Cos'hanno in comune Alex e i paralimpici? Un'idea di Italia

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Del Piero nella conferenza stampa d'addio alla Juve: via in Australia
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Del Piero e i campioni nati due volte, quelli che non si arrendono mai, gli atleti paralimpici che inanellano vittorie a Londra rappresentano le virtù di un Paese che sa una cosa: se perde la voglia di cambiare e di fare, perde tutto se stesso...

di PAOLO PAGANI

Cos’hanno in comune Del Piero, Zanardi (Alex anche lui), Legnante, Caironi? Alex e i campioni nati due volte, quelli che non si arrendono mai, gli atleti paralimpici che inanellano vittorie a Londra senza gambe, occhi, braccia? Una certa idea di Italia, probabilmente. Tutti loro dicono qualcosa di noi, sul Paese in cui viviamo. Il Dieci più amato e gli sconosciuti che trionfano col cuore e la volontà, ad onta di una (indubbia) impressione di pietismo peloso che il vederli suscita in chi li guarda. Muniti come sono di una speciale grazia sgraziata nei gesti e nelle posture di gara.

Niente è più diverso di Del Piero, milionario fuoriclasse per 19 anni fedele a una grande squadra, e degli ignoti (quasi tutti) talenti mossi solo da un fuoco, dal desiderio invincibile di rivincita sulle brutte sorprese delle vita. Eppure c’entra, in entrambi i casi, un valore che si sperde in tempi di crisi: rinascere, la speranza di Rinascita.

Alex se ne va in Australia da uomo intelligente, forse anche sospinto dallo “spirito migrante dei veneti” come scrive Michele Serra su La Repubblica. Ex ragazzo (38 anni) portatore sano di stile, che è poi la cifra con cui uno sceglie di stare al mondo, è stato (vogliamo dirlo?) brutalmente e inaspettatamente scaricato dai suoi datori di lavoro. Nessuno l’ha difeso in squadra, tutt’al più la cipria di parole di circostanza per un passato importante. E adesso lui, senz’ombra di rampogne stizzite, simboleggia chi rifiuta il piagnisteo perché sa che (è sempre Serra che ci riflette così)  “quando un paese perde la voglia di fare, di cambiare e di inventare”, in fondo perde se stesso.

Stessa identica logica dei Paralimpici, vissuti erroneamente come residui di umanità e invece, in quanto uomini e donne che sanno scacciare ogni senso di diversità, detentori di una lezione. Quella che fa costruire a Zanardi, assieme al figlio Niccolò, la bici speciale che gli consegna l’oro di Londra nella handbike. Non è sociologia d’accatto, può sembrarlo ma non lo è davvero. E nemmeno va scambiata, questa, per retorica appiccicosa.

Nella favola (possiamo chiamarla altrimenti?) di Alex che si ricicla agli antipodi con moglie, tre figli e un sacco di amore popolare c’è il senso di un’esistenza che non intende perdere Senso quando smarrisce le certezze di sempre. E pazienza se quel campionato fra i koala vale, agonisticamente, molto ma molto poco. Nelle storie alla Zanardi-Legnante-Caironi e (allegra) compagnia gareggiante c’è un’Italia dignitosa e seria, che sa faticare, e quando serve anche soffrire parecchio pur di farcela. Tutto qua. Una bella Italia. Minoritaria? Mah, non è mica detto.