Morte, violenza, cori razzisti: un Boxing Day italiano rovinato dall'ignoranza e dai delinquenti. Le domande alle quali rispondere per ripartire, perché senza i tifosi - quelli veri - rimane solo il peggio
Rovinata la festa, rovinate le Feste, il primo Boxing day italiano è una giornata da fuori di testa, fuori dal calcio. Abbiamo visto tutto il peggio, tutto quello che può spegnere la passione pura dei 250 mila tifosi che hanno affollato gli stadi, dei milioni di telespettatori che hanno seguito le partite, e tutto il contorno, in tivù. Ecco:
- Un morto di calcio, ancora uno, il 23esimo dal 1963 a oggi. Si chiamava Daniele Belardinelli, 35 anni, capo ultrà, due Daspo nel suo passato.
- I coltelli, gli agguati, i gruppi organizzati che si alleano e vanno all’assalto come bande armate, intorno allo stadio. Città come campi di battaglia.
- Gli insulti razzisti, pure quelli, Koulibaly a San Siro travolto dai buu beceri e ignoranti, assordanti per tutti tranne che per chi ha fatto finta di non sentire. E ha continuato a far giocare. Mazzoleni su tutti.
- La contestazione ai garanti del rispetto delle regole in campo, ovvero gli arbitri. Messi a rischio delegittimazione – al di là degli errori che vanno riconosciuti - da giocatori, allenatori e soprattutto dai presidenti (Preziosi, Cairo, De Laurentiis, per citare gli ultimi ma non i soli) dopo, durante e addirittura prima di scendere in campo.
E adesso cosa si fa? Da dove proveremo, ancora una volta, a ripartire? Innanzi tutto, dobbiamo mettere fuori gioco l’ipocrisia. Sia chiaro, la questione della violenza ultras nulla ha a che vedere con tutto il resto. Non si commetta l’errore, come ci è parso di comprendere dalle parole a caldo di Allegri, di abbinare le vicende di campo con la delinquenza comune. Se da domani sparissero le polemiche, le scorrettezze, se tutti scendessero in campo e ne uscissero abbracciati, nel pieno rispetto degli avversari e degli arbitri, migliorerebbe di certo il calcio ma purtroppo nulla cambierebbe nelle logiche ultras. La distinzione tra i tifosi e gli appartenenti alle frange estreme dei gruppi organizzati, non è solo una questione lessicale, da non trascurare, ma anche sostanziale. Provate a convocare un gruppo di amici, progettate un assalto a un furgone della polizia, o a un altro gruppo come il vostro, e poi mettete in atto i vostri piani. Si chiama associazione per delinquere. E se venite beccati, di questo dovete rispondere. Cosa c’è di diverso rispetto a quello che abbiamo visto ieri? Il fenomeno va affrontato per quello che è, come ha detto il presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina: un serio problema di ordine pubblico. Che riguarda chi fa le leggi, ovvero la politica, chi le deve far rispettare, ovvero le forze dell’ordine. Riguarda i magistrati, i prefetti, i questori. E ovviamente le società di calcio. E gli ultras? Difficile che siano parte di questo tavolo. Viene da chiedersi: discutereste di criminalità organizzata con i capi della criminalità stessa? Chi sono i responsabili delle tifoserie che dovrebbero essere convocati al Viminale nel nuovo anno? Chi li ha legittimati? Mancano delle risposte, senza le quali ogni misura presa risulterà vana. Cominciamo a separare i delinquenti dai tifosi, organizzati e non. Altrimenti i tifosi, quelli veri, saranno i primi a lasciare il campo. Come ha minacciato di fare Ancelotti, con la sua squadra, al prossimo episodio di razzismo allo stadio. Attenti alle persone perbene, perché senza di loro, rimane solo il peggio. Quello che abbiamo visto a Santo Stefano.