Fiorenzo Magni e Alfredo Martini: una storia per ricordare il 25 aprile

"Che qui si fa l’Italia e si muore Dalla parte sbagliata In una grande giornata si muore In una bella giornata di sole Dalla parte sbagliata si muore" – Francesco De Gregori, “Il cuoco di Salò” E così sono passati ottant’anni. Ottanta. Da quell’aprile che poi è diventato un giorno in particolare, il 25. La Liberazione, scritta con la L maiuscola, dalla tirannia fascista e dall’occupazione nazista. Mai nella Storia i confini tra giusto e sbagliato sono stati così netti e inequivocabili come per la Seconda Guerra Mondiale. Per quanto sia purtroppo ancora necessario ribadirlo, da una parte la barbarie nazista e fascista, dall’altra la libertà e la democrazia. La Quinta Armata in Italia, i giovani americani e canadesi a Omaha Beach in Normandia, la strepitosa resistenza britannica incarnata da Winston Churchill, l’orgoglio francese rappresentato da Charles De Gaulle e i soldati senegalesi e nordafricani al servizio del tricolore transalpino, il tremendo sacrificio delle truppe sovietiche a Stalingrado, l’eroismo della Brigata ebraica. E, in Italia, il contributo della Resistenza antifascista, fatta dai partigiani garibaldini, comunisti e socialisti, dalle brigate Giustizia e Libertà del Partito d’Azione, dai partigiani cattolici, liberali, monarchici, e dalle truppe dell’esercito che dopo l’8 settembre 1943 si rifiutarono di collaborare con il nazifascismo. Tutto questo è Storia, una storia che va ricordata, celebrata, difesa. Poi nella Storia ci sono anche le storie, i destini personali, gli intrecci, i gesti. E le scelte fatte dai singoli, in momenti drammatici in cui non c’è possibilità di astensione. La Storia, quando bussa alla porta della nostra vita di singoli esseri umani, impone talvolta l’immediatezza della scelta, dello schieramento. Questa è la storia di due amici, amici fino alla fine. E di parti giuste e sbagliate in cui a vincere, sopra ogni cosa, è quel legame indissolubile tra due persone che si riconoscono e si amano fraternamente. Michel de Montagine nei suoi 'Saggi' ci dice in modo risoluto e insindacabile che la vera amicizia, nella vita di un uomo, può essere davvero rivolta soltanto a una persona. Un’affermazione perentoria che, nel caso di Fiorenzo Magni e Alfredo Martini, sembra davvero trovare una conferma definitiva e indiscutibile. Ancor di più se in questa storia di due giganti del ciclismo ci addentriamo e la osserviamo con il distaccato atteggiamento di spettatori non giudicanti. I due protagonisti. Da un lato Fiorenzo Magni, il 'terzo uomo' tra Fausto Coppi e Gino Bartali, l’unico in grado di competere e vincere con i due miti del pedale. Tra i suoi grandi successi tre Giri d’Italia , ancora oggi il più 'anziano' a conquistare – quasi 35enne – la maglia rosa, e tre Giri delle Fiandre consecutivi che gli valsero il soprannome di 'Leone delle Fiandre'. Dall’altro Alfredo Martini, una carriera da super gregario ma soprattutto il più grande Ct di sempre della nazionale, con ben sei titoli mondiali vinti sotto la sua guida dal 1975 al 1997. Qualcosa di più che un semplice selezionatore ma un vero padre, nonno, fratello e zio di tutti i corridori e del ciclismo azzurro. Amici per la pelle, si dice quando si vuole definire un rapporto stretto, fraterno, indissolubile. Magni e Martini lo sono stati fino agli ultimi giorni di vita. Una storia, la loro, che passa anche e soprattutto da quegli anni drammatici, dal 1943 al 1945, segnati da una guerra terribile, fratricida, scatenata dalla barbarie nazifascista. Un conflitto che vide i due amici schierati nelle fazioni contrapposte in una regione, la Toscana, teatro di battaglie sanguinose, rappresaglie e stragi naziste indicibili, uno degli epicentri più esplosivi nel fronte bellico italiano. Alfredo Martini scelse la parte giusta. Antifascista convinto, aderì alla lotta partigiana, e con la sua bicicletta trasportava materiale propagandistico e soprattutto bellico. Sui pedali consegnava ai capi partigiani le bottiglie molotov, sfidando posti di blocco, agguati, delazioni e mettendo a rischio ogni volta la sua vita. Fiorenzo Magni, al momento dell’armistizio soldato del Regno, scelse la parte sbagliata, arruolandosi nella Guardia nazionale repubblicana, le camicie nere della Repubblica di Salò fascista. Una scelta fatta forse per opportunismo, per stare vicino a casa a Vaiano, frazione di Prato, per avere l’opportunità di continuare ad allenarsi; forse per riconoscenza nei confronti dei gerarchi locali che gli avevano consentito di dedicarsi al ciclismo; forse anche per convinzione, ingannato come tanti, troppi giovani italiani dalla propaganda fascista. 