Come sta il talento di Marko Pjaca

Calciomercato

Gianmarco Porcellini

Sono passati due anni dall'exploit di Marko Pjaca a Euro 2016, e sono stati due anni molto travagliati. Come è andato il talento croato in Germania e cosa possiamo aspettarci dal suo futuro?

Dall’exploit di Marko Pjaca agli europei del 2016 sono passati due anni, un lasso di tempo breve se rapportato agli anni di carriera che può avere davanti a sé un giocatore di 23 anni, ma che è sembrato lunghissimo per la schizofrenia dei giudizi calcistici.

Pjaca si è sostanzialmente fermato all’europeo francese e il biennio successivo, condizionato da varie panchine e due gravi infortuni che ne hanno ridotto sensibilmente il minutaggio, non ha chiarito la profondità del suo talento, né la sua collocazione in campo e tanto meno capire se è in grado di poter stare (e a che livello) in un club di prima fascia come la Juventus. 

I problemi alla Juve, i problemi allo Schalke

Nella prima stagione alla Juve, dove è arrivato nel 2016 per 23 milioni, ha messo assieme appena 544 minuti, 3 partite da titolare, un gol pesantissimo nell’andata degli ottavi di Champions con il Porto e due lunghi stop: il primo nell’ottobre del 2016 a causa di un infortunio al perone, caratterizzato tra l’altro da una diagnosi controversa, che lo ha tenuto lontano dai campi due mesi, il secondo, ben più serio, nel marzo del 2017, in seguito alla rottura del legamento crociato. Pjaca è tornato a giocare a novembre con la Primavera e dopo 4 partite in cui ha dimostrato di essere fuori scala rispetto a quel contesto e altrettante panchine con la prima squadra, a gennaio è stato ceduto in prestito allo Schalke 04.

Lo Schalke 2017/18, una delle realtà più intriganti dell’ultima Bundesliga, si è rivelata una squadra estremamente liquida a livello di sistema di gioco e interpretazione della partita, che si è affidata agli strappi e alla creatività di Harit, a quella rara combinazione di sensibilità nel leggere il gioco e pesantezza delle movenze posseduta da Goretzka e alle sponde e al dinamismo di Burgstaller per risalire il campo. Una formazione a cui però sono mancati gli ultimi 20 metri: nonostante il secondo posto finale, gli uomini di Tedesco sono soltanto al 7° posto nella classifica degli xG (46,83 in 34 giornate) e all’11° per tiri effettuati, appena 11,9 a gara.

Serviva quindi un giocatore che nell’ultimo terzo di campo combinasse con i tre giocatori già citati per migliorare la pericolosità offensiva. Il tecnico Domenico Tedesco, pur variando con una certa continuità modulo e uomini, si è rifatto a dei principi di gioco e a una struttura posizionale consolidati in fase offensiva: 3 difensori in zona centrale, due mediani, altrettanti laterali sulle fasce e 2 giocatori dietro alla punta centrale a occupare i mezzi spazi. Pjaca era uno dei due elementi a supporto dell’attaccante centrale e ha giocato indistintamente sia sul centro-destra sia sul centro-sinistra, svariando nella fascia centrale senza però occupare l’ampiezza, a meno che un esterno non avesse bisogno di un’opzione di passaggio corto nel corridoio laterale.

La struttura posizionale offensiva tipo dello Schalke, un 343 che in fase di non possesso può mutare in un 442.

Nelle poche uscite in cui è stato impiegato però è sempre parso avulso rispetto ai compagni ed è difficile stabilire, nonostante una condizione atletica comprensibilmente precaria, se i miseri 387 minuti accumulati tra Bundesliga e Coppa di Germania (5 presenze dal ‘1, 4 a gara in corso) siano la causa o la conseguenza. Il processo di comprensione tra Pjaca e la squadra è sembrato lacunoso, sia in quelle situazioni in cui il croato era in possesso, sia quando si muoveva a palla lontana. O più semplicemente, se ammettiamo che le parti abbiano approfondito la conoscenza, i due stili non erano compatibili. Ai tedeschi serviva un attaccante che corresse tanto senza palla e che andasse in profondità per disordinare e abbassare la difesa avversaria, così da aprire il campo ai propri accentratori, vedi Harit, Caligiuri e Goretzka, giocatori più abituati a utilizzare i movimenti dei compagni per andare in conduzione e cercare in primis la soluzione personale, piuttosto che assecondarli.

L’ex Juve è stato posizionato centralmente per sfruttare la sua prestanza fisica sul gioco aereo, un aspetto in cui però risulta carente malgrado i 186 centimetri. In altre parole, allo Schalke serviva una punta dinamica che lavorasse insieme a Burgstaller, capace di finalizzare l’azione anche senza toccare molti palloni. Ma Pjaca per caratteristiche è un giocatore agli antipodi: in questo momento ha bisogno di toccare molto la palla per incidere sulla partita, preferendo una ricezione sulla figura anziché andare in profondità. Per questo si è mosso soprattutto in zona palla: sia perché venendo incontro al portatore guadagna sul marcatore quei centimetri necessari per dar sfogo ai suoi mezzi atletici, sia perché è ancora acerbo nelle spaziature e trova nel pallone un punto di riferimento, sia perché gli altri creativi non amano molto la giocata lunga e se Pjaca si avvicinava a loro, poteva essere servito con più facilità.

