Cadel re di Francia: un guerriero con il cuore italiano

Ciclismo
Cadel Evans: a sinistra in una foto all'età di 9 anni; a destra, sul podio del Tour de France (Foto da Twitter e Getty Images)
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IL PROFILO. L'australiano Evans ha trionfato al Tour: ha iniziato la sua carriera sulla mountain bike. Dopo la cotta al Giro del 2002, tanti piazzamenti. Nel 2009 il titolo Mondiale. Non solo bici: le auto, la moglie italiana, l'ecologia e il Tibet. FOTO

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di Luciano Cremona

Cadel, in gaelico, significa "guerriero, lottatore". Cadel ha iniziato a lottare da bambino. Lui, nato a Katherine il giorno di San Valentino del 1977, con i genitori separati, era uno dei pochi bianchi in mezzo agli aborigeni del nord dell'Australia. Andava a scuola in bici, si muoveva sempre sulle due ruote. Un allenamento speciale, che lo ha forgiato alla resistenza e alla fatica. Nel 1998, a soli 21 anni, vince la coppa del mondo di mountain-bike. Tra fango e salite, bissa il successo l'anno successivo. Poi il richiamo della strada è forte. Gli dicono: prova. E Cadel il guerriero si butta nell'avventura con la Saeco.

Nel 2002 si presenta per la prima volta al Giro d'Italia, con la Mapei, la squadra che lo lancia e che lo mette in contatto con Aldo Sassi, quello del centro Mapei di Castellanza. Quello del ciclismo pulito. Sassi capisce di avere tra le mani un atleta formidabile. Primo giro e prima maglia rosa, conquistata e poi persa in quella famigerata tappa di Folgaria: Evans in maglia rosa si pianta sulla salita del Passo Coe. Barcolla, prende una cotta epica. Prende 15 minuti da Savoldelli in soli otto chilometri, una crisi di fame e di gambe indimenticabile. Il biennio 2003-2004 alla Telekom scorre tra l'anonimato e le tre fratture alla clavicola. Poi il passaggio alla Lotto e il decollo verso il vertice. Nel 2007 il Tour gli sfugge per 23", dietro a Contador. Alla Vuelta è quarto, ma vince la classifica Uci Pro Tour. L'anno dopo è ancora sul secondo gradino del podio francese: 58 i secondi che lo relegano dietro a Sastre.

Il 2009 sembra un anno di regresso. Al Tour arriva 30esimo, alla Vuelta terzo, frenato da un problema meccanico. Poi arriva il Mondiale di Mendrisio, a due chilometri dalla sua casa, Stabio, nel Canton Ticino. Evans vince sbalordendo il mondo, nel secondo dei suoi tre mondiali consecutivi in casa (dopo Varese e prima di Geelong). Con la maglia iridata nel 2010 è quinto al Giro. Al Tour si rompe un gomito, non lo dice per non avvantaggiare gli avversari. Rimane in sella, come un guerriero, e chiude fieramente al 26esimo posto.

Uno scherzo per uno che a 8 anni finì in coma per una settimana, dopo aver rimediato un calcio in testa da un cavallo. La sua base, come detto, è tra la svizzera è il varesotto. Vive a Stabio, con Chiara, moglie pianista e insegnante di musica di Castronno (Varese), dove Cadel ha vissuto per i primi due anni quando era in Italia, ospite dello scultore Pietro Scampini. Ed è proprio la bionda moglie la chiave che apre il riservato scrigno di Cadel, anche grazie ai numerosi tweet. Paziente, meticoloso, generoso, simpatico, smemorato. Un ragazzone di campagna, attento all'ecologia, ai cibi biologici, che ha pianto sì dopo il Mondiale vinto e sugli Champs Elysées, ma anche il giorno del matrimonio con Chiara, in municipio a Gallarate. Perché Cadel è ateo, crede solo nella correttezza. Più volte ha corso con magliette che sposavano la causa del Tibet. Poi, con Chiara, ha adottato a distanza un bambino nepalese. Il viaggio a Kathmandu è una delle cose che più ha toccato l'animo del guerriero.

Il buon vino come passione, la musica per divertirsi (i Men at Work, ma soprattutto quello che suona Chiara con il pianoforte), le auto come sfizio: tra le altre, ha una Lotus e una Mustang del 1966. La moglie a volte lo accompagna negli allenamenti: si mette in sella ad una vecchia 125 e Cadel sta a ruota, a fare dietro-moto. Le urla più forte, sulle salite, sono sempre quelle della moglie. Che con il clan di amici organizza scritte e striscioni.

La vittoria del Tour 2011 è stata accolta dal mondo del ciclismo con affetto, come qualcosa di meritato e giusto. Cadel ha scaldato i cuori, ridando alla gente l'immagine del campione che vince solo grazie alla fatica, agli allenamenti, alla tenacia. L'ha vinto anche e soprattutto grazie alla cronometro, quella che lui definisce "semplicemente la guerra tra me e il tic-tac". Il tic-tac gli ha dato ragione. A lui e a Aldo Sassi.

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