3 gennaio 1944, battaglia e strage di Valibona. Il teatro sono le alture sopra Prato. Data-spartiacque di questa vicenda. La formazione partigiana “Lupi Neri”, guidata da Lanciotto Ballerini, viene accerchiata e nasce uno scontro a fuoco tremendo. Il capo partigiano viene ucciso insieme con altri due antifascisti. Nella spedizione fascista per accerchiare e annientare la brigata figura anche il nome di Fiorenzo Magni. L’eco di questo drammatico evento bellico resterà impressa nel ricordo di tutta Prato e di Vaiano, luogo natale del corridore. E sarà al centro del processo che vedrà coinvolto, come imputato, lo stesso Magni. Qualche mese più tardi, con gli americani in avanzata verso il nord Italia, Magni decide di abbandonare la camicia nera e fuggire in Brianza, dove trova accoglienza nella società ciclistica Pedale Monzese. Grazie ai documenti del processo, creduti perduti ma ritrovati dallo storico britannico John Foot presso l’Archivio di Stato di Perugia, e studiati in modo più approfondito da Walter Bernardi nel suo prezioso libro “Il caso Fiorenzo Magni – L’uomo e il campione nell’Italia divisa” abbiamo scoperto che durante la sua permanenza a Monza, da fine estate del 1944, Magni aiutò la Resistenza, in particolare le formazioni di Giustizia e Libertà, trasportando documenti e materiale propagandistico. COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE Corpo Volontari della Libertà – Comando militare regionale piemontese "A tutti i comandi zona. Comunicasi il seguente telegramma: ALDO DICE 26 x 1 Stop Nemico in crisi finale Stop Applicate piano E 27 Stop Capi nemici et dirigenti fascisti in fuga Stop Fermate tutte macchine et controllate rigorosamente passeggeri trattenendo persone sospette Stop Comandi zona interessati abbiano massima cura assicurare viabilità forze alleate su strade Genova-Torino et Piacenza-Torino Stop 24 aprile 1945." Un telegramma passato alla storia. 'Aldo dice 26x1', è il segnale che l’insurrezione ha di fatto vinto, l’Italia è liberata dal fascismo e dall’occupazione nazista. Celebre come il messaggio radio lanciato da Sandro Pertini, comandante partigiano e futuro presidente della Repubblica: "Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire". La parte giusta ha vinto dopo due anni di lotta, di battaglie sanguinose, di stragi disumane decise dai fascisti e dai nazisti. Sono giorni frenetici in cui si costruisce la nuova Italia e al tempo stesso si consumano i destini individuali. "E l’Italia cantando ormai libera allaga le strade Sventolando nel cielo bandiere impazzite di luce E tua madre prendendoti in braccio, piangendo sorride Mentre attorno qualcuno una storia o una vita ricuce" – Francesco Guccini, 'Quel giorno di aprile' Ricucire una storia e un Paese, questa la prima preoccupazione del Governo guidato dal democristiano Alcide De Gasperi con la partecipazione anche di socialisti e comunisti. Il Ministro della Giustizia è il segretario del PCI, Palmiro Togliatti. Il 2 giugno 1946 il referendum che sancì la nascita della Repubblica e l’elezione dell’Assemblea Costituente, le prime elezioni nazionali libere e a suffragio universale, con finalmente anche le donne alle urne. Nel frattempo, però decine di processi erano stati istruiti a carico di fascisti responsabili delle efferatezze compiute nel corso della guerra. Uno di questi processi, svolto a partire dal gennaio 1947 a Firenze, vede imputato Fiorenzo Magni proprio per i fatti di Valibona. Magni è di fatto latitante per quasi un anno e mezzo e al processo è contumace. Negli atti, riportati alla luce da John Foot nel suo libro “Pedalare – La grande avventura del ciclismo italiano” e da Walter Bernardi nel libro sopra citato , si evidenziano dati fattuali e testimonianze che provano a ricostruire il reale peso avuto dal corridore negli atti bellici, e anche diverse deposizioni, da parte di alcuni insospettabili partigiani e antifascisti, a favore del corridore di Vaiano. In una vicenda che comunque resta