Aldo Agroppi: schietto, diretto, un toscano doc

Piove quando io e mia moglie entriamo in autostrada. Il rientro in città dopo le feste di Natale è proprio malinconico. Mentre stavo pensando a un nuovo articolo da scrivere per Sky Sport Insider, abbiamo acceso la radio per farci accompagnare da un po' di bella musica durante il viaggio verso Roma. In quel momento era appena iniziato il notiziario ed ecco la brutta notizia: Aldo Agroppi non c’è più. Ammutolisco e penso alla nostra ultima telefonata, molti, troppi anni fa. Terminato il notiziario, iniziano le note di una canzone bellissima: “Almeno pensami” cantata da Ron e scritta da Lucio Dalla. Si chiude così: “Se stai dormendo sognami. Se mi sogni io sono lì. Dentro di te. Sempre più lontano. O dentro questa goccia che mi è caduta sulla mano”. E asciugando quella goccia ho pensato al mio breve ma intenso rapporto con Aldo Agroppi. La mente, prima, è volata a quando, da piccolo, l’avevo visto giocare allo stadio con la maglia del Torino e, poi, con quella del Perugia. Con i granata aveva vinto due Coppe Italia nel 1968 e nel 1971. Nel 1977 quando decise di lasciare il calcio giocato avevo appena dieci anni. Aldo amava troppo questo mondo. Era un passionale e aveva deciso subito di fare l’allenatore iniziando con le giovanili del Perugia. Nel 1985 Agroppi fu scelto dalla famiglia Pontello per la panchina della Fiorentina e, nonostante il quarto posto e la semifinale di Coppa Italia, per lui non fu una stagione facile. Fatale il suo rapporto con i tifosi viola che lo accusarono di non avere avuto rispetto per “l’unico dieci”: Giancarlo Antognoni che era rientrato in squadra dopo il suo secondo grave infortunio. La Fiorentina stava disputando un’ottima stagione e Aldo non inserì subito il capitano tra i titolari. Antognoni contestò alcune sostituzioni e il rapporto con l’allenatore si deteriorò al punto che, dopo la sconfitta con l’Inter, mentre Agroppi si stava dirigendo “ai campini” per l’allenamento, con alcuni tifosi iniziò una violenta discussione che degenerò in zuffa. Aldo fu difeso da Daniel Passerella. Nel 1993, quando avevo già iniziato il mio percorso professionale a Tele+, conobbi per la prima volta di persona Aldo Agroppi e lo intervistai più volte perché il tecnico toscano era tornato sulla panchina della Fiorentina dopo l’esonero di Gigi Radice alla quattordicesima giornata. Una stagione maledetta che costò il posto anche ad Agroppi che fu esonerato dopo il ventinovesimo turno. Al suo posto arrivò Luciano Chiarugi che non evitò l’onta della retrocessione per i viola. Dopo quella breve esperienza, non rividi più Aldo fino al 2000 quando mi trasferii a Roma per lavorare a Stream. Il direttore Darwin Pastorin decise, con il solito grande intuito, di affidare a lui e a Giorgio Chinaglia il commento tecnico dello studio della Champions League condotto da Fabio Guadagnini. Aldo e Giorgio erano uno spasso. Si prendevano in giro per tutto il tempo; erano due grandi intenditori di calcio. Si stimavano e si rispettavano molto. Era bello lavorare con loro perché rispettavano tempi e scalette. Lo studio più bello, e che non dimenticherò mai, fu quello del 3 aprile 2001. A Istanbul si giocava l’andata dei quarti di finale tra Galatasaray e Real Madrid. Gli spagnoli, allenati da Vicente del Bosque, andarono all’intervallo con due reti di vantaggio. Avevano segnato Ivan Helguera e Makelele. In studio Agroppi e Chinaglia si infervorarono più del solito. Aldo sostenne che i turchi avrebbero ribaltato il risultato e Giorgio gli disse scherzando che “di calcio lui non capiva niente”. Ebbene, la partita finì 3-2 per il Galatasaray e quello che accadde in studio durante il secondo tempo e, poi, in onda al termine della partita fu da morire dal ridere. In regia avevamo tutti le lacrime agli occhi dalle risate. Fabio Guadagnini, fece fatica a trattenere Agroppi che chiedeva a Chinaglia di fare “mea culpa”. Dopo l’avventura a Stream, ho incontrato più volte Aldo negli stadi di Serie A e l’ho sentito telefonicamente anche quando fu colpito dalla depressione. “E’ la malattia dell’umore che non riesco a vincere” mi diceva. La voce non era più la stessa, qualcosa si era rotto nell’anima. Di lui mi resta il ricordo di una persona schietta, diretta. Un toscano doc. Quando doveva polemizzare con qualcuno diceva le cose in faccia guardandoti negli occhi. Quegli occhi che si erano spenti anni fa e che avevano perso da tempo la brillantezza dei giorni migliori.

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Aldo Agroppi: schietto, diretto, un toscano doc