Questo Parma può vivere un'altra grande avventura

Per capire cosa rappresenti Parma per me, voglio farvi vedere questa foto. In evidenza ci sono la Coppa Uefa, la Supercoppa Europea e la Coppa Italia. A fianco c’è anche un piccolo quadro con una vignetta che mi ritrae capitano della squadra. Ogni tanto mi piace riguardarli, quei trofei, o sfogliare le foto di quando festeggiavamo quelle vittorie. Giocare a Parma, vivere Parma è stata per me un’esperienza unica, irripetibile ed entusiasmante. Per certi versi anche inaspettata. Perché quando ero arrivato nel 1987 il percorso che mi ero immaginato era tutto diverso e credo fosse così anche per i miei compagni di allora. Eravamo in Serie B, lottavamo per salvarci, e all’inizio il progetto era quello di valorizzare giovani calciatori del vivaio o di proprietà di altre squadre e crescere a poco a poco, sia a livello individuale sia di squadra. Poi nella stagione 1989/90 le cose cambiarono: la crescita fu ben più importante e veloce del previsto e finimmo per essere promossi in Serie A. Quella festa purtroppo non potemmo condividerla con lo storico presidente Ernesto Ceresini che ci aveva lasciato qualche mese prima di quella splendida promozione. Fu emozionante pensare che il passaggio in A fosse arrivato con una vittoria nel derby contro la Reggiana, la partita più sentita dai nostri tifosi, che vissero così un giorno storico e indimenticabile per tutta la città. Dopo Ceresini, il club passò nelle mani dello sponsor della maglia: la Parmalat. Il marchio era in enorme espansione e Tanzi aveva capito che il calcio avrebbe potuto rappresentare un ottimo veicolo per portare far conoscere la sua azienda anche all’estero. E ci riuscì eccome. Mi piace sempre ricordare queste due cose. Prima degli anni Novanta, Parma era conosciuta fuori dai confini italiani, per esempio, per il parmigiano e per il prosciutto. Un decennio dopo, quando all’estero si pronunciava la parola ‘Parma’ spesso veniva associata alla sua squadra di calcio. La nostra squadra. Quella che al “Tardini” portava 5mila persone in Serie B e che invece nel 1993 a Wembley, per la finale di Coppa delle Coppe, fu accompagnata e trascinata da 15mila splendidi tifosi al seguito. Quel Parma era riuscito a sorprendere tutti e a raggiungere risultati straordinari, era circondato dall’entusiasmo, dall’affetto e dalla fiducia incondizionata della sua gente e sarebbe entrato nella storia. Sono orgoglioso di averne fatto parte. Ora ci troviamo a commentarne un altro di Parma, che sta vivendo un momento molto positivo e brillante. In alcuni tratti questa squadra ricorda molto quella guidata da Nevio Scala. Per altri no, ma è normale e non può essere altrimenti. Perché quell’alchimia che si era creata ai nostri tempi fu unica, irripetibile e non preventivata: trasformò il Parma Calcio da trampolino di lancio a vetta ambita. Ora una tendenza è cambiata: i giovani di adesso sono stati acquistati per restare, non per essere solo valorizzati. E, nonostante l’età, hanno già avuto un percorso loro prima di approdare in Emilia. Tanti di loro sono stranieri e hanno bisogno di un po’ di tempo per conoscere il nostro calcio e il nostro Paese. La squadra, poi, ha delle strutture all’avanguardia e un centro di allenamento fuori città, mentre noi ci allenavamo in “Cittadella”, il parco urbano a fianco del “Tardini” che invece nella nostra esperienza fu sempre un elemento importantissimo: vivevamo quasi in simbiosi con i nostri tifosi. Analizzando il roster di questo Parma mi sembra manchino un paio di calciatori di esperienza fondamentali nella gestione e nella lettura dei momenti topici delle gare. La squadra ha indubbiamente raccolto fino a oggi meno punti di quelli che avrebbe meritato in funzione del gioco espresso. Quando salimmo in Serie A, il nostro dg, Pastorello, fu bravo ad affiancare a noi giovani dei giocatori esperti ed alcuni di livello internazionale. Penso a Grün, per esempio, che venne acquistato per il primo anno in A: la sua presenza in rosa fu fondamentale per la mia crescita e quella del mio inseparabile compagno Gigi Apolloni. Tornando al gioco che esprime il Parma attuale posso dire che è divertente, coinvolgente e qualitativo e, quello sì, mi ricorda il nostro con Scala. Noi giocavamo a 3 mentre Pecchia preferisce la difesa a 4, ma la filosofia è simile. È quella di un calcio offensivo, dinamico con continui cambi di posizione dei giocatori in campo, che mostra un’identità di gioco molto chiara e riconoscibile. Non si cambia alla prima sconfitta, si crede nel lavoro e in quello che si sta facendo. È sempre stata, ed è ancora, tutta una questione di equilibri e di crescita. E questo gruppo mi pare di vedere che abbia dei margini veramente molto importanti. Cercando poi qualche similitudine tra i protagonisti di oggi e quelli del ‘mio’ Parma, per esempio Suzuki in qualche modo mi ricorda Taffarel: Claudio arrivò da una nazione, il Brasile, che non aveva grandi tradizioni come scuola di portieri, così come il Giappone. E ha vinto un mondiale. Oppure penso a Bernabé che mi ricorda molto il mio ex compagno di stanza Brolin: lo spagnolo è certamente più tecnico, lo svedese era più offensivo e dinamico. Ma hanno qualcosa che li accomuna, cioè la capacità di alzare il livello. E poi c’è Bonny. L’anno scorso non segnava tanto, quest’anno ha imparato a fare pure quello. Nella mia carriera professionale ho fatto anche il Direttore Sportivo: un giocatore così avrei cercato di prenderlo a tutti i costi. Chiudo con una speranza e guardo alla difesa. Un reparto che, come potete immaginare, mi è molto caro. Pecchia può contare su dei giovani davvero molto interessanti, come Balogh, Leoni e Circati. Sarebbe bello vederli crescere con questi colori, magari per andare a ricreare l’intesa e l’empatia che avevamo io e Gigi Apolloni. Ah, giusto per la cronaca: con Circati, il padre però, sono stato compagno di spogliatoio proprio nella stagione della promozione. Gianfranco era in Primavera ma spesso si allenava con noi: faceva il difensore anche lui, si distingueva per le doti fisiche; Alessandro mi sembra più tecnico e con un’ottima capacità di lettura dell’azione. Sono passati quasi trent’anni dalle gesta di quel Parma che sorprese e affascinò il mondo del calcio. Oggi la squadra di Pecchia può tornare a stupire. Non so quali risultati potrà raggiungere, ma so che questo club e questa città sono pronti a vivere una nuova grande avventura nel calcio che conta. Una grande sfida, non più inaspettata ma certamente molto, molto affascinante.

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