Calciomercato, Tare a Di Marzio: "Milinkovic uomo di parola". Le minacce di morte e la scelta di restare

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Gianluca Di Marzio ha intervistato in esclusiva il direttore sportivo della Lazio: lo speciale in onda oggi su Sky Sport24 alle 13.45, 15.45 e 19.15. Dopo Paratici ed Ausilio è il turno di Tare, a Roma da ormai un decennio, che svela il retroscena dell’affare Milinkovic-Savic e l’amore per la Lazio- nonostante un brutto periodo coinciso con la cessione di Hernanes- per la quale ha rinunciato anche ad offerte importanti

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Dagli inizi come giocatore-giardiniere al ruolo dirigenziale che gli offrì da Lotito al termine del contratto da calciatore. “Un pazzo, pensai”, racconta l’ex attaccante albanese che dal 2009 è il direttore sportivo della Lazio. Rimanere a Roma, una scelta di fede, tanto da rinunciare anche ad offerte importanti (sia dall’estero che dall’Italia), perché “ogni scelta che ho fatto nella mia vita, l’ho fatta ascoltando più il cuore, che l'interesse economico”.

Sei un direttore sportivo “invisibile”, ti si vede poco e si vedono poco in giro i tuoi scout. Ma fai tutto da solo o siete bravi a nascondervi?

"Io mando in giro qualche ex calciatore che ha giocato con me, mi fido di loro perché loro sanno cosa è importante per me in un giocatore".

Cosa è importante per te quando devi individuare un giocatore?

"La fisicità, la tecnica e il linguaggio del corpo che è fondamentale in campo, ti fa capire il carattere di un giocatore. Ci sono tanti piccoli dettagli che poi fanno la differenza".

È vero che quando lasciasti l’Albania per coronare il tuo sogno di diventare giocatore andasti a piedi, senza documenti, oltrepassando il confine per andare in Germania?

"Sì, è vero e non mi vergogno per questo. Dietro tutta questa avventura c’era un sogno da coronare e sono molto fiero della strada che ho fatto. Penso di essere un esempio per tanti giovani che possono fare la stessa cosa, come feci io all’epoca".

Come fu quel viaggio?

"Un viaggio tra paure, difficoltà, domande. Ero da solo, avevo solo un punto di riferimento che mi avrebbe aiutato solo se fossi riuscito ad entrare in Germania. Adesso sembra la trama di un film, all’epoca era anche una cosa pericolosa. Dovevi fidarti dei trafficanti che rendevano possibile il passaggio tra Repubblica Ceca e Germania. Ho deciso di farlo, non mi spaventava niente".

Arrivi in Germania, giochi di pomeriggio e al mattino lavori come giardiniere

"Arrivo in Germania… proponendo alle squadre di farmi un provino e così è stato una sera al Ludwigshafen, la squadra dove giocavo, che mi diede la possibilità di allenarmi con loro. Non essendo una squadra a livello finanziario molto buono mi proposero questo lavoro".

Poi un giorno ti sei fatto male con una lama...

"Fu un mio collega con una motosega, non è stato attento, mi colpì alla gamba. Sono stato veramente fortunato perché mi aveva tolto quasi tre millimetri di osso, fu un momento molto difficile".

In che modo hai reagito quando Lotito ti ha chiesto di diventare direttore sportivo?

"Quando il presidente Lotito mi chiese di accettare questa avventura tra me e me dissi: questo è un pazzo”.

Tu volevi continuare a giocare?

"Sì, avevo un accordo con lui di prolungare il contratto per altri due anni (un anno più l’opzione di un altro anno)".

Come è la vostra condivisione delle trattative?

"All’inizio del mio percorso siamo stati sempre insieme, anno dopo anno ha capito le mie qualità, facendosi via via da parte sia sulla scelta del giocatore sia sulle trattative. Ma quando ci sono delle difficoltà a livello economico il suo intervento è fondamentale per risolvere queste problematiche".

Hai mai pensato di andare via?

"Onestamente, si. Ci sono stati dei momenti in cui ho pensato anche a questa scelta, soprattutto pensando alla famiglia. Fosse stato per me, non avrei avuto nessun problema ad andare avanti, ma il problema è che abbiamo ricevuto anche minacce di morte, ai famigliari, alla moglie, ai figli, cose che, veramente, non si possono raccontare. Quelli sono stati dei momenti in cui ho pensato se davvero valesse la pena andare avanti, o mollare. Però, dentro di me, ho sempre detto che non l’avrei data vinta a nessuno, perché ho sempre pensato di avere lavorato con il cuore per la società ed ero convinto che alla lunga, sarebbe venuto fuori il vero valore di questo lavoro e, grazie a Dio, così è stato".

Quindi, hai avuto paura a Roma per la tua famiglia?

"Sì, in alcuni momenti ho avuto anche paura".

Hai anche pensato di tornare a casa?

"No, ma per loro si, per i miei figli perché, poi, gli anni passano, i figli crescono. In particolar modo, nel periodo della cessione di Hernanes. È stato un momento brutto, che dentro di me porto come un’esperienza molto negativa. Una parte di me, dopo quella esperienza, è morta, per quel che riguarda il modo di vivere il calcio. Lì, tocchi veramente la parte brutta del calcio".

Milinkovic-Savic, uno dei tuoi grandi affari. Come è andata?

"In quei minuti ero la persona più sicura del mondo che Milinkovic, nonostante fosse andato lì, avrebbe deciso di venire alla Lazio. La sera prima lui mi ha chiamato dicendomi che doveva andare lì per rispetto di suo padre, ma che la sua scelta era stata fatta e che sarebbe venuto alla Lazio. Mi ha detto di stare tranquillo, che doveva andare lì, ma che poi a loro avrebbe detto che veniva alla Lazio. Per questo gli sarò grato, perché ci sono pochi giocatori che fanno una cosa del genere".

Che mercato sarà quello della Lazio a gennaio?

"Forse sarà più in uscita per qualche giocatore che non trova spazio, perché siamo in tanti".

Cosa non hanno ancora capito i tifosi della Lazio di Tare?

"Non lo so, non so cosa non possano aver capito. Negli ultimi anni, ovunque vada per la città, mi riconoscono, ma il calcio è un lavoro nel quale conta molto il presente. Io cerco di viverlo in questo modo, vivere il presente, essere tutto me stesso con questa società. Anche la scelta di prolungare il mio contratto per quattro anni ancora, nonostante tante richieste avute, anche lusinghiere, da squadre importanti, anche a livello mondiale, mi ha fatto capire che questa società per me significa qualcosa d’importante".

Quindi, hai avuto delle richieste grosse

"Sì, ho ricevuto qualcosa".

Anche in Italia o all’estero?

"Anche in Italia".

Una scelta di fede, quella di essere rimasto

"Sì, perché quando arrivano questi momenti capisci veramente cosa significa il presente, dove tu stai. Quando valuti anche con il cuore, il mio cuore mi ha detto di rimanere qui. La scelta l’ho fatta con il cuore. Ogni scelta che ho fatto nella mia vita, l’ho fatta ascoltando più il cuore, che non l’interesse, anche economico, e sono fiero di aver fatto questa scelta".