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Il prete e il predestinato: Marcus Thuram, nel nome del padre

l'editoriale

Giorgio Porrà

Il ruolo di Marcus Thuram nel 20° scudetto dell'Inter: le sue origini, il legame col padre Lilian e un cognome che da peso è diventato garanzia di successo...

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L'avventura del figlio nel nome del padre. La linea del sangue che trasporta sogni, talento, destino. Lilian e Marcus Thuram, quando il cognome non diventa condanna, peso insostenibile, vita vissuta solo di luce riflessa. Lilian, sublime difensore, voleva cambiare il mondo, dopo averlo conquistato sull'erba, ed in parte lo ha fatto, insiste nel farlo, con la sua costante, implacabile missione antirazzismo. Marcus, esplosivo attaccante, verticale come pochi, per ora ha già cambiato l'Inter, in meglio, centrando un titolo figlio anche del suo formidabile impatto con la realtà italiana. 

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Le pagelle scudetto

Un bilancio da… 9

Un calcio, il suo, rivelatosi perfetta combinazione di corsa, fisicità, potenza. Ed anche di flessibilità, vedi il feeling naturale con Lautaro, l'attitudine al fraseggio con i centrocampisti. E con reti spettacolari a certificarne l'istinto omicida. Poi certo, nel giudizio stagionale pesano i gol falliti nel ritorno degli ottavi di Champions con l'Atletico Madrid. Il miedo escenico a spettinargli d'improvviso le ambizioni. Il segnale di una crescita ancora in divenire sul piano del controllo delle emozioni. Ma al netto di quelle sbavature, Thuram jr. ha lavorato sodo, e con soddisfazioni a pioggia, per incollarsi sulla schiena il nove nerazzurro, convincendo anche gli ultimi nostalgici di chi, nel suo ruolo, l'aveva preceduto. Lo ha fatto marcando progressi in serie, nell'arte del dribbling, nei movimenti senza palla, nel cinismo negli ultimi metri. 

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Tutti gli scherzi di Marcus Thuram

Marcus Garvey

Il prodotto della sua feroce applicazione, tra i tanti lasciti dell'eredità paterna, golosamente respirata da sempre, da quando nelle giovanili francesi si allenava con gli scarpini calzati dal padre nella finale del Mondiale 2006. Lilian, occhialini leggeri e passioni delicate, in campo mixava, come nessuno, leggerezza da danzatore e irruenza da mastino. Combatteva, non smette di farlo, con la forza delle idee, l'alleato più prezioso contro la violenza del pregiudizio. "Ai miei figli insegno la storia del nostro popolo - ha sempre spiegato - per togliere dalla loro mente nero uguale schiavo. Bisogna sapere cosa c'era prima di quattrocento anni di schiavitù". Nei suoi ventisei anni Marcus, chiamato così in onore del leader giamaicano Garvey, riferimento paterno, non ha conosciuto povertà, subito emarginazione, si è strutturato in ambienti evoluti, ha studiato nelle migliori scuole. 

"Non mi interessa un figlio fuoriclasse"

Lilian, da bambino, nelle Antille, quando giocava attorno ai campi di canna da zucchero, non s'immaginava campione ma prete ("Perché quelli che avevo conosciuto mi sembravano tutti brave persone"), Marcus invece è cresciuto da predestinato, tutti a profetizzargli un grande futuro da centravanti, anche se lui si divertiva a sprintare sulla fascia. "Non mi interessa un figlio fuoriclasse - la sentenza di Lilian - conta solo l'uomo e la sua integrità". Però lo scudetto di Marcus, dalla tribuna di San Siro, se l'è goduto sino in fondo. Assieme alla certezza che nella famiglia Thuram il patrimonio genetico continuerà a scintillare a lungo.