Nell'estate del 1996 Moratti accontenta Roy Hodgson e gli regala il regista che voleva. Verrà effettivamente ricordato per un film, con il suo nome legato per sempre a una battuta: "La maglia di Sforza? Quella di Ronaldo era finita...".
- Quello che non è riuscito a Ciriaco Sforza in un intero anno di Inter – farsi notare –, l’hanno fatto Aldo, Giovanni e Giacomo con una fulminante battuta di pochi secondi nel loro primo film, “Tre uomini e una gamba”. Lo svizzero è passato senza lasciare traccia, se non quella del flop viste le aspettative sul suo conto; e così, ancora oggi, il suo nome resta legato a uno sketch comico, che lo ha comunque consegnato alla storia
- Ciriaco Sforza, di chiarissime origini italiane (genitori emigrati dalla provincia di Avellino), è un regista svizzero. Non cinematografico; lui dirige le squadre – nello specifico il Bayern Monaco – dettando tempi e ritmo. E lo fa benissimo. Tanto che nell’estate del 1996 è in cima alla lista dei desideri di Roy Hodgson, all’epoca allenatore dell’Inter, e Massimo Moratti, all’epoca presidente, non sa dire di no alle richieste dei suoi allenatori. Specie se conoscono così bene i giocatori di cui tessono le lodi
- Hodgson è stato infatti Ct della Svizzera, portata prima al Mondiale del 1994 (fino agli ottavi) e poi qualificata a Euro ’96, lasciando poco prima del torneo proprio per dedicarsi a tempo pieno all’Inter. E di quella Svizzera Sforza è leader, anima, regista. Forse l’Inter ha trovato un “nuovo Matthaus”, è il paragone infelice che scappa al neo-acquisto nel giorno della presentazione
- Pagato 6 miliardi di lire al Bayern (che in un certo senso lo sbologna, visto che la prima richiesta era di 17), con Lothar ha in comune giusto la squadra di provenienza. Sul campo, lo stile è ben diverso. E quello di Sforza cozza anche con quello di Paul Ince, lui sì pallino del presidente arrivato un anno prima, che governa a centrocampo alla sua maniera: lotta, tackle, fango e cartellini. In una parola sola, i due sono incompatibili
- Lo era, invece, con Matthaus, con il quale ha giocato nel Bayern nella stagione prima dell’approdo in nerazzurro, vincendo la Coppa Uefa. Nella finale contro il Bordeaux, ci sono in campo lui, Matthaus e Klinsmann. Dall’altra parte, il futuro juventino Zidane e un Dugarry pronto a diventare un flop rossonero
- Sì, ma Ronaldo? I due, Sforza e il Fenomeno, si incrociano solo nel film, in quella battuta. Perché in realtà non giocano mai assieme e non si sono neanche affrontati da avversari. Se Sforza arriva nell’estate 1996 (con Djorkaeff, Zamorano, Winter e Kanu), Ronaldo è il grande colpo di quella successiva, quando lo svizzero ha già salutato per tornare in Bundesliga, al Kaiserslautern
- Eppure l’esordio era stato più che incoraggiante. Alla prima di campionato, contro l’Udinese di Zaccheroni, l’Inter vince 1-0 proprio con un gol di Sforza, un mezzo esterno sinistro di controbalzo dopo appena 10’. Seguono altre 25 presenze in campionato, quasi sempre da titolare, senza più un gol, ma nemmeno un guizzo che ce lo faccia ricordare
- Meglio il cammino in Coppa Uefa, 11 partite e 3 reti (tra cui doppietta agli ottavi col Boavista), se non fosse che all’atto finale l’Inter si fa soffiare il trofeo dallo Schalke, ai rigori, rendendo ancora più amara l’ultima di Sforza in nerazzurro, quella del litigio tra Hodgson e la futura bandiera Zanetti per una sostituzione non condivisa dall’argentino
- Il rigore decisivo lo sbaglia Winter, entrato all’80° proprio al posto di Sforza. Che magari se fosse rimasto in campo avrebbe tirato e segnato, dando una svolta alla sua carriera interista. Ma questo è un altro film, e si intitola “Sliding doors”
- Salutata l’Inter, “Zio” Roy lo vorrebbe al Blackburn, dove nel frattempo è andato ad allenare, ma non se ne fa nulla. Torna in Germania, al Kaiserslautern e, dopo tre stagioni positive (vincendo anche un’incredibile Bundesliga), ancora al Bayern Monaco, fallendo anche questa nuova chance in una big. Con la maglia numero 10 sulle spalle, nel 2001, si toglie lo sfizio di tornare a San Siro e vincere una Champions in quello che era il suo stadio, ma in quella squadra lui è solo una riserva
- Nella finale contro il Valencia di Cuper resta seduto in panchina per tutto il tempo e anche quando mette in bacheca un’Intercontinentale (1-0 al Boca Juniors, a dicembre), lo fa da comprimario, entrando in campo solo nel finale
- Il Bayern è ormai intenzionato a disfarsene, e lo fa nel modo più crudele, con il vice-presidente, l’ex interista Rummenigge, che lo definisce pubblicamente uno “Stinkstiefel”. Tradotto letteralmente significa “stivale puzzolente”, ma si usa per definire una persona lamentosa e scontrosa, e la cosa, a detta di Sforza, gli rovinerà la carriera
- Torna al Kaiserslautern, a quel punto rimasti gli unici a volerlo, ma anche qui finisce male, con un litigio con l’allenatore, Michael Henke. E così, nel 2006, Sforza decide di appendere i fatidici scarpini al fatidico chiodo, per provare ad allenare
- Anche in questo caso non è fortunato. Dopo la prima esperienza al Lucerna, nel 2009 diventa allenatore del Grasshoppers, ma nel 2012 decide di prendersi una pausa e uscire dal mondo del calcio, dopo aver conosciuto ansie e turbamenti della depressione, assalito dalla paura del fallimento, come racconterà coraggiosamente una volta uscitone
- Riparte dalla panchina del Thun nel 2015, poi Wil e Basilea, nel 2020/21, esonerato dopo 27 giornate con la squadra che chiuderà al secondo posto, lontanissima dallo Young Boys. Attualmente svincolato, inevitabilmente il suo nome continua a essere legato a quella battuta, ma anche lui nel tempo ha imparato a riderci su. “Il film è stata una cosa positiva perché i giovani, in queste occasioni, fissano la tua immagine in testa e non ti dimenticano”. In un certo senso ha ragione anche lui