Le tre cose che il derby ci ha detto sulla Roma

La prodezza di Matias Soulè, da un paio di mesi assurto a ruolo di nuovo eroe giallorosso. Le parate di Mile Svilar, oramai uno dei portieri più forti della Serie A, e quindi d’Europa. Il punto conquistato contro i rivali di sempre e ancor più di oggi . Poi, niente altro. La Roma di Ranieri ha ben poco da salvare dal 162esimo derby della capitale, battaglia spigolosa di nervi e puncicate, alla ricerca del contatto e della simulazione continua , in un canovaccio da contesa provinciale primi anni ’90 dove le due romane più che sognare la gloria cercavano di non rovinarsi definitivamente la stagione. Un derby che, lo ribadiamo sin da subito, la Lazio meritava di vincere, perché maggiore è stata l’applicazione, più intensa la voglia di vincere - figlia anche di una rivalsa che dopo la batosta norvegese contro il Bodo i giocatori biancocelesti probabilmente sentivano ardere dentro - migliore lo sviluppo del gioco, più decisi i contrasti, meno problematiche le coperture difensive, più avvincenti le combinazioni, più alto il numero di occasioni. Insomma, più tutto e, soprattutto, più squadra. Ma alla fine, siccome parliamo di calcio e quello che conta è il risultato, Ranieri può comunque gongolare, sfogliando l’album dei ricordi e aggiungendo alle 5 vittorie già timbrate un ultimo pareggio stracittadino. Non ha mai perso un derby e così sarà per il resto della sua storia. Ma per farlo, questa volta, ha dovuto dare maggiore fondo a quelle risorse nascoste, ma fondamentali, di una squadra di calcio. Il portiere e il fantastista, assieme al bomber e al regista i perni teorici di un undici che si rispetti. E che, a furia di vittorie dopo vittorie, il rispetto di questa Serie A se l’è anche conquistato. Partiamo dal primo, anche se ultimo cronologicamente, protagonista. Matias Soulè da Mar del Plata: il vice Dybala, lo “scarto” della Juve , l’esterno che non riusciva a mettere insieme una giocata, un passaggio, uno stop, figuriamoci un gol. Il ragazzo che Ranieri ha coccolato e aspettato, educato al sacrificio di giocare in una squadra come la Roma che è diversa dal Frosinone, che ha difeso dal complicato ruolo di ombra/fratellino di Dybala e nel quale ha sempre creduto. “Si vede che ha talento, gli ho detto di non preoccuparsi perché è lui il futuro della Roma”, diceva di lui l’allenatore dopo la partita col Napoli del 2 febbraio, la prima da 90’ con Ranieri. “Deve solo trovare piano piano il ritmo della squadra, essere più concreto, capire cosa serve per giocare qui. Baldanzi, che è arrivato sei mesi prima, lo ha già capito ed è un po’ più avanti, ma da Soulé mi aspetto lo stesso”. Due mesi dopo, il ragazzo i compiti sembra che li abbia fatti più che bene. Passato per i miseri 28 minuti accumulati nelle prime 9 con Ranieri, ha sfruttato il lavoro svolto a Trigoria e, più avanti, l’infortunio di Dybala , e piano piano, come predetto da nonno Claudio, si è preso la Roma. Da quella sfida contro il Napoli del 2 febbraio, ben 9 partite da titolare su 10 , i gol decisivi nelle trasferte contro Parma ed Empoli , una verve ritrovata, giocate che sgorgano più limpide e fluide, una presenza anche difensiva che non si credeva nelle sue corde, una nuova consapevolezza in campo. Fino alla definitiva consacrazione, quella che solo i gol decisivi nelle partite che segnano l’animo sanno dare, arrivata grazie a una perla mancina tutta classe visionaria che, come pochi altri gesti, rappresentano l’essenza dell’argentino. Se Soulè ha trovato una prima importantissima consacrazione, non ne aveva di certo bisogno il più lontano dei suoi compagni, quel Mile Svilar che oramai da due stagioni è uno dei punti fermi della squadra giallorossa. E che anche contro la Lazio ha dimostrato perché il suo rinnovo di contratto deve essere una delle priorità assolute della società, dopo un primo incontro a dir poco interlocutorio. Il belga al derby ha sfoggiato un’altra prestazione eccezionale: è stato decisivo in almeno tre occasioni , ha neutralizzato tutto quello che poteva neutralizzare , cadendo solo sotto il colpo di testa ravvicinato di Romagnoli, ha sempre trasmesso fiducia e tranquillità a tutto il reparto difensivo, come oramai sta facendo da quando De Rossi, con una delle intuizioni più felici della sua gestione, decise di promuoverlo titolare al suo arrivo dopo l’esonero di Mourinho. Terzo per numero assoluto di parate in Serie A , Svilar è secondo per percentuale di parate con un 75,94% di conclusioni respinte ed è oramai universalmente riconosciuto come uno dei migliori portieri del nostro campionato. Lasciarselo sfuggire - le sirene estere risuonano - sarebbe un errore imperdonabile. Una prestazione, quella del portiere belga, che spalanca però per forza di cose il fronte oscuro della banda giallorossa, rappresentato dalle tante difficoltà incontrate nei 96 minuti contro i cugini tiberini e da quelle parimenti patite nel primo tempo contro la nuova Juve di Tudor una settimana prima. Complice, forse, anche una disposizione tattica inedita i giallorossi hanno faticato tremendamente a coprire il campo e intercettare le giocate dei ragazzi di Baroni, finendo per subire troppo e richiedere, per l’appunto, un lavoro extra al proprio numero 1. Nel primo tempo centrocampisti e difensori non sono riusciti a prendere le misure agli inserimenti di esterni e mezzeali avversarie, non hanno quasi mai recuperato la palla in zona utile per ripartire con efficacia e hanno finito per non avere mai in mano il pallino del gioco. Solo nella ripresa, dopo il gol della Lazio e l’ingresso di Shomurodov, è arrivata la reazione, seppur parziale, frutto di una maggior determinazione e di un baricentro più alto, subito smorzata però dopo il pareggio da fenomeno di Soulè, che in realtà avrebbe dovuto caricare i giallorossi e consigliare loro di cavalcare la nuova inerzia della gara. E, invece, la sensazione - ed è stata la stessa percepita dopo il pareggio contro la Juve - è che la squadra e Ranieri stesso, dall’alto della sua sapienza, si siano quasi accontentati perché coscienti dei propri limiti oggettivi e peculiari e perché dopo 7 vittorie di fila, seppur contro squadre alla portata, due pareggi contro Lazio e Juve in fondo potevano anche andar bene. Non c’era più tanta benzina con la quale alimentare il motore, meglio portare la macchina sulle marce basse e proseguire la corsa che da 5 mesi il nuovo autista sta rendendo straordinaria. Certo l’obiettivo Champions ora è un po’ più lontano ma d’altronde pensare che Ranieri riesca a portare una squadra dalla zona retrocessione ai primi 4 posti della Serie A è opera ardita anche per il più inguaribile degli ottimisti. Le ultime 6 partite della stagione emetteranno il verdetto, che in ogni caso per sor Claudio da Testaccio rimarrà unanime: è il salvatore della patria giallorossa. E in carriera non ha mai perso un derby.

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Le tre cose che il derby ci ha detto sulla Roma

Michele Mastrogiacomo