Tiago Pinto: "De Rossi voleva che restassi, con Mou sono sempre stato leale"

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L’ex general manager giallorosso, dimessosi dopo l’ultima sessione di mercato invernale e che a Roma è rimasto per tre anni, ha parlato in esclusiva a Sky Sport: "Con De Rossi abbiamo avuto sempre un grande rapporto anche prima che arrivasse". Poi su Mourinho: "Il giorno dell’esonero è stato difficile, vuol dire che ho sbagliato anch’io. Sempre stato leale con lui e lo sa…"

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Tiago Pinto torna a parlare dopo le dimissioni da general manager della Roma. Il dirigente portoghese, che ha lasciato il club giallorosso lo scorso febbraio al termine della sessione invernale di calciomercato, ha parlato ai microfoni di Sky Sport commentando il suo addio ma anche l’attuale momento della squadra e i suoi progetti futuri. 

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Come stai e come si sta senza la Roma?

"Sto provando a riposarmi un po' dopo questi tre anni, sto cercando un po' di tranquillità e pace perché quando arriveranno le prossime sfide devo essere preparato, motivato e carico".

La Roma lotta per la Champions ed è ai quarti di Europa League, visto l’impatto di De Rossi, c’è il rimpianto di non averlo scelto prima?

"Sono contento dei risultati. Sono contento per Daniele e per i giocatori, tu come direttore sportivo puoi andare ovunque ma i tuoi giocatori saranno sempre i tuoi giocatori. Mi fa piacere che la squadra stia facendo risultati. Io per fare bene il mio lavoro devo sentire affinità totale, allineamento totale, motivazione, carica, e tutte le cose positive. Non sono uno che fa il suo lavoro senza questa passione e penso si possa immaginare che tre anni a Roma ti portino ad un livello di stanchezza…secondo me la Roma in questo momento meritava un Tiago Pinto come quello dei primi anni, per cui nessun rimpianto, ma sono felice di vedere la squadra che sta andando bene". 

È stato rivalutato il lavoro che hai fatto sul mercato? Oggi c’è la consapevolezza che la Roma è più forte?

"Penso che oggi, con questi risultati e con il turnover, tutti si siano convinti che la Roma abbia valore, che sia una buona squadra con buoni giocatori, ma non vorrei sfruttare il momento positivo per dire che ho fatto tutto bene. A Roma soprattutto c'è bisogno di equilibrio dentro e fuori dal club, le valutazioni dei giocatori vanno fatte almeno a medio termine".

È vero che De Rossi ti ha chiesto di restare?

"Sì, noi abbiamo un buon rapporto, anche prima del suo arrivo. Io penso che lui, nel tempo che ha lavorato con me, abbia capito come sono fatto io come direttore, al di là di essere bravo o scarso, sono una persona leale, che aiuta gli allenatori, che lavora tanto. Per lui sarebbe stato positivo che io restassi per avere un po' di stabilità in più, gli ho spiegato fin dall’inizio che avrebbe potuto contare su di me fino alla fine, ma anche che mia decisione non sarebbe cambiata".

Quel giorno Mourinho ha salutato te e la squadra?

"Quello è stato un giorno molto difficile per tutti, io sono ancora giovane e non so se i direttori sportivi più anziani la gestiscono in modo diverso. Nel momento in cui si deve licenziare un allenatore io sono morto, perché quando mandi via un allenatore vuol dire che anche tu hai sbagliato qualcosa. Tutto quello che è successo quel giorno per me conta poco. Quel giorno conta poco. Le emozioni sono state troppo forti, c’era un’ansia enorme e poi alcune cose che facciamo o diciamo da entrambe le parti che non rappresentano il lavoro né un rapporto di due anni e mezzo".

Del conflitto Tiago-Mou si è parlato tanto ma poi l’hai salvato dopo il Genoa…

"Mou sa benissimo che in due anni e mezzo, con lui, sono stato un soldato. Con tutta la pressione che comporta il mondo del calcio. È vero anche che nel nostro rapporto, durante il mercato, c’era sempre un po' di casino, ma lui sa perfettamente che fino alla fine sono stato leale a lui, alla società, e al progetto. Poi le nostre opinioni possono essere diverse, ma si può lavorare insieme". 

Ma dopo il Genoa hai salvato Mou dall’esonero?

"Ci sono cose che succedono, (dice sorridendo). Ovviamente quando le cose non vanno bene ci sono delle valutazioni che si devono fare, ma tutte le decisioni che sono state prese non sono state decisioni di Tiago o di altri, ma decisioni collettive. Quindi lui, dopo Genova, ha continuato ad allenare la squadra e poi abbiamo anche vinto tre o quattro partite consecutive". 

