Grande Torino, il racconto di Buffa: "Un incastro di destini"
supergaFederico Buffa, su "La Stampa" di oggi, ha raccontato la tragedia del Grande Torino: "Un ricordo ancora vivo dopo 75 anni. Questa squadra non deve essere dimenticata, ma onorata e amata. Ora e per sempre"
C’è un motivo se il 4 maggio è la giornata mondiale del calcio, scelta dalla Fifa per ricordare gli Invincibili, e se tutti amano il Grande Torino. Basterebbe questo per illustrare la grandezza di una squadra che unisce gli appassionati senza distinzione o discussione: una cosa rara in un mondo dove ci si divide per qualunque cosa e dove raramente la memoria viene rispettata, ma il ricordo della tragedia di Superga è ancora vivo dopo 75 anni e questo si può solo spiegare con la mistica. Sono ormai poche le persone che possono dire di aver visto giocare quei ragazzi, eppure ogni 4 maggio migliaia di persone vanno in pellegrinaggio a rendere omaggio. C’è sicuramente un profondo senso di appartenenza, a maggior ragione per una squadra immortale che non poteva declinare sul campo, ma qui si va oltre. Il Grande Torino per gli italiani era una speranza di rinascita dopo i dolori della Seconda Guerra Mondiale e poi giocava un calcio che non si era mai visto prima, grazie al lavoro di quel genio assoluto di Erno Egri Erbstein. All’epoca era la squadra più tifata e oggi è impressionante trovare sostenitori granata in giro per l’Italia perché il loro nonno o papà amavano il Grande Torino. Magari senza averlo mai visto dal vivo, figurarsi in televisione che non esisteva ancora, ma con la trasmissione orale del mito, come l’Odissea, e chiunque arrivi a Torino vede quella collina: è impossibile staccare gli occhi da lì e non pensare a quello che è successo il 4 maggio 1949. Probabilmente pioverà anche quest’anno, come da tradizione, e questo messaggio che arriva dal Cielo vale più di mille pensieri.
Il Grande Torino su Sky
Ho avuto la fortuna e l’onore di poter raccontare la storia del Grande Torino, girando le scene per la serie “Storie di campioni” di Sky Sport in un Filadelfia che doveva ancora essere ristrutturato. Era un sacrario quel prato e lavoravamo di notte perché così sembrava un castello scozzese, altrimenti erano rovine. Nell’ultima scena, girata alle 5 del mattino, mi è successa una cosa che non mi era mai capitata: mi sono messo a piangere dall’emozione. Non un occhio inumidito, ma proprio copiose lacrime che mi hanno costretto a rifare tutto, quando stava già per albeggiare e il tempo stringeva tra le preoccupazioni dei tecnici. Avevo qualcosa dentro che non si è fermato, perché pensavo che se la sorte ti ha dato in dote di essere innamorato di una squadra come il Torino, allora avrai la ragionevole certezza che quel tuo amore non sarà mai angustiato dalla monotonia. Ma da qualsiasi altra possibile condizione dell’anima, inevitabilmente, sì.
Una squadra da amare e onorare
Il Grande Torino non è una storia, ma un incastro di destini. Da Kubala che stava per firmare con i granata e doveva prendere quell’aereo per Lisbona a Franco Ossola che voleva restare a Torino, ma partì lo stesso su insistenza della moglie incinta. Dal presidente Novo che saltò la trasferta causa febbre al fratello di Ballarin che invece partì come fosse un viaggio-premio. La cosa che mi ha colpito di più, però, è Valerio Bacigalupo che nel portafoglio teneva la foto di Sentimenti, ovvero l’amico-rivale che non lo faceva giocare in Nazionale. Oggi una storia così non sarebbe possibile, forse neanche immaginabile, così come vedere Giampiero Boniperti con la maglia del Toro per sfidare il River Plate in amichevole dopo la tragedia, perché gli Argentini volevano onorare il Grande Torino. Ecco perché questa squadra non deve essere dimenticata, ma onorata e amata. Ora e per sempre.