Marco Giampaolo lascia il Milan - esonerato - dopo appena sette partite: pesano i quattro ko rimediati. Un progetto che è durato appena cento giorni: c'è proprio la mancanza di tempo alla base delle ragioni della crisi rossonera
Giampaolo saluta il Milan e il Milan saluta un progetto. Nato poco più di 100 giorni fa, con la scelta di puntare in maniera decisa su chi negli ultimi anni aveva portato in alto con la sua idea di calcio la Samp. Il Milan sapeva di dover diversificare la sua rinascita inseguendo un progetto molto ambizioso e altrettanto affascinante. Giovani, bel gioco ed Europa. Per arrivare alla fine del percorso sarebbe servita una linea comune e condivisa e poi naturalmente tempo, ma il tempo – soprattutto in squadre importanti come il Milan – non c’è.
E questo ha portato alla separazione delle strade di Milan e Giampaolo: la presa d’atto di un progetto che non poteva essere più portato avanti insieme. Il supporto per il tempo. Non (solo) per i risultati che non sono arrivati, ma per una sorta di binario parallelo su cui camminavano da una parte lo staff tecnico e dall’altra quello dirigenziale.
A cominciare dalla campagna acquisti, più che dal sistema di gioco, che ha consegnato al Milan ai nastri di partenza una rosa sicuramente giovane, certamente con eccellenze e qualità ma con alcune carenze che non hanno messo Giampaolo nelle migliori condizioni di poter lavorare.
Ma quello di questi giorni non è il primo stop alla ricostruzione del Milan negli ultimi anni. Perché come ci vuole tempo per plasmare una squadra e un gruppo di lavoro, ci vuole anche tempo (forse di più) per dare spessore a una società e spazio alla crescita di un progetto. Per assemblare una squadra. Nessuno – a tutti i livelli – può avere la bacchetta magica e non si può pretendere da nessuno (a nessun livello) di risolvere d’incanto i problemi.
C’è magari chi (attraverso l’esperienza) riesce a risolverli in meno tempo, ma sempre tempo ci vuole. In qualche caso anche fortuna. La stessa Juve prima di iniziare il filotto di scudetti (con la "nuova" dirigenza) era transitata attraverso un settimo posto. O l’Inter che sta continuando un percorso iniziato proprio con Pioli, proseguito da Spalletti e ora in mano a Conte (e Marotta, come new entry in dirigenza). E serve anche una proprietà solida, con idee chiare e con un respiro a lungo termine.
Il Milan quest’anno aveva deciso di puntare sui giovani per ripartire. Giovani di qualità. In grado di poter crescere insieme al Milan, di diventare grandi insieme. Questa è stata la linea guida rossonera sul mercato. E questo è un obiettivo centrato, senza dubbio. E’ la rosa più giovane d’Italia (neanche 25 anni di media) contro per esempio i quasi 30 della Juventus o i 28,2 dell’Inter. Gioventù significa freschezza, ma anche mancanza di esperienza, necessità di dover sbagliare per imparare.
E che il Milan sia giovane non lo dice solo la serie A, lo dice l’Europa. Nel BIG5, ovvero i campionati più importanti in Europa il Milan è la quinta rosa più giovane. Meglio dei rossoneri soltanto quattro squadre: 3 in Francia (Nizza, Lilla e Lione) e 1 in Germania (Lipsia). Nessuna squadra inglese è più giovane della squadra a disposizione di Giampaolo (Bournemouth, 25,3) e neanche nessuna squadra spagnola (Celta Vigo, la più “verde” con 25,5 anni di media). Giusto per completezza di informazione: 3 delle 4 squadre citate (Nizza, Lille e Lipsia) hanno fatto meglio in campionato del Milan. Solo il Lione ha fatto come i rossoneri e forse è l’unica che può reggere, per storia, al paragone.
Il Milan con questo tipo di filosofia avrebbe voluto invertire un trend. Perché – come è noto – è dal 2013 che non riesce a entrare in Champions League. Lo scorso anno è stato sfiorato un potenziale miracolo. E in questo va certamente riletto il lavoro di Gattuso. La ricostruzione – in gerene – costa soldi, idee e tempo. Finora sono 6 gli anni senza Champions: questo rischia seriamente di essere il settimo. E in questi sei anni, che hanno coinciso con la parabola discendente del Milan targato Berlusconi, ci sono stati in mezzo due cambi di proprietà e tre cambi di dirigenza.
Dal 2013 (Allegri) ad oggi, Pioli compreso sono 10 allenatori in 6 stagioni: è evidente che non può esserci continuità. Senza considerare – aggravante nella considerazione generale del momento rossonero – che dal 2016 (omettendo la vicenda Mr Bee) ogni anno c’è stato un avvicendamento societario e/o dirigenziale. Si è passati dal periodo del closing con le operazioni condivise fra Galliani e Fassone, al periodo cinese di Mirabelli e dello stesso Fassone, all’ingresso di Elliot prima con Leonardo e Maldini e ora con Maldini e Boban. Tutti questi cambi – uniti come detto ai tanti cambi in panchina – hanno portato al massimo al quinto posto della passata stagione e a una supercoppa Italiana con Montella.
Ma soprattutto hanno portato a spese importanti sul mercato. Pur non portando comunque il Milan alla competitività sperata. Nell’ultima sessione i rossoneri hanno speso sul mercato 104 milioni di euro (quinti in serie A) con un disavanzo di 70 milioni di euro: come il Napoli e secondi soltanto all’Inter (dati transfermarkt). Ma il dato diventa ancora più significativo se andiamo a ritroso nel tempo: se consideriamo le ultime due stagioni il Milan ha speso 290 milioni di euro (seconda soltanto alla Juventus, 446) con un saldo negativo di 168 milioni: più di tutti in Serie A. Se andiamo a considerare anche la stagione precedente il saldo (negativo) sale a 325 milioni di euro: quasi il doppio di quello della Juventus (-152) e dell’Inter (-162). Assolutamente non paragonabile a quello del Napoli (-89) e soprattutto a quello della Roma che è addirittura in attivo, in queste ultime 3 stagioni.
Questo tipo di spese naturalmente hanno messo il Milan nel mirino della Uefa per il FFP (e da qui l’autosospensione di questa stagione) ma comunque non hanno portato la squadra rossonera al livello che questi investimenti suggerirebbero. Senza andare a scomodare le spese per gli stipendi dei calciatori che soprattutto nelle stagioni precedenti sono salite molto.
Il Milan – quest’anno – aveva provato ad invertire il trend. Affidandosi a giovani e a un allenatore con un gioco diverso da quello appena visto (con Gattuso) ma che comunque aveva dato risultati. Lo ha fatto in mezzo a mille difficoltà, in un processo di crescita complicato ma intrigante. Un progetto che non ha avuto le basi solide per continuare ad essere supportato come sembrava, in luna di miele. Si interrompe il percorso, per divergenze parallele. Toccherà allora a Pioli fare in modo che le esigenze coincidano per dare continuità a un’idea.