I giocatori arrivati sono stati tutti condivisi con l’allenatore o c’è qualcuno che Mou non voleva?

"No, Non è mai arrivato un giocatore a Roma senza che Mou ne fosse a conoscenza. Ma sarei ovviamente un bugiardo se dicessi che tutti quelli che sono arrivati erano prime scelte. Non è così, lui sapeva ed era coinvolto sui giocatori che potevamo prendere. Il processo di reclutamento alla Roma, per essere chiari, è sempre stato uguale: dai giocatori che sono andati bene a quelli che sono andati male, non abbiamo mai avuto un giocatore che era di Tiago Pinto, di Mou o dello scouting. Noi abbiamo sempre cercato di individuare le necessità della squadra e con grande coinvolgimento dell’allenatore, che è la persona che conosce meglio la squadra. Poi, in base alle istruzioni dello scouting, alle possibilità economiche del club e a quello che proponeva il mercato, abbiamo fatto le nostre scelte, ma con tutte le persone sempre coinvolte. Non c’è nessun giocatore che è arrivato di cui l’allenatore non fosse a conoscenza. Questo non è mai successo, magari si vede negli altri club". 

Più orgoglioso di aver portato a parametro zero Dybala o Svilar?

"Questa è una bella domanda. Prendere Paulo Dybala mi ha reso molto felice, sapete quanto lo stimo come giocatore, ma è comunque difficile rispondere. Sono stato molto felice quando abbiamo preso Dybala, ma ti dico che oggi…Non voglio essere troppo egocentrico, però sono molto felice del momento che sta vivendo Svilar, perché io sono arrivato a maggio 2017 al Benfica e Mile è arrivato ad agosto, abbiamo fatto tutto il percorso il percorso insieme. Poi è venuto venuto qui, ha sofferto tanto anche lui, è cresciuto ma sarà uno dei migliori portieri del mondo. E sono molto contento di questo. Comunque oggi sono molto orgoglioso di aver preso tre giocatori a parametro zero che insieme valgono 100 milioni di euro. Per cui, non so, Svilar, Ndicka e Aouar…oggi magari guardi e dici è stato un buon lavoro". 

È un po’ l’eredità che lasci?

"Sì, penso che con tutte le limitazioni che abbiamo avuto, con tante scelte sbagliate e con tante scelte che avrebbero potuto essere diverse, oggi guardi la Roma e hai giocatori presi a parametro zero che hanno un valore sul mercato, hai due ragazzi del settore giovanile che hanno giocato più di 200 partite per la Roma, e poi hai i grandi giocatori come Paulo ma anche quelli che abbiamo rinnovato, perché la verità è che in questi tre anni siamo riusciti a non vendere i big. Ok sono andati via Ibanez e Nicolò (Zaniolo, ndr), ma non è che abbiamo fatto grandi cessioni...Ci sono Mancini, Cristante, Cristante, Stephan (El Shaarawy, ndr) sono giocatori che sono riusciti a mantenere il nucleo della squadra". 

Cosa è successo dopo Budapest?

"Dopo quella finale, ciò che ricordo di più è che le 48/72 ore successive sono state umanamente molto difficili. Noi siamo professionisti ma mettiamo tutto in quello che facciamo. Perdi una finale e senti che non dovevi perdere, c’è quella sensazione di ingiustizia, e poi viene fuori il peggio di noi stessi: tristezza, amarezza, conflitto, i casini...quello che ricordo è che è stato il giorno della mia carriera in cui ho sentito più impatto fisico sulle mie emozioni. Eravamo morti, avevamo la convinzione di potercela fare, abbiamo anche fatto una grande partita, ma il calcio è così, la differenza tra vincere e perdere è un dettaglio. E poi è chiaro quella finale è diventata ancora più polemica per l’arbitraggio". 

È lì che hai deciso di andartene?

"Quello è stato un momento cruciale per me, dopo quelle 72 ore difficili, giochiamo la partita con Lo Spezia e si infortuna Tammy (Abraham, ndr), che è stata un’ulteriore difficoltà. Non dobbiamo dimenticarci che Tammy è un giocatore fondamentale della Roma, molto importante, e sapevamo di perderlo per tanti mesi. Poi, quando tutti hanno avuto tempo per riflettere e riposare, noi avevamo l’obbligo del settlement agreement e di fare i trasferimenti entro la fine di giugno. A fine giugno è stata la prima volta che ho pensato di me stesso che stavo arrivando al limite delle mie forze e delle mie capacità. Poi mi sono ripreso, abbiamo anche fatto un mi sono ripreso, abbiamo anche fatto un buon mercato estivo ma sì, è stato lì che ho iniziato a decidere di lasciare la Roma".

