Palladino: "Berlusoni e Galliani hanno creduto in me. A Monza sono cresciuto come persona"

13 settembre 2022, la data che cambia la vita calcistica di Raffaele Palladino. Esonerato Giovanni Stroppa, Galliani e il presidente Berlusconi decidono di promuoverlo alla guida del Monza. Un'occasione unica da prendere al volo. Palladino, a distanza di due anni, si commuove ancora quando pensa a chi gli ha regalato questa grande opportunità: “Berlusconi mi ha sempre trattato come uno di famiglia, è stato bello condividere pensieri calcistici con lui”. Rapporti, quelli a Monza, che vanno anche al dì là dell’aspetto calcistico, che lo hanno aiutato a crescere come allenatore e come uomo: “Con Galliani c’è grande stima e amicizia, mi ha dato dei consigli che porterò con me tutta la vita, su come comportarmi con persone di un certo livello, sulla comunicazione, come stare nell’ambiente calcistico. Mi dava consigli su tutto, lo ringrazio perché mi ha fatto crescere a livello umano”. Gli occhi diventano rossi ripensando a Berlusconi, il presidente che non c’è più, e a Galliani, che gli è sempre stato così vicino: “Li ringrazierò per tutta la vita. Hanno avuto grande coraggio”. Un coraggio che, in effetti, mai era mancato a Berlusconi e Galliani sulla scelta degli allenatori. Da Arrigo Sacchi, che stregò il cavaliere battendo il Milan due volte con il Parma, all’intuizione di Fabio Capello allenatore, a cui affidò il suo Milan nell’estate del 1991. E poi ancora la scommessa Massimiliano Allegri, nel 2010 dal Cagliari, con cui il Milan vinse uno scudetto dopo sette anni di digiuno . Insomma il fiuto non è mai mancato al duo Berlusoni-Galliani, e anche con Palladino sembrano davvero averci visto lungo. L’esperienza al Monza iniziata con il botto, vittoria con la Juve per 1-0. Poi due stagioni in cui porta il club biancorosso a una tranquilla salvezza. Una vetrina che gli permette di mettersi in mostra, di essere considerato uno degli allenatori giovani più interessanti, diventando uomo mercato nell'estate 2024. Si parlò di Napoli e di un interessamento dell’allora Ceo della Roma, Lina Soulouku, ma alla fine a spuntarla fu Daniele Pradè. La Fiorentina e Palladino si sono piaciuti subito, hanno la stessa ambizione e fame di successi. Palladino è l’uomo giusto per azzerare tutto, per ricominciare e provare a portare un trofeo a Firenze dopo le tre finali perse con Vincenzo Italiano. La società lo accontenta sul mercato: brava a portare in Italia De Gea , bravissima a scegliere l’attaccante che era mancato in tutti questi anni, Kean, che Palladino avrebbe già voluto allenare a Monza: “Sono state due grandi intuizioni di Pradè, Goretti e Ferrari, ci stanno dando una grande mano”. Cambia il volto del centrocampo con Adli, Cataldi e Bove. Porta con sé, dal Monza, uno dei migliori talenti italiani, Colpani. Per chiudere il mercato, Pradè gli regala Gudmundsson, oggetto del desiderio di mercato di tante squadre. Acquisti, soprattutto gli ultimi due, che legittimano le ambizioni della Fiorentina, anche se sono soprattutto loro due ad aver reso finora meno del previsto: “Le difficoltà ci possono stare, sia fisiche sia di ambientamento, parlo con tutti i giocatori individualmente, cerco di capire perché non riescono ad esprimersi al 100%. Il mio compito di allenatore è aiutarli”. Qualche burrasca c’è stata, va detto. Il rapporto con Biraghi e Martinez Quarta, due fra i leader dello spogliatoio, non è mai decollato. Uno fuori dal progetto tecnico, l’altro ceduto al River Plate. “Non c’è stato alcun litigio, ho un buon rapporto con entrambi", spiega Palladino, "Il 'Chino' voleva giocare di più, io non trattengo nessuno, lui voleva giocare, lo abbiamo deciso insieme. Con Biraghi il discorso è stato diverso, ci siamo seduti con la società e di comune accordo si è deciso che a gennaio sarebbe potuto andare via. Le scelte le faccio con il club, prendo sempre le mie responsabilità”. Nonostante qualche turbolenza, il rendimento sotto le aspettative di alcuni e le difficoltà iniziali, il bilancio per Palladino, al giro di boa, è più che positivo: 32 punti nonostante una partita in meno, le vittorie contro Milan, Roma e Lazio, il pareggio in rimonta contro la Juve, le otto vittorie consecutive, l'ingresso nella storia della Fiorentina. Un girone d’andata, però, caratterizzato da quel grande spavento. Una data difficile da dimenticare. Primo dicembre, Fiorentina - Inter, minuto 17, Edoardo Bove crolla a terra. La corsa in ambulanza, la paura di non vederlo più, poi la gioia di sapere che sta bene. L’operazione, i dubbi sul suo futuro ma, soprattutto, la voglia di averlo sempre accanto. Palladino non lo ha mai lasciato solo da quel maledetto primo dicembre: “Edo era ed è il cuore della squadra. Abbiamo sofferto molto, ho cercato di stare il più vicino possibile ai ragazzi, abbiamo perso tanto a livello tecnico ed emotivo". Perché Bove è una presenza costante al Viola Park e allo stadio: “E’ qui ogni giorno, viene in campo, ci dà una mano. A noi fa piacere averlo qui, ci dà una grossa energia”. Siamo disposti a scommettere che andrà anche lunedì in tribuna a Monza per tifare i suoi compagni, e magari dare qualche consiglio a Palladino su come affrontare le partite speciali, quelle che la sera prima non ti fanno dormire, come sarà successo a lui contro la Roma. Perché quella contro il Monza per Palladino non sarà mai una partita come le altre. La sua ex squadra, nel suo ex stadio, dove in panchina adesso siede uno dei suoi più cari amici sin dai tempi del Genoa, Salvatore Bocchetti: “Siamo amici, ci vogliamo bene, abbiamo vissuto tanti bei momenti al Genoa. Ci siamo sentiti, è molto bravo, spero possa avere una continuità di rendimento e risollevarsi. Dopo la partita contro la Fiorentina ovviamente”.

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