Cesare Prandelli torna alla Fiorentina, riecco l'interprete del calcio gentile

Serie A
Alessandro Alciato

Alessandro Alciato

Cesare Prandelli torna, dieci anni dopo, alla guida della Fiorentina. Quello con il club viola e la città di Firenze è un legame unico per l'allenatore. Tanti ricordi, emozioni, che vanno oltre all'aspetto puramente sportivo

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E’ tornato l’interprete del calcio gentile. Quello del pallone incastonato fra schemi di campo e schemi di vita. Di civiltà. Cesare Prandelli è (di nuovo) tornato a casa. Cesare Prandelli è (di nuovo) l’allenatore della Fiorentina, dieci anni dopo. Firenze, per lui, è l’ombelico del mondo. Il cuore del problema, dove il problema è proprio il cuore. Va regolato il battito, adeguandolo a quello di una città frenetica, esigente, litigiosa. Unica. Critica ai massimi livelli verso la sua squadra, eppure innamorata folle. Non si perdona nulla ma alla fine si perdona ogni disperato errore. Proprio questo è amore.

 

Da piazzale Michelangelo, finestra privilegiata su tutto quanto sta di sotto, punto panoramico come non ne esistono altrove, si possono ammirare Ponte Vecchio, la Cupola del Brunelleschi, il Bargello, la Basilica di Santa Croce, Palazzo Vecchio. Un occhio attento sa riconoscere anche lo stadio Franchi, e non è un caso. Bruttino, vecchiotto, più catapecchia che cattedrale, nonostante tutto pezzo di storia nella storia. Angolo amatissimo di Firenze, dove ogni bambino è diventato adulto e dove ogni adulto è riuscito a tornare bambino. Un cortocircuito dei sentimenti.

Sullo sfondo, le colline di Settignano e di Fiesole. E’ ai loro piedi che mani sapienti hanno appoggiato il Centro Tecnico di Coverciano, luogo sacro, dove se entri una volta non ne esci più. E’ il ricordo che conta, quello che trovi e quello che lasci. Siamo sempre a Firenze, in linea d’aria a un chilometro dal Franchi. Anche qui, Prandelli, bresciano atipico, fiorentino d’adozione atipico, si è mosso come se fosse nel salotto della propria abitazione. Con le pantofole, senza far rumore, un po’ lavorando e un po’ vivendo. Ha inventato lo smart working prima che il Covid lo imponesse. Lì dentro ha trattato le persone da calciatori e i calciatori da persone, è proprio per questo che gli allenamenti non potevano bastare. Si è inventato le trasferte della solidarietà, per insegnare qualcosa, per imparare molto. Viaggi scomodi, per intenderci, incastrati a forza fra giorni già ricchi di impegni. Via la playstation, ragazzi, andiamo a conoscere il reale.

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