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"Affaracci" di gennaio: Gilberto, il terzino da calcetto confuso e infelice

Calciomercato

Vanni Spinella

Arriva all'Inter nel gennaio 1999 e tutti sognano un nuovo Roberto Carlos. Giocava a futsal, lo consiglia Ronaldo: in campo, però, non ne azzecca una. Disorientato anche fuori, dove confonde Milano con Roma

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“Qui ci vogliono tre cappotti e due cappelli per andare in giro!”. Di Milano gli fa paura solo il freddo, quando atterra sul pianeta Inter invitato dall’alieno Ronaldo. Oggetto non volante e non identificato, Gilberto da Silva Melo – più semplicemente Gilberto – sbarca tra noi nel gennaio del 1999, scoprendo un inverno a cui non è abituato in Brasile. Ne farà tante altre, di scoperte sensazionali, a partire dallo stile di gioco italiano al quale non si adatterà mai.

Ci manca solo che, ammirando il prato di San Siro, commenti “Ma come sono grandi i campi qui!”, battutaccia sulla falsariga di quelle che circolavano all’epoca quando si scoprì che l’ultimo acquisto di Massimo Moratti, fino a tre anni prima, giocava a futsal, quello che noi chiamiamo “calcetto” con aria di sufficienza, immaginandolo sport per ex-sportivi con grande tecnica ma poca voglia di sudare. Al primo stop di suola di Gilberto, tutti in brodo di giuggiole: “Si vede che questo giocava a calcetto!”. Quando poi, due minuti più tardi, si perde l’uomo alle spalle e lo lascia sfilare senza inseguirlo, sempre gli stessi: “Si vede proprio che questo giocava a calcetto!”. In realtà il povero Gilberto sperava di fare della sua esperienza in altri campi (più piccoli) un punto di forza, quando affermava di sapere che “in Italia è tutto più rapido, non hai tempo di alzare la testa e di pensare la giocata, perché altrimenti hai perso palla. Ma in questo il futsal mi aiuterà”.

Il mercato di Ronaldo

La sua voglia di Serie A è tanta, incantato dai racconti dell’amico Ronaldo al quale piaceva improvvisarsi talent-scout (ci ricascherà con Vampeta). Proprio il Fenomeno aveva insistito affinché i suoi agenti, Pitta e Martins, proprietari di metà del cartellino di Gilberto, lo portassero all’Inter: così i due, che erano già riusciti a piazzarlo al Porto vendendo la loro quota per 2,2 milioni di dollari, si videro costretti a ricomprarselo, scusarsi (anche se il Porto alle scuse preferisce i quattrini, e dunque ci guadagnò pure) e girarlo all’Inter. Cosa non si fa, per Ronaldo. In tutto ciò, quando a Moratti chiedono del nuovo acquisto, lui ammette di conoscerlo a malapena, ma di fidarsi dei suoi osservatori, Mazzola e Suarez.

Sono gli anni in cui gli scout interisti sono alla ricerca disperata di un terzino sinistro per rimediare alla frettolosa cessione di Roberto Carlos, per cui chiunque si trovi a transitare su quella fascia inevitabilmente deve vedersela con il fantasma dalle cosce più possenti del mondo. Tanto più se è brasiliano. Il calcio italiano fagocita Gilberto nel giro di due partite. Esordio in A il 21 marzo 1999, contro la Sampdoria: Lucescu lo schiera titolare, ma poi la partita prende una brutta piega (vantaggio di Montella ed espulsione di Simic dopo 20’) e all’intervallo si vede costretto a sostituirlo per provare a raddrizzarla (finirà 4-0). Due settimane dopo, contro il Bologna, di nuovo titolare e sostituito nel finale da Zanetti, cambio nel quale si incrociano due modi opposti di fare la storia.

Confuso e disorientato

Eppure lui si impegna, anche fuori dal campo, rivelando di passare il tempo a studiare l’italiano. Da un’intervista dell’epoca: “Ho comprato un libro, faccio prove di conversazione con la mia fidanzata Tais. Vuole un esempio?” “Prego, dica pure” “Come stai? Va bene così? Dov’è piazza Navona?”. Un navigatore, forse, sarebbe stato meglio: anche in campo, dove è perennemente disorientato, confuso da diagonali e sovrapposizioni che proprio non gli tornano. A nulla gli serve scegliere la maglia numero 20 lasciata libera da Recoba (“Mancino come me”), andato a salvare il Venezia. Chiuderà la sua avventura in nerazzurro dopo sei mesi, tornando al sole del Brasile, sommerso da una pioggia di critiche. Di quelle per cui non bastano nemmeno tre cappotti e due cappelli.