Le caratteristiche, i punti di forza e i difetti del nuovo portiere della Roma, arrivato tra lo scetticismo generale con l'ingrato compito di sostituire uno dei migliori numeri uno del panorama europeo
Dopo aver ceduto Alisson al Liverpool, la Roma in pochi giorni ha occupato lo slot libero del portiere scegliendo Robin Olsen, che in un certo senso è stato il portiere rivelazione dei Mondiali di Russia insieme a Jo Hyeun-woo della Corea del Sud e Pickford dell’Inghilterra. Olsen è costato ai giallorossi complessivamente circa 12 milioni di euro ed è arrivato nello scetticismo: i due portieri della Roma dei primi anni Duemila, Antonioli e Pelizzoli, hanno dichiarato praticamente in coro di immaginarsi un approccio non semplice per Olsen in un campionato come la Serie A.
Sembra che nel complesso giro di portieri di quest’estate, Olsen fosse finito anche nel mirino del Liverpool nel caso in cui non fosse arrivato Alisson, segno che in qualche modo il destino dei due era legato a un doppio filo. Nelle gerarchie delle scelte di mercato della Roma, Olsen ha superato Areola del PSG, Cillessen del Barcellona e Schmeichel del Leicester, forse anche per le minori pretese economiche del portiere svedese rispetto a portieri provenienti da club più ricchi. A conti fatti, l’interesse anche di altri club per Olsen ha costretto la Roma a un investimento comunque non indifferente sul bilancio.
Un portiere timido
La carriera di Olsen ha avuto una prima accelerazione durante il 2016, con il passaggio a gennaio al Copenaghen dopo un periodo difficile al PAOK. Olsen è tornato a giocare nel Paese di origine della sua famiglia, la Danimarca, ma è cresciuto a Malmö (e forse vale la pena ricordare che Malmö e Copenaghen sono molto vicine e collegate dal ponte di Øresund lungo appena 16 chilometri).
Tornato in Scandinavia dopo sei mesi difficili in Grecia, Olsen ha ritrovato le certezze della propria adolescenza. Olsen al Copenaghen inizia a lavorare con il preparatore dei portieri Anton Scheutjens, che in un’intervista a FCK TV ha detto: «Tutti dicono che i portieri sono un po’ pazzi, ma lui è sempre stato un ragazzo assolutamente normale, dal carattere molto calmo e dotato di humour, il che è importante». Questo lato del carattere di Olsen è sicuramente un punto di forza ma all’inizio gli creava dei problemi: spiega ancora Scheutjens che «Robin, quando è arrivato, era troppo calmo nel suo modo di comunicare anche dentro al campo, non solo fuori. Ne abbiamo parlato e gli ho chiesto di urlare un po’ di più in campo e utilizzare meglio anche il suo linguaggio del corpo. Penso che abbia fatto un grande miglioramento in tutti questi aspetti».
Del legame tra Olsen e le sue radici ha parlato anche Ludwig Augustinsson, compagno in Nazionale e per un periodo anche al Copenaghen: «Come tutti i portieri, Robin è un tipo speciale. Tiene molto alla famiglia e a volte non partecipa a cene e feste». Olsen non ama neanche esporsi sui media: «Non è il tipo che parla con i giornali, ma lo fa con le sue prestazioni», dice Scheutjens. «È quello che mi piace, è la mia idea di lavoro, quella di avere calciatori e non star del cinema».
L’eccessiva timidezza in campo e forse l’attaccamento alle sue radici sono alcune delle probabili cause del suo periodo complicato in Grecia al PAOK, iniziato con l’acquisto a titolo definitivo nell’estate 2015 e concluso con il prestito accordato al Copenaghen a gennaio 2016. La squadra della capitale danese decise poi di riscattare Olsen nel mercato estivo proprio del 2016, pagando circa 600 mila euro al PAOK che a sua volta lo aveva rilevato dal Malmö per una cifra vicina a 650 mila euro, realizzando perfino una piccola minusvalenza.
Nell’autunno del 2016, quindi, Olsen ha iniziato la sua avventura da tesserato ufficiale del Copenaghen, e soprattutto diventando il portiere titolare della Nazionale svedese dopo il ritiro di Andreas Isaksson, del quale era riserva a Euro 2016.
