Il fantasma di Maradona ora è libero

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Massimo Corcione

Massimo Corcione

E' il terzo scudetto nella storia del Napoli, ma il primo senza Maradona. Le generazioni di tifosi che non l'hanno mai visto, che vivevano di racconti, aneddoti, leggende, da ora hanno una storia tutta loro. Da godere, celebrare e (un giorno) tramandare...

LO SPECIALE SCUDETTO NAPOLI

Hanno liberato il fantasma del più forte, costretto finalmente al silenzio la voce del senno di poi: adesso Diego Armando Maradona avrebbe anche voglia di gridare la propria gioia, di aprire il suo sorriso sui murales dai quali ha dominato Napoli nei lunghi anni della ricostruzione. Ma ora parliamo noi, anzi gridiamo con tutta la forza che abbiamo in gola: in trasparenza questo si leggeva e quasi si sentiva nei cori che hanno scaldato la notte napoletana dopo la vittoria di Torino. È stato quello il magic moment, l’attimo in cui il grande disegno s’è compiuto, rendendo tutti i calcoli aritmetici simili a quelle esercitazioni che i bambini di oggi fanno servendosi dell’incontestabile smartphone. 

Quella punizione divina…

Non ha prezzo il piacere di vincere a Torino, sul campo della Juventus che papà e nonni, con gli occhi lividi di rabbia, chiamavano “La Signora Omicidi”. Lui, Sua Altezza (poco) Serenissima Diego, aveva dimostrato che la Juventus poteva essere battuta e non per caso. Per talento, per volontà insopprimibile, per valore assoluto: ricordo quel calcio di punizione appena dentro l’area, tocco di Pecci per Maradona per la più innaturale delle traiettorie, la più spontanea delle gioie, la più liberatoria delle esultanze. 

Il gol alla Juventus per chi tifa Napoli ha sempre avuto un sapore diverso, ma quello segnato il 3 novembre 1985 può essere etichettato solo così: una prodezza incredibile. Proprio da non credere: vent’anni dopo, ancora non si trasmetteva in HD, ho segmentato in 25 frames (il massimo possibile) ogni secondo di quegli attimi incantati, ma 100 frammenti messi in fila non bastarono per riprodurre una logica razionale. Il pallone pareva mosso da un’energia propria, imprevedibile come l’esito della traiettoria che per molti anni popolerà le notti di Stefano Tacconi. 

Sapete quanti testimoni (e per quante volte) hanno proposto il racconto di un gesto impossibile da trasferire in una dimensione letteraria? Milioni di versioni sempre diverse, mai uguali; un esercizio di fantasia logorante da concepire, ma anche da ascoltare una dieci cento mille volte. Quanto è stata dura la formazione delle ultime generazioni di tifosi napoletani. 

Gli aneddoti

I viaggi dell’argentino volante ne hanno fatto un nuovo Ulisse: Diego nell’anno del mondiale vinto (1986) trascorse più ore in macchina che a letto. Pendolare applicato sull’asse Napoli-Roma, per trasferirsi dal Centro Paradiso di Soccavo al laboratorio del professor Dal Monte al Coni: una preparazione doppia per presentarsi in Messico con un fisico perfetto. 

Gli aneddoti si inseguono, la narrazione si arricchisce di battute che ancora riemergono, a distanza di 37 anni. E la produzione non s’è fermata neppure ora che il protagonista principale ha anticipato l’uscita di scena. Il campionario si allarga se cambia il genere, Maradona ha lasciato una sterminata eredità di spunti che prima o poi diventeranno sceneggiatura. Ma non aveva previsto il terzo trionfo, come tutti i combattenti e reduci ha sempre preferito declinare al tempo passato le sue memorie. 

L'arrivo di Maradona nella Piazza Rossa di Mosca (1990)

Le varianti sull’episodio del viaggio solitario per raggiungere la squadra a Mosca riescono a incrementarsi anche nelle testimonianze dirette di chi a quella trasferta partecipò. La cronaca della conferenza stampa approntata sulla Piazza Rossa nella notte moscovita è un elenco senza fine che ha un solo primattore e tutte comparse. 

Non solo Diego

Eppure quel Napoli non era solo Maradona; accanto giocavano campioni come Bagni, Ciro Ferrara, uno dei raccattapalle era Fabio Cannavaro. Tutte storie azzerate: a Careca e a Bruno Giordano, due tra i migliori centravanti della serie A, si riconosce un peso specifico poco determinante nell’impresa collettiva. De Napoli e Crippa sopportarono il peso dell’intero centrocampo, ma i ragazzi di oggi faticano a ricordarsene. Tra Garella e Giuliani, i due portieri che pure qualche rischio lo annullarono nella doppia cavalcata che portò ai primi due scudetti, si fa un po’ fatica a definirne i confini della loro esperienza. Il massimo dell’ingiustizia, poi, si raggiunge quando si evocano le storie degli allenatori: Ottavio Bianchi e Albertino Bigon non furono gli artefici dei due magnifici progetti elaborati con Corrado Ferlaino, il presidente, ma gli esecutori del disegno divino concepito da Diego, napoletano per vocazione. Così volle Lui e così fu.

Tutti, gli adulti, hanno raccontato la stessa storia con parole e, spesso, dettagli che sono cambiati con il passare degli anni. E loro, i boys, che neppure erano stati testimoni delle eroiche gesta, annaspano tra le edizioni personalizzate degli amarcord. C’era sempre o quasi di mezzo la Juve: quella volta che Maradona nella Supercoppa fece scoprire a Maifredi, nel primo giorno da bianconero, quanto era scomoda la panchina che aveva appena conquistato, oppure il debutto del ragazzino Ciro Ferrara, o ancora le mille e una facce della delusione dipinte sui volti di chi era allo stadio il primo maggio dell’88 quando neppure Maradona impedì di subire il più inglorioso dei sorpassi, contro i diavoli rossoneri di Sacchi.

Finalmente quella modalità può essere abbandonata, da oggi si progetta solo il futuro. Maradona non c’è più, Osimhen non è il suo erede, Spalletti e De Laurentiis sono i grandi architetti dello scudetto numero 3. Si comincia da qui.