La nascita dell'Inter di Chivu

Vetta della classifica agganciata, almeno per una notte, il che dopo un avvio con due sconfitte nelle prime tre giornate appariva quasi utopico. Sei vittorie consecutive fra campionato e Champions: non succedeva dall'inizio del 2024, quando l'Inter inzaghiana ne infilò addirittura tredici fra gennaio e marzo lanciandosi in solitaria verso lo Scudetto. Terza trasferta di fila con la porta chiusa, dopo che nella prima della stagione aveva preso quattro reti. Diciotto gol segnati in sette giornate, quindi più di due e mezzo per gara. Questi sono i numeri dell'Inter di Chivu, e sono indubbiamente smaglianti. Ma poi, anzi prima, c'è quello che fa vedere il campo. Ovvero una squadra lucida, convinta, che sa quello che vuole e quel che deve fare. Che ha saputo resettare dopo il finale da incubo della scorsa stagione. Che ha valori alti, e che ha capito subito come sfruttarli. I meriti dell'allenatore sono evidenti ed enormi. Ma questa considerazione non è orientata – come spesso è accaduto di recente, a sproposito – a sottolineare le mancanze della gestione precedente, perché non bisogna dimenticare che l'Inter di Inzaghi ha regalato pagine di calcio indelebili nella storia nerazzurra. E' proprio che Chivu è stato bravissimo, perché si è ritrovato nella posizione di ricevere un'offerta allo stesso tempo irrinunciabile ed estremamente insidiosa: ha risposto presente, non ha stravolto ma ha riattivato e integrato, si è reso immediatamente credibile prima al gruppo e poi all'esterno , ha preso saldamente un timone impazzito per le onde tremende che si agitavano attorno al galeone nerazzurro e ha fatto vedere che, nonostante abbia solo una ventina di panchine in Serie A, è già pronto, prontissimo per guidarlo. La vittoria dell'Olimpico certifica la nascita dell'Inter di Chivu: una squadra aggressiva, che nella prima mezz'ora ha stretto le mani al collo della Roma colpendola, incrinandola, vessandola e facendo tutto questo con estetica e qualità. Il gol partita, arrivato subito, è un manifesto, per dichiarazione di intenti e dimostrazione delle risorse a disposizione: lo ha confezionato Barella, emblema di una vecchia guardia di centrocampo che dal nuovo allenatore è stata rigenerata e rinverdita probabilmente proprio grazie all'unica vera nuova idea di cambiamento vista nell'Inter in questa stagione, ovvero la ricerca veloce della verticalità; e poi lo ha realizzato Bonny, che può essere preso come simbolo di un mercato che ha rivolto i propri investimenti a figure sì futuribili ma in grado di poter essere un rinnovamento immediato. Si chiacchierava del fatto che l'Inter avesse messo 23 milioni per prendere un ragazzo con sei gol segnati in Serie A, ma evidentemente sia la dirigenza che soprattutto un allenatore che lo aveva avuto nella parte finale della scorsa stagione a Parma sapevano quello che poteva portare, visto che con tre reti e tre assist in 233 minuti di Inter vanta una partecipazione diretta al gol ogni 39 minuti scarsi in campo. E poi, se parliamo di gioco, è notevole come certe meccaniche siano già perfettamente acquisite, vedi in particolare il lavoro del comparto di centrosinistra, con le interazioni fra un Bastoni scintillante nelle sue sortite, un Dimarco che crea e punge come nessun altro laterale del campionato e un Mkhitaryan che nonostante i trentasette anni da compiere a gennaio sa ancora chiudere un big match di Serie A con 12.2 chilometri percorsi, tre e mezzo dei quali a ritmo di corsa sostenuto. Se invece parliamo di mentalità, un secondo tempo di stress difensivo passato comunque tenendo la porta chiusa e dando sostanzialmente sempre la sensazione di non essere troppo in affanno dimostra come l'Inter abbia recuperato le proprie convinzioni, cosa tutt'altro che scontata dopo i vuoti d'aria della primavera-estate nerazzurra. E comunque anche qui entra un mercato forse un po' sottovalutato: Akanji, l'unico titolare designato preso dall'Inter peraltro in sostituzione di un altro, porta indiscutibilmente status, serenità, esperienza e capacità di fare. Tutto questo emerge dalla prima vera grande vittoria dell'Inter di Chivu: di per sé non dimostra niente in via definitiva, perché la strada di questa stagione è appena iniziata e i tornanti all'orizzonte sono ancora tantissimi, a cominciare da quello di sabato in casa di un Napoli obbligato a rialzarsi e peraltro preceduto da un viaggio europeo in Belgio dove è obbligata a vincere per tenere al centro del mirino il passaggio diretto agli ottavi di Champions. Però questa Inter presenta fatti visibili. Il primo dei quali è che ha preso un bravo allenatore, e probabilmente anche l'uomo ideale per il momento che stava attraversando.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

La nascita dell'Inter di Chivu

Stefano Borghi