Michele Pini due anni fa faceva il terzino nel Lumezzane, poi ha deciso di lasciare il calcio per una concessionaria di moto a 900 euro al mese. “Stipendi con tre mesi di ritardo, zero certezze, fallimenti continui - il suo racconto a Repubblica - stava nascendo mio figlio, non potevo continuare così”
SERIE C: RISULTATI E CLASSIFICHE
La storia di Michele Pini è quella di un calciatore che ha smesso di credere nel calcio. Di un uomo che ha lasciato da parte i sogni, quelli coltivati fin da bambino, per guardare in faccia alla realtà, una realtà fatta di stipendi arrivati sempre con tre mesi di ritardo, senza certezze e di società che falliscono l’una dopo l’altra. In un’intervista rilasciata a Repubblica l’ex terzino del Lumezzane - 114 presenze e un gol in Lega Pro - racconta della sua decisione: “Basta calcio, preferisco un lavoro in fabbrica, è più sicuro”. La sicurezza che manca nel mondo del pallone di oggi, che ormai sembra sempre di più “una barca alla deriva. Pure quello minore, non milionario, in C1 dove una volta si vivacchiava anche se non eri Totti”. Vero, storie del passato però, e adesso nel calcio - parola sua - falliscono anche le speranze. “Mi stava nascendo un figlio e io in questo calcio non ci ho più visto né l'illusione di promesse, né un pezzo di futuro, ma solo depressione”.
Cambio vita
Due anni fa la decisione definitiva di Michele Pini, quando con uno stipendio di 1500 euro e ancora quattro mesi di contratto nel Lumezzane ha deciso di cambiare lavoro. Oggi è operaio in una concessionaria di moto a Manebrio, la paga è sicura - di 900 euro - e gli orari sono fissi: 7-12 e 13-16.30. A posteriori è ancora la scelta giusta per lui: “Non è stata una decisione facile dopo dieci anni di professionismo. Io sognavo di giocare già da piccolo, ma attorno vedevo altre società che fallivano, altre Lumezzane, con pagamenti in ritardo, con ritiri annullati, dove veniva a mancare tutto. E se a fine mese non ti arriva lo stipendio tutto questo non puoi più permetterlo, visto che al supermercato la spesa la devi pagare, come anche il dentista e l'elettricista”. Ha così mollato Pini, che prima di fare l’operaio faceva il terzino, ma è proprio lui a garantire di non essere un rinunciatario per natura. Solo realista: “Settori giovanili zero. Attenzioni e cure zero”. E così andare avanti era praticamente impossibile, oltreché poco saggio. La sua intervista Michele Pini la conclude così, senza rancore verso il calcio: “Mio figlio è nato, si chiama Federico, mia moglie Laura fa l'infermiera, e io non mi dichiaro tradito dal pallone, ma forse non sono stato ricambiato”.