Il merito più grande è stato quello di fare tutte queste cessioni, ma l’errore?

"Io penso ci siano stati acquisti che non sono andati bene, Shomurodov, adesso Renato Sanches è un altro esempio ma io non vedo il mercato come una competizione tra chi ci azzecca di più. Io penso che è una società di calcio, con il direttore, lo staff medico e lo staff tecnico, che sviluppa i giocatori. Per quello dicevo che il mercato rappresenta il 20/30% di una squadra e che il 70% è il quotidiano. È il lavoro che fai ogni giorno. È vero che ci sono stati acquisti buoni, altri meno, altri spettacolari in determinati momenti. Ad esempio Rui Patricio: tutti lo hanno ringraziato per aver dato la Conference League e magari oggi viene criticato, questo è il calcio. Noi come direttori sportivi dobbiamo andare oltre. Io ho un principio che ho imparato al Benfica, noi come ds almeno dobbiamo cercare di non perdere due volte. Quando prendi un giocatore, prendi un giocatore che vale qualcosa tecnicamente e vale qualcosa economicamente. Io quello che cerco di fare è che se il giocatore non va bene sul campo, cerco di non far perdere alla società quello che ha investito. Per esempio Mathias Vina, 44 partite alla Roma, non è andato come ci aspettavamo ma siamo arrivati alla fine con il prestito al Borunemouth e poi l’abbiamo venduto, magari economicamente non abbiamo perso. Altra cosa che avrei dovuto gestire in modo diverso, forse, è che ho avuto tanta voglia di fare troppe cose diverse; magari anche io avrei dovuto dire “tutto questo non è possibile”, è difficile mettere tutte queste cose insieme. Ridurre il monte ingaggi, portare i Primavera in prima squadra, prendere i grandi giocatori, vincere, rispettare il settlement agreement. È difficile mettere tutte queste cose insieme ma la nostra ambizione era talmente grande che io magari con un po' di mancanza di esperienza ho pensato di poter fare tutto questo". 

Confermeresti Daniele De Rossi se fossi ancora direttore della Roma?

"Non posso mettermi in quei panni, ovviamente Daniele sta facendo molto bene; è una persona spettacolare. Mi ha sorpreso la consapevolezza che lui ha di quanto costi essere allenatore. Ogni tanto quando tu conosci questi grandi giocatori che dopo vogliono essere allenatori non sono preparati per le cose negative, lui è il contrario. Lui vuole fare questo lavoro e ha portato la squadra su, sta facendo benissimo sia nei risultati che nella valorizzazione dei giocatori, quindi adesso la decisione spetta a loro".

Faresti il Ds di un altro club italiano?

"Si, ovviamente non in tutti. Alla Lazio non potrei andare e loro non mi vorranno di sicuro, ma ho imparato tanto in Italia e oggi posso dire di essere amico di grandi direttori come Ausilio, Massara, Giovanni Rossi, come il mio grande amico Pantaleo Corvino. Quindi non si sa mai un giorno forse tornerò a lavorare in Italia".

Porterai Dybala in un tuo club in futuro? I tifosi devono preoccuparsi?

"Se succede poi non posso tornare a Roma! (dice sorridendo). No, io penso che Paulo sia un bambino d’oro. Grande giocatore e grande persona, non nascondo che prima di conoscere Paulo avevo una grande ammirazione come giocatore ma come persona ancora di più. È un ragazzo spettacolare, secondo me è molto felice a Roma e penso io che la città e i tifosi lo hanno reso felice, ma adesso il futuro non lo so".

Come vorresti essere ricordato fra qualche anno?

"Mi piacerebbe essere ricordato dai tifosi come un direttore che ci ha sempre messo la faccia, si è sempre preso la responsabilità. Ma ancor più importante per me è il rispetto delle persone con cui ho lavorato. Nel club ho trovato di tutto, ma ho trovato una famiglia fatta di persone che hanno lavorato tanto. Ufficio stampa, staff medico, fisioterapisti, settore giovanile, il femminile, tante persone che lavorano con passione per il Club e quello che vorrei è che fossi ricordato come una persona corretta".