Milan-Inter: si vincono i derby quando si rifiuta la sconfitta

Io di derby ne ho vissuti tanti e di tutti i tipi. C’erano quelli dei primi anni ‘80, quando il Milan era più in difficoltà; o quelli degli anni ‘90, quando in difficoltà ci andavamo più noi interisti. Eravamo una buona squadra, ma loro erano veramente forti. Però c’è un dato di fatto, e non è retorica: giocare un derby non è mai facile. Figuriamoci vincerlo. Quando parlo di questa partita, di solito riguardo un attimo i miei numeri: ne ho disputati 44, vinti 13, persi 13, pareggiati 18. E mi ricordo bene come mi sentivo quando perdevo: non avevo voglia di uscire di casa, lo facevo solo per andare all’allenamento. Ci voleva qualche giorno. Adda passà a nuttata... Rivalità sana Una partita così la senti eccome. Per chi come me è nato a Milano e cresciuto nel settore giovanile dell’Inter, la rivalità era praticamente solo contro il Milan. Però era sana, l’ho sempre vissuta così. La generazione nerazzurra era un gruppo nutrito: oltre a me c’erano Zenga, Ferri, Beppe Baresi, Canuti. Sfidavamo degli amici come Battistini, Evani, Franco Baresi… Con Franco capitava spesso di vederci fuori dal campo, abbiamo anche girato un sacco di spot insieme. Ma quando si giocava, si azzerava tutto: volevamo vincere, c’era quella tensione giusta che portava a fare sempre del nostro meglio. Quelle ‘botte’ che ti aspettavi Una gara così ti porta a dare di tutto. Mi ricordo certi duelli con Van Basten, che era uno di quelli che ti prendeva la terra, te la buttava in faccia e poi partiva. Tornava Serena a marcarlo negli angoli. Una volta invece era capitato un episodio con Maldini: c’era una punizione per noi, io la batto veloce, lui mi contrasta e mi pesta la mano. Mi rialzo, lui mi guarda e mi strizza l’occhiolino. Ci siamo fatti un sorriso a fine partita. Era la partita che sentivo di più, che temevo e non vedevo l’ora di giocare, ma poi la affrontavo con la serenità giusta. Lo stadio aiutava, ma grazie a un paradosso: quando entravi non sentivi più niente, io lo chiamo ‘brusio ovattato’. C’era così tanta confusione che in realtà ti isolavi e pensavi solo a giocare. Era molto meglio così che di fronte a uno stadio semivuoto: lì, le ‘sveglia!’, gli ‘alora!’ li sentivi eccome. E ti colpivano. Come Moratti ci faceva calare la tensione Mentre scrivo, continuo a ricordarmi. E dallo stadio vado nella pancia di San Siro, negli spogliatoi. Secondo voi, uno come Moratti, che si compra l’Inter e da tifoso nerazzurro si ritrova a vivere un derby da presidente, come la viveva? A me viene da ridere, perché nel ‘95 il suo primo discorso ci lasciò completamente a bocca aperta. “Siete nervosi? E perché?”, disse. “Dovete stare tranquilli: il nostro vero avversario è la Juve, mica il Milan!”. ‘Col cavolo’ avevo pensato io. Ma in effetti il presidente veniva da quella generazione di tifosi che aveva vissuto quella rivalità degli anni ‘60 contro i bianconeri: quella di Mazzola, Facchetti, Corso; quella che portò l’Inter in segno di protesta a giocare una partita con la Primavera e perdere 9-1, pur di tenere un punto. Voleva snobbare il derby? Per niente. Ma era la prima volta che per allentare la tensione ci veniva fatto anche un piccolo discorso di storia dell’Inter. Mi aveva lasciato senza parole. Motivazioni Mi chiedo se anche Dimarco avrebbe reagito come me. E penso di sì. Viviamo vicini, a volte ci capita di parlare di derby. Una volta Federico mi ha detto: “Zio, per me la rivalità è con il Milan più che con la Juve”. Lo capisco, perché chi vive la quotidianità del settore giovanile, chi vive Milano, non può non pensare al derby. Ora in rosa ci sono tanti stranieri? Non importa, non cambia. I paragoni con il passato quasi sempre diventano fuorvianti: noi abbiamo vissuto una nostra epoca, i giocatori di adesso vivono giustamente la loro. Ma di una cosa sono certo: le motivazioni ci saranno. Per tutti. Quando giocavo, gli allenatori non facevano la minima sfuriata, non avevano bisogno di caricarci. E lo stesso, ne sono convinto, capita adesso. Un giocatore vive per queste partite, deve avere il fuoco dentro. O non fa il calciatore. Il consiglio migliore che possa dare? Quello del titolo: si vincono i derby, quando si rifiuta la sconfitta. I piedi buoni servono, la testa ancora di più. Ci divertiremo. Come sempre.

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Giuseppe Bergomi