Un portiere tradizionale
Il rendimento di Olsen è cresciuto negli ultimi tempi e la vetrina di Russia 2018 ha ovviamente amplificato la risonanza mediatica su di lui. Si tratta di un portiere abbastanza classico, alto 1,98 m ma piuttosto snello in relazione alla statura, visti i suoi 88 chili di peso. Questo gli dà la possibilità non solo di coprire bene lo spazio sui palloni alti, ma di essere anche piuttosto agile ad abbassarsi per contrastare i tiri rasoterra anche con le braccia.
Olsen, in generale, non soffre la sua statura se non negli spostamenti laterali con i piedi, piuttosto macchinosi. In questo senso preferisce coprire la porta soprattutto grazie alla lunghezza dei suoi arti, anche negli uno contro uno, dove lo aiutano i riflessi e un ottimo posizionamento.
Qui ferma Griezmann solo allungandosi, senza tuffarsi realmente e senza nemmeno allungare le gambe come nella posizione a “croce iberica”.
A volte Olsen, come visto nel video qui sopra, ha il difetto di non attaccare la palla con il busto in avanti, andando invece indietro con le braccia sulle uscite basse, aprendo un po’ di campo all’avversario. Nelle uscite alte, invece, il suo posizionamento condiziona tutta la linea difensiva: Olsen tende a stare molto alto sul campo, a meno che non sia quasi sicuro che l’avversario possa calciare in porta o giocare un pericoloso filtrante, e questo fa stare più alta anche la linea difensiva. In questo senso confida sul fatto che nessuno possa scavalcarlo sorprendendolo lontano dai pali, per via della sua statura, e allo stesso tempo non ha bisogno di avere dei passi molto rapidi per effettuare l’uscita alta, come fanno altri portieri partendo da una posizione più arretrata.
Nell’immagine sotto, questa sua caratteristica si vede bene: Olsen si alza praticamente quasi a livello del dischetto del rigore e chiama, con le braccia, la difesa a salire oltre l’area di rigore. In quella posizione chiaramente Lucas Hernández difficilmente può tirare in porta, Olsen legge benissimo il gioco e capisce che può stare in avanti, in previsione di un eventuale cross dalla trequarti. In questo senso tornano molto utili anche i miglioramenti di comunicazione verbale e corporea che Olsen ha effettuato con il suo preparatore Scheutjens.
Nel gioco con i piedi Olsen non è un portiere all’avanguardia, ma in ogni caso non perde mai la calma lanciando frettolosamente e cerca invece di vedere lo sviluppo del gioco per capire cosa fare. In questo senso il suo carattere disteso e rilassato lo aiuta: si propone per un passaggio ogni volta che può e se ha lo spazio riesce a giocare dei buoni passaggi di prima anche sotto pressione, più per le sue capacità mentali di contenere l’ansia che non per quelle tecniche con i piedi. Ovviamente è più abituato a lanciare lungo, ma ha mostrato un’ottima apertura mentale a migliorare questo aspetto del gioco che è la nuova frontiera del portiere moderno.
Di fatto i principali difetti di Olsen sono le uscite basse e alcune sbavature tecniche: evita spesso le prese e le sue respinte non sembrano efficaci. I riflessi sono buoni, se si considera la sua stazza, ma in assoluto non possono essere considerati un suo punto di forza.
Olsen ha sostanzialmente fallito nella prima esperienza fuori dalla Scandinavia, ma in questa sua nuova avventura professionale arriva con una consapevolezza mentale nettamente superiore. Lo scetticismo nei suoi confronti è stato visibile, da parte di ex colleghi e dei tifosi della Roma che sembrano averlo già bocciato. Starà al preparatore dei portieri, Savorani, che lo ha scelto nella lista di portieri a cui la Roma poteva arrivare, provare a migliorarlo e a convincere tutti di aver fatto una buona scelta (anche perché alle sue spalle, come riserva, lavorerà un portiere esperto ma in fase discendente come Mirante). D’altra parte se la Roma gli ha offerto un contratto quinquennale la fiducia nel suo nuovo portiere deve essere alta.