Bonazzoli: "Per giocare in A ho fatto anche il fabbro. E quel gol alla Van Basten..."

Che bambino era Emiliano Bonazzoli? “Mi ricordo i pomeriggi con i miei zii e i cugini più grandi, le domeniche all’oratorio, la radiolina accesa per sentire le partite… Ho iniziato a 9 anni nella scuola calcio del mio paese, in provincia di Mantova. Già lì passavo i pomeriggi a giocare con gli amici, anche nel cortile contro il portone, con i nonni che si lamentavano per il rumore. Ma era passione, quella vera, che avevamo sia io che mio fratello. Lo obbligavo a giocare in porta perché io volevo fare gol. Già a 12 anni nelle foto ero due spanne più alto dei miei compagni. Ricordo un torneo ad Amsterdam con la Voluntas: in semifinale, una squadra avversaria protestò per la mia statura. Non ci credevano che avessi l’età giusta. Fecero anche degli accertamenti! Ma era tutto regolare: ero solo cresciuto in fretta” Come andavi a scuola? Hai fatto anche qualche lavoretto nel frattempo, giusto? “Mi difendevo. Mia madre mi paragonava sempre a mio zio, che era forte in matematica. Però non era facile: abitavo a più di 50 chilometri da Brescia, facevo avanti e indietro in pullman, spesso tornavo tardi. Studiare e allenarsi era tosta. Alla fine, non ho mai finito il quinto anno. È stato un mio errore, non avevo la consapevolezza giusta. Ho anche lavorato dal fabbro del paese, a 500 metri da casa. I miei me l’avevano imposto per comprarmi i libri di scuola, facevo una specie di part-time. Poi nel pomeriggio correvo al campo per gli allenamenti” Sei partito dalla Voluntas, che era la squadra satellite del Brescia? “Sì, una specie di succursale. Da lì sono partiti tanti, da Pirlo a Diana, i fratelli Filippini, Bonera… Dai 12 anni in su ho fatto tutto il percorso fino alla Primavera, poi l’esordio con i grandi” Esordio in Serie A col Brescia, contro l’Inter. In coppia con Hübner. Che tipo era? “Parlava poco. Aveva 31-32 anni, era vecchia scuola: pochi fronzoli, tanti gol. Non era uno da allenamenti folli, ma in area era letale. Faceva tripletta e andava a casa. Io ho imparato tanto solo guardandolo. Non nel vizio delle sigarette però: fumava sempre una marlboro rossa e si beveva un grappino prima delle partite. Forse per scaramanzia, ma faceva sempre gol quindi cosa dovevamo dirgli” Poi Parma, dove segni una doppietta in Coppa UEFA. E il tuo primo gol in Serie A arriva col Verona. Che ricordi hai? “Il Parma era una squadra fortissima, c’erano Cannavaro, Thuram, Di Vaio... Io ero giovane, ma ho avuto continuità. A Verona invece ho trovato un ambiente speciale. Sono legato a quella città, anche se non l’ho vissuta tanto fuori dal campo, perché tornavo spesso dai miei che erano solo a cinquanta minuti di auto. Ma il tifo dell’Hellas è unico: caldo, passionale, anche duro quando serve” La Reggina è stata la squadra più importante della tua carriera? “Sì, è quella a cui sono più legato. Ho segnato il mio gol più bello e importante lì, contro l’Atalanta: il sinistro allo spareggio in Serie A che è valso la salvezza” Mozart, tuo ex compagno in Calabria, ha detto che hai fatto anche un gol alla van Basten… “Sì, contro la Lazio all’Olimpico nel 2004, anche se era un po’ diverso” Hai giocato anche con Nakamura, che tipo era? “Introverso, molto rispettoso. Parlava pochissimo perché non sapeva l’italiano e aveva bisogno del traduttore. Ma in campo era geniale, un numero 10 vero. E correva tantissimo, si sacrificava per la squadra. Tipico giapponese: educato, instancabile” Passi poi alla Sampdoria e parti fortissimo, poi arriva l’infortunio al crociato. Per caso Lippi ti aveva mai chiamato prima? C’erano i Mondiali del 2006… “Non mi ha mai chiamato. Lippi stava costruendo la Nazionale per il Mondiale, ma sinceramente non credo che mi avrebbe chiamato se non mi fossi rotto. Gli attaccanti erano fortissimi: Toni, Gilardino, Del Piero, Totti, Iaquinta... Non era facile trovare spazio” Hai giocato anche all’Honved, in Ungheria. Come nasce quella scelta? “Mi piaceva l’idea di vivere un’esperienza all’estero, imparare l’inglese, scoprire un calcio diverso. Allenatore Marco Rossi, oggi CT dell’Ungheria. Brava persona, esperto. Purtroppo però mi faccio male, gli arbitri mi prendono di mira, un lutto in famiglia… E torno in Italia prima del previsto” Chiudi la carriera a Cittadella, vincendo la Lega Pro. Chi è stato il più forte con cui hai giocato? “Gilardino, Mutu… Ma anche Flachi. Francesco era sempre sorridente, faceva scherzi di continuo, era un personaggio vero. Un compagno speciale” Inizi la carriera da allenatore in Veneto, poi passi dal calcio femminile con il Chievo e il Verona. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza? “Mi ha insegnato tanto: lì trovi grande voglia di lavorare. Le ragazze chiedevano di fare sempre qualcosa in più. Poi per me il calcio è calcio, non importa che ci siano uomini o donne Davvero motivante” Prossimi progetti? “Dopo l’ultima esperienza con il Lecco in Serie B, ora sono in attesa. Le panchine per questa stagione sono quasi tutte occupate, ma nel frattempo studio, vado a vedere allenamenti, cerco di aggiornarmi. Nel calcio c’è sempre da imparare” Cosa significa per te essere un bomber di provincia? “Ovunque abbia giocato le persone si ricordano in modo positivo delle mie prestazioni e della mia persona. Ho sempre dato il massimo in qualsiasi squadra e con i miei gol, anche se non ne ho fatti tanti, ho potuto sognare e dare gioia ai tifosi”.

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Andrea Molinari