso.
La rivoluzione gentile: in campo
Nei tre anni di Sarri, l’undici titolare del Napoli si poteva recitare a memoria. Non è quasi mai cambiato per logiche di turnover, ma solo in caso di necessità. È pur vero che la rosa non è mai stata così profonda, ma allo stesso tempo molti giocatori non hanno avuto la possibilità di esprimersi con una continuità sufficiente. L’ultima gara giocata dagli azzurri ne è la conferma: con il Sassuolo, grazie alla presenza nella formazione titolare di Ounas – andato anche a segno con uno splendido gol – tutti gli elementi della rosa sono partiti dal primo minuto almeno una volta in stagione. Non solo: nelle dieci partite disputate, è stata schierata sempre una squadra diversa. Un’inversione di tendenza totale, dunque, e che ha dato i frutti sperati. Questa gestione della rosa, infatti, ha comunque consentito al Napoli di essere a metà ottobre da solo al secondo posto in Serie A e primo nel girone di Champions League dopo aver sconfitto il Liverpool al San Paolo. L’unico intoccabile, nella gestione di Ancelotti, è Koulibaly di cui l’allenatore non si è mai voluto privare dall’inizio della stagione. L’idea di gioco è stata modellata su quella precedente: prettamente offensiva, con la pressione portata subito sui portatori avversari, ma un calcio più largo e con meno fraseggi stretti che avevano caratterizzato la versione sarrista.
La rivoluzione gentile: fuori dal campo
Differenze sostanziali sono state registrate anche oltre schemi e formazioni. Il clima degli ultimi anni vedeva il Napoli coinvolto in una specie di lotta alla tirannia della Juventus, che doveva combattere per sovvertirla, contro ogni sorta di ostacolo e complotto. L’atteggiamento di Ancelotti è di tutt’altra tipologia. La calma, la serenità e la consapevolezza di avere tra le mani ottimo materiale tecnico da poter valorizzare sono trasmesse nel modo di comunicare e nella frequenza con cui questo avviene. È tornata, infatti, l’abituale conferenza della vigilia di gara. Inoltre, i rapporti con Aurelio De Laurentiis sono dei più distesi: un caso pressoché unico, viste le separazioni burrascose che si sono avute con tutti gli allenatori e gli attacchi che le parti si sono vicendevolmente rivolti durante le esperienze a Napoli. Non è questo il caso: la politica societaria è stata ben delineata al momento della chiusura dell’accordo e Ancelotti ha accettato con entusiasmo questa nuova sfida. L’intenzione del presidente è quella di creare un progetto a lungo termine, con la garanzia di un allenatore vincente, per unire sostenibilità e ambizione come mai prima d’ora il Napoli era riuscito a mettere insieme.