I tanti volti del pressing nella Juventus di Thiago Motta

In questi mesi, stiamo imparando a conoscere tante facce della Juventus di Thiago Motta. Una squadra che da una parte sta ancora sviluppando e scoprendo la sua identità, ma che dall’altra trova la sua forza anche in tweaks tattici che di volta in volta modificano il suo modo di stare in campo. Facciamo un piccolo rewind a sabato scorso: vi ricordate della fatica che ha fatto il Milan a uscire in maniera pulita dal suo terzo difensivo? Ecco, partiamo da qui. Ovvero, da quella pressione che è sempre stata al centro della costruzione della Juve di Thiago Motta, in un senso o nell’altro. A inizio ottobre provavamo a capire i motivi per cui la Juventus non aveva ancora preso gol , e già lì si parlava di pressione . Di quell’atteggiamento senza palla ricco di sfaccettature e che non si poteva banalmente rinchiudere in una media. E infatti, nel corso della stagione la Juve ha impostato tante partite molto diverse dal punto di vista della pressione: a volte è stata più aggressiva, a volte meno. Contro il Milan, però, ha toccato il picco: non si era mai vista una Juve così intensa – e per così tanto tempo - dal punto di vista del pressing. Dai, ormai il PPDA lo conoscete benissimo. L’abbiamo citato tante volte, ma facciamo un ripassino. È un indice utilizzato per capire l’intensità della pressione, infatti misura la quantità media di passaggi concessi all’avversario prima di intraprendere un’azione difensiva. Nel caso, significa che la Juventus ha provato un intervento di recupero palla ogni 6 passaggi circa del Milan. Questo indice non restituisce l’efficacia della pressione , ma è fondamentale per stabilire l’intensità della stessa. Che in questo caso, è stata clamorosamente alta. Per capirlo, basta dare uno sguardo alla classifica del PPDA della Serie A. Giusto per fare un paragone, il dato del Bologna è molto alto: uno dei più alti in Europa. E anche il confronto sulla Juventus stessa rende l’idea: l’intensità con cui ha pressato il Milan è stata praticamente doppia rispetto alla media stagionale della squadra di Thiago Motta. Come dicevamo prima, però, il valore medio della Juve va preso con le pinze: vedendo le partite si capisce bene come sia una squadra molto abile e propensa ad alternare i vari atteggiamenti, sia nel corso delle settimane sia durante i 90 minuti. E infatti basta andare indietro di soli altri 4 giorni per avere un esempio: nella partita precedente – con l’Atalanta – la situazione si è ribaltata. Infatti, il PPDA era superiore a 17: una variazione veramente importante. E allora, ci è venuto in mente di dare uno sguardo più approfondito a tutti i PPDA delle singole partite della Juve, per capire di quanto variassero realmente di partita in partita, visto che a una prima occhiata ci sembravano numeri – e quindi intensità - abbastanza diversi tra loro. Cercando di dare un fondamento aritmetico a questa capacità della Juventus di cambiare molto la sua intensità senza palla, con l’obiettivo di rispondere a questa domanda: è solo una sensazione o questa variabilità è davvero così elevata e significativa come sembra? . Per dimostrarlo servono due ‘aiuti’ statistici: la deviazione standard e il coefficiente di variazione. Abbiate fede: il concetto è più facile di quello che sembra . Calcolata tramite radici quadrate, medie, elevazioni al quadrato e somme varie , la deviazione standard è uno strumento molto utile per misurare quanto i dati si discostano dalla loro media. In parole semplici, ti dice quanto i valori sono sparpagliati attorno alla media: • Se la deviazione standard è bassa, i valori sono vicini tra loro e alla media, quindi stabili. • Se è alta, i valori sono più distanti e quindi più variabili. Nel caso del PPDA della Juve, sappiamo che la media è 11,56, il che porta a una deviazione standard – saltiamo la parte noiosa – di 3,42. Questo significa che i valori di PPDA variano, in media, di circa 3,42 punti attorno alla media. E qui arriva il dubbio e la naturale domanda: è tanto? È poco? Da sola, la deviazione standard non può dircelo, perché dipende sempre dall’unità di misura. Serve allora qualche tipo di ‘confronto’. E qui ci viene in aiuto il coefficiente di variazione, che ci aiuta a contestualizzare questo dato Infatti, la deviazione standard da sola ci dice quanto i valori del PPDA variano rispetto alla media, ma non ci aiuta a capire se questa variabilità sia davvero significativa. Se la media fosse ad esempio 50, una deviazione di 3,42 sarebbe bassa. Con una media di 5, la stessa deviazione sarebbe enorme. E qui entra in gioco il coefficiente di variazione, che confronta la deviazione direttamente con la media permettendoci di esprimere la variabilità in percentuale. E questo lo rende molto più utile della deviazione standard da sola, perché elimina il ‘peso’ dell’unità di misura. Ecco, il coefficiente della Juve – risparmio anche qui i calcoli – è precisamente del 29,85%. Tradotto: molto alto. Sopra il 20%, infatti, i dati sono considerati altamente variabili. Nel nostro caso, siamo quindi ben oltre il 20%, indicando una variabilità fortemente significativa. Anche l’aritmetica ci conferma quindi che i dati osservati sono molto eterogenei e dispersi, e quindi che la variabilità del comportamento senza palla della Juventus non è solo evidente, ma è anche oggettivamente molto elevata. Impressione confermata, quindi: l’aggressività della squadra di Thiago Motta cambia di tanto da una partita all’altra, con picchi molto elevati in un senso o nell’altro. Chiudiamo i libri di matematica e torniamo in campo: contro il Milan – dicevamo – abbiamo visto la Juventus più aggressiva della stagione in fase di pressing. Il piano di Thiago Motta era chiaro fin dall’inizio, come lui stesso ha spiegato nel postpartita: non dare soluzioni facili in costruzione a un portiere di qualità come Maignan. Missione riuscita. Sulla prima costruzione del Milan, l’idea della Juve era simile a quello che vediamo fare spesso al Barcellona: stringere gli esterni d’attacco sui due centrali avversari e prendere il centrocampista più basso con il centravanti, formando una sorta di triangolo di pressing rovesciato. La partita è iniziata da poco e la struttura senza palla della Juve è già eviente: Mbangula e Yildiz molto stretti su Gabbia e Tomori, mentre Nico si abbassa per schermare Fofana. Maignan non ha soluzioni brevi di passaggio, perché sono tutti marcati. Yildiz curva bene la sua corsa per mettere pressione a Maignan – coprendo sempre il passaggio a Tomori – e costringendolo ad andare dove vuole la Juve: a destra. Il portiere del Milan alza la palla per Emerson, e Cambiaso si affretta ad andare e prenderlo. Le altre coppie sono già formate: Thuram è attaccato a Bennacer, mentre Locatelli si preoccupa di Abraham. Sulla corsa della palla di Maignan, la Juve si è sistemata benissimo sulla seconda palla: la prende Emerson, ma intorno ci sono solo giocatori della squadra di Thiago Motta, e nessun milanista che può aiutare . La Juve recupera palla. Il Milan non è stato a guardare e ha provato a reagire a questo tipo di pressione con diverse soluzioni, ma la Juventus ha sempre avuto la risposta pronta. Conceiçao abbassa un altro centrocampista, Reijnders, e allora Koopmeiners deve salire in pressione. Emerson e Bennacer avrebbero anche spazio di ricezione, ma la direzione del pressing della Juve rende clamorosamente difficile andare da loro. Se le ali vanno a prendere i centrali del Milan, come abbiamo visto, c’è una buona probabilità che i terzini allora siano abbastanza liberi . E infatti, Theo – fuori dall’inquadratura – non ha marcatura e Gabbia lo vede. Qui però entra in gioco Koopmeiners : capisce dove vuole andare Gabbia, lascia Reijnders e sul lancio intercetta la palla per Theo. Quella della Juve è una tipologia di pressione dispendiosa: non solo a livello fisico ma anche a livello mentale. È fondamentale saper riconoscere le scelte giuste al momento giusto. Altra azione e altro tentativo del Milan di aggirare questa aggressività. Bennacer arriva in corsa seminando Thuram, viene preso da Mbangula e combina con Maignan per trovare il terzo uomo – Gabbia – che nel frattempo è rimasto senza marcatura. Qui il Milan esce bene… …ma la Juve recupera subito, perché Gabbia si trova praticamente nella stessa situazione che abbiamo analizzato all’inizio: non ha soluzioni. Non può neanche ricominciare da Maignan, visto che Mbangula è tornato benissimo. Cambiaso è ancora bravo ad accorciare su Emerson, il centrale del Milan è obbligato a lanciare lungo, e a perdere palla. Da qui, la strategia della Juve si nota perfettamente. Ali sui difensori centrali, Nico Gonzalez su Fofana . Non è una marcatura a uomo a tutto campo perché Motta decide di lasciare libero Emerson Royal, di modo da avere in zona difensiva un uomo in più e non rischiare troppo. Scelta che ha pagato tantissimo. Solito deja vù: Yildiz ha ‘lasciato’ Tomori per forzare il passaggio di Maignan verso destra , ma le scalate su Emerson e Bennacer da parte di Cambiaso e Thuram funzionano ancora una volta, obbligando Gabbia a lanciare lungo. Ormai lo sappiamo bene e ce lo ripetiamo da tempo: questa è una Juventus che sa cambiare pelle a seconda delle necessità. Passa da partite in cui lascia respirare gli avversari ad altre in cui la strategia è soffocarli dal primo minuto. Contro il Milan, Thiago Motta ha tirato fuori una versione estrema della Juve, con Maignan che ha visto più palloni lunghi che compagni liberi. Tra numeri e campo, resta una domanda: quanto può spingersi ancora oltre questa Juve?

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Luca Mastrorilli