per molti versi oscura e di difficile decifrazione. Il collegio difensivo di Magni chiama a deporre al tribunale di Firenze altri corridori: Gino Bartali, Aldo Bini e Alfredo Martini. I primi due non si presentano, Martini ci va. E rilascia ai giudici questa deposizione: "Il Magni che è corridore ciclista fino al 25 luglio 1943 mi è parso un’ottima persona". Una testimonianza che, dal punto di vista processuale, conta pochissimo e non è determinante a fini dell’assoluzione di Magni. Ma che dal punto di vista umano invece è fondamentale, sancisce un legame e lo rafforza nonostante le divisioni dovute alla guerra e all’immane dolore che ne è scaturito. Decisiva per Magni fu molto di più l’amnistia, per gli atti di collaborazionismo, proposta dal ministro della Giustizia, Togliatti, il 22 giugno del 1946. Un altro discrimine fra parti giuste e parti sbagliate: se a vincere fossero stati fascisti e nazisti, non ci sarebbero state amnistie ma i campi di sterminio. Magni può finalmente tornare a correre e a scrivere pagine indelebili del ciclismo. Come il Giro corso nel 1956, a 35 anni, mordendo il tubolare legato al manubrio per sopportare il dolore provocato dalla frattura di una clavicola. O 'scoprendo' un fenomeno della meccanica come Ernesto Colnago, il 'Benvenuto Cellini' della bicicletta secondo Gianni Brera. O, ancora, intuendo che il ciclismo doveva aprirsi anche a sponsor esterni al settore, inventandosi di fatto la prima squadra professionistica sponsorizzata da un’azienda non ciclistica, la Nivea-Fuchs. E sempre stando vicino all’amico, e spesso compagno di squadra, Alfredo Martini. Di quei fatti del 1944 Magni non volle mai parlare, se non con qualche mezza frase, come quella riportata ad Auro Bulbarelli nella quale il Leone delle Fiandre disse che il suo fucile, a Valibona, non sparò mai neanche un colpo. In pubblico non disse mai una parola, né di pentimento né di autodifesa. Non si spese mai per sostenere le sue ragioni o la sua non colpevolezza. La sua unica preoccupazione era di cancellare il suo passato di camicia nera con il rosa della maglia del Giro d’Italia. Scelse la dignità del silenzio. E in silenzio accettò decisioni come quella del Tour de France 1950, quando indossava la maglia gialla e di fatto aveva in mano la Grande Boucle, ma Bartali impose di ritirare la squadra italiana dopo alcune aggressioni da parte di facinorosi francesi. Dovette anche subire una feroce contestazione dopo la sua vittoria al Giro d’Italia del 1948, quando centinaia di persone al velodromo Vigorelli lo coprirono di insulti per il suo passato fascista, sostenuti anche da una campagna stampa di alcuni giornalisti de l’Unità. Un fatto increscioso risolto poi dall’allora sindaco di Milano, Antonio Greppi, socialista e artefice della ricostruzione milanese post-bellica, che la settimana successiva convocò Magni con Bartali e Coppi per un giro d’onore all’insegna della riconciliazione nazionale. E Martini gli restò amico fino alla morte, avvenuta nel 2012. Ai funerali a Monza, la città in cui Magni aveva scelto di vivere perché per lui era impossibile tornare a farlo a Vaiano o a Prato, dove l’ostilità nei suoi confronti non si è mai placata, fu proprio Alfredo a prendere la parola: "Si è spento un grande faro che illuminava la via maestra. Ma non siamo rimasti al buio. A indicare la strada giusta ci sono i suoi esempi di onestà, intelligenza, fermezza. Anche stavolta è stato imprevedibile, come nelle corse. Era dotato di grande forza, fisica e morale, sapeva credere in se stesso. Noi viviamo del suo esempio, delle sue invenzioni che hanno salvato questo sport. È già via da quella cassa, è in fuga, è già in una lunghissima fuga nei cieli misteriosi. Perché i corridori vanno in paradiso, anche solo per la fatica e l’altruismo devono andarci, in paradiso". Martini morirà due anni dopo, nel 2014. Ci sono storie, dentro la Storia. Storie di umanità oltre quei muri invalicabili che ogni guerra erige. Anche dentro una storia sbagliata può esserci un seme luminoso. Questa è una di quelle storie. Che nulla toglie, anzi semmai amplifica la portata di quel grande momento storico chiamato Resistenza. Quando uomini e donne scelsero la parte giusta.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Fiorenzo Magni e Alfredo Martini: una storia per ricordare il 25 aprile