Il calcio leggerissimo di Liedholm, l’uomo che ha cambiato Milan e Roma

Disse a suo padre che sarebbe partito e tornato, un anno, solo un anno da calciatore in Italia e poi avrebbe fatto il contabile a Valdermarsvìk, un posto a una cinquantina di km da Norrköping, dove si coltivava tabacco e venivano prodotti tessuti per la Svezia intera. Papà era stato il direttore della segheria del paese fino alla chiusura, una delle conseguenze della crisi di Wall Street. Gli credette. Non era vero. Nils Liedholm partì e non si sarebbe mai più voltato indietro, riempiendo i suoi sessant’anni da noi di oltre 300 partite di pallone, un’ottantina di gol, mille altre domeniche in panchina come allenatore, decine di migliaia di bottiglie di vino prodotte in Piemonte e milioni di battute, leggerezza, umorismo. Un eretico che ha attraversato il calcio senza farsi mandare al rogo. Lo abbiamo chiamato Barone, perché era impassibile e raffinato, un signore svedese distinto che veniva a parlarci di vita dolce molto prima che arrivasse la dolce vita con Anita Ekberg. Aveva imparato a giocare prendendo a calci i sassi lungo il tragitto che lo portava da casa a scuola, e da scuola a casa. Questo almeno dice la leggenda, una delle tante sul suo conto di atleta corretto e infallibile, 12 campionati senza mai un’ammonizione con la maglia del Milan. Il giorno in cui sbagliò un passaggio, raccontano che San Siro fece "oooh". Non è leggenda ma vita reale - storia del calcio italiano - la traccia lasciata nella storia del Milan e della Roma dalla sua maniera di leggere questo gioco ottocentesco. Una parabola iniziata da collaboratore di due interpreti dell’italianismo e dell’opportunismo difensivo come Nereo Rocco e Gipo Viani, ma deviata poi verso l’avanguardia, verso uno stile che sarebbe diventato egemone solo molto più tardi. Se è esistito il tiki taka di Guardiola, una radice sta nell’idea di dominio del gioco di Arrigo Sacchi. Ma se è esistito Arrigo Sacchi, l’albero genealogico ci porta fino a lui, lo svedese convinto che tenere il pallone tra i piedi sia la maniera migliore per difendersi. Finché palleggi, nessuno ti fa gol. Meglio che sia il pallone a correre, "la palla non suda" gli piace ripetere in mezzo a molti altri aforismi e paradossi. Se la squadra resta in dieci, "non importa, in dieci hai un sciocatore in meno che sbaglia". Se incrocia un collega che si dà arie da mago, sfottiocchia dicendo che "pure i miei schemi sono perfetti quando metto sciocatori in campo, ma poi sciocatori si muovono". È un meraviglioso incantatore di serpenti. Se lo può permettere perché incantano pure le sue squadre, giocando sempre un calcio in anticipo sui tempi. Fa vincere lo scudetto della stella al Milan [1979] senza un vero centravanti, tre decenni prima di Guardiola a Barcellona. Ne fa vincere uno alla Roma [1983] rompendo un’attesa di 41 anni con uno stile rilassato e superbo, con la marcatura a zona in difesa - prima volta in Italia - sfidando il partito della conservazione e dando il via al grande dibattito filosofico: la zona è di destra o di sinistra? Mentre il paese discute, lui è già da un’altra parte. "La zona è il gioco per i romani, per i pigri che sanno usare il cervello". Arrigo Sacchi risponderà che il pressing è perfetto per Milano, la città che va sempre di corsa e non si ferma mai. Ha dato interviste nelle quali sembrava stralunato e invece era profondo. "Nei paesi latini - disse una volta per commentare alcune difficoltà - la passionalità è un dovere e la nevrosi un’abitudine. Malinconia, tristezza, silenzio. Sono mali necessari, la noia è contemplata, rientra nelle regole. Ma per studiare occorre il silenzio". Ha coltivato viti e collezionato quadri di Mirò perché li preferiva ai contemporanei, ma sapeva schivare le trappole della nostalgia. "Sa perché i campioni del passato sembrano più grandi di quelli di adesso? Perché giocavano con compagni più scarsi, e allora la loro luce brillava molto di più". E ancora: "Nel calcio c’è sempre una componente di cupezza. Smettono Rivera e Mazzola e sembra finito tutto. Invece no. Smettono, e tutto andrà avanti". Nella storia delle squadre da lui allenate, Nils Liedholm è passato senza davvero passare mai. Non c’è meraviglia nel sapere che la sua idea di felicità era "aspettare il tramonto mangiando pane e formaggio". Va bene a Milano e va bene a Roma.

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Angelo Carotenuto