E quando ci sarebbe l’occasione di attaccare lo spazio alle spalle della linea difensiva, rimane fermo, vanificando il lavoro di Burgstaller (il quale si era staccato per conquistare palla e scaricare su Meyer), e finendo per impallare il movimento di Goretzka.

Pjaca ha mostrato difetti nelle letture con la palla tra i piedi. Forse con la smania di voler dimostrare ad ogni giocata il proprio valore, si è intestardito con insistenza nella soluzione personale. Pure quando riceveva a 35-40 metri dalla porta o veniva raddoppiato o triplicato. Gli 0 passaggi chiave fatti registrare in Germania rappresentano un dato emblematico di un giocatore incapace di evolversi dal campionato croato, dove era in grado di piegare le partite semplicemente mettendosi in proprio. Inoltre la bassa percentuale di passaggi completati (67% su 20,1 tentati p90’) è sembrata figlia più che altro di errori di concetto, che non di precisione.

Il patrimonio di Pjaca

Perché i fondamentali di Pjaca restano raffinatissimi, in particolare il primo controllo. La sua abilità nel disorientare il marcatore con il primo tocco ha dell’incredibile. Sia frontalmente, grazie al dribbling a “manico d’ombrello”, con cui finta il tiro per poi portarsi la sfera sull’altro piede (come in occasione del primo dei 2 gol segnati con lo Schalke 04), ma anche quando riceve con l’uomo alle spalle: fondamentale in questa azione l’uso del tronco con cui finge di andare in una direzione, salvo poi muovere la palla con l’esterno del piede in quella opposta e aprirsi il campo alla sua progressione. Nei primi tre metri rimane incontenibile, ma sull’allungo ha smarrito quella brillantezza (forse dovuta ad un calo del tono dei quadricipiti) determinante per completare la giocata successiva al dribbling. Malgrado ciò, Pjaca ha provato moltissimo il dribbling, pure a costo di perdere il possesso: in Bundesliga ne ha tentati 5,2 p90’, vincendone 2,8, il 53,33%.

Un passaggio iconico dell’esperienza di Marko Pjaca allo Schalke 04: il numero 22 riceve al limite e ha 3 linee di passaggio con cui eventualmente cercare il triangolo, ma decide di avventurarsi in un 1 vs 2 da cui uscirà sconfitto.

Pjaca è entrato e uscito dalle rotazioni di Tedesco con la stessa velocità di altri profili più o meno giovani, come Konoplyanka ed Embolo, i quali – un po’ come il un paio di anni fa - godevano di un hype superiore a quello attuale, a loro volta in difficoltà in quanto più inclini a ricevere la palla sulla figura e non nello spazio.

Questo prestito, se da un lato ha confermato pregi e difetti del suo stile, dall’altro non ha chiarito del tutto - anche a causa di un minutaggio esiguo - le sue condizioni fisiche, né in quale ruolo si possa esprimere meglio (trequarti centrale per tenerlo più vicino alla porta? Ala per esaltare le sue doti atletiche?). Dopo il rientro alla Juve, al giocatore sono già state accostate diverse squadre (Villareal, Leicester, Siviglia, Sampdoria, Udinese, Atalanta e Sampdoria), ma la favorita al momento sembrerebbe la Fiorentina, pronta ad acquistarlo con la formula del prestito con diritto di riscatto. Il condizionale è d’obbligo, visto che parliamo di una trattativa che dura da diverse settimane e che - nonostante l'assenzo del giocatore - non sembra riuscirsi a sbloccare.

Pioli lo scorso anno a Firenze ha (ri)proposto le sue idee peculiari a base di intensità, verticalità e quindi transizioni rapide, mirate al recupero palla in zone alte o arrivare alla conclusione con il minor numero di passaggi. Pjaca nell’ipotetico 4-3-3 della viola agirebbe da esterno sinistro, in cui contesto che aspira al disordine tramite il dinamismo e gli interscambi di posizione tra gli attaccanti. Bisognerà capire se un sistema frenetico, che delega delle buone libertà d’azione ai singoli negli ultimi 30 metri, con un giocatore come Chiesa per certi versi simile a lui, lo possa mettere a proprio agio, o se al contrario ne esponga i limiti. 

A prescindere dalla sua destinazione, sarà importante concedere a Pjaca tutto il tempo necessario per far sì che possa ritrovare la migliore condizione e che possa crescere sbagliando, fino a esplorare tutti i margini del suo potenziale.