Armstrong, sull'eroe che ha tradito il fango della Casta

Ciclismo
Tour '95, quando Armstrong ricordava Casartelli sul traguardo a Limoges
armstron_casartelli

L'OPINIONE. Già acclamato, amatissimo, protagonista di una leggenda sportiva e umana fino ai verbali dell'inchiesta antidoping delll'Usada, Lance ora condivide coi politici più screditati la mediocrità disonesta

di PAOLO PAGANI

Come per gli elettori comprati dalla ‘ndrangheta o per i 26mila (suppergiù) che in un passato non lontano hanno scelto di eleggere un campione della truffa come Batman Fiorito alla Regione Lazio, anche al cospetto del caso-Armstrong balza in evidenza un cortocircuito imbarazzante. Se cioè, nella Politica ridotta a mercato malavitoso, anche tra chi strilla c’è, forse, chi prima ha venduto il proprio voto salvo poi fingersi indignato nelle piazze, dalla sporchissima faccenda del ciclismo farmaceutico emerge un paradosso gigantesco. Quello del consenso preventivo.

Notizia recente, condìta di giubilo ecologista generale, è il sorpasso di biciclette vendute. L’anno scorso, in Italia, 1.750.000 velocipedi contro 1.748.000 automobili. E pazienza se, nel novero dell’invenduto a quattro ruote, qualche responsabilità potrà serenamente essere anche ascritta al marchionnismo. Insomma, la bici è popolare. E’ cool. E’ pulita, ecco. E per questo piace.

Enorme di per sé, per il suo prolungarsi nel tempo, lo scandalo di Lance Armstrong che vince 7 Tour consecutivi (1999-2005) come mai nessuno prima nella Storia, racconta una sistematicità di predisposizione a delinquere degna della peggior Casta. Che coinvolge, assieme all’attore protagonista, molte comparse tra i compagni di squadra. Anzi, di squadre. Le 1000 pagine choc dell’inchiesta Usada (l’antidoping Usa) sono melma schiumante portata alla luce, verbali di ammissioni (di colpevolezza) di massa. Radiato negli States, Lance attende di conoscere le decisioni Uci (la Federciclo internazionale), che tra non molto di sicuro cancellerà ogni traccia di gloria dal suo curriculum corsaiolo.

Cerotti di testosterone, epo, auto-emotrasfusioni, ormone della crescita, iniezioni endovenose: c’è di tutto, e solo marciume, nelle pagine di quei verbali. Eppure: eppure, appunto, il popolo del ciclismo non esibisce inequivocabili segnali di rigetto. La bici è Spirito dei Tempi. Il Giro d’Italia che è storia culturale nostrana, l’anno venturo partirà da Napoli e sarà di sicuro festa sincera. L’epica del Galibier, totem del Tour stavolta scavallato nella corsa rosa, incolla già i cuori degli appassionati all’attesa dell’impresa. E in un Paese, e in un momento storico, di massimo appannamento dello spessore morale del calcio, sembrerebbe per davvero il ritorno al ciclismo, alle sue radici povere popolari profonde, una sorta di antidoto.

L’eroe chimico della leggenda che non c’era, l’uomo Armstrong delle vittorie monstre alla Grande Boucle, sono la classica mazzata inaspettata. La mitologia che diventa cappa e spada a Cinecittà. Cartapesta fasulla e deludente. Sono la scoperta (oddìo: molti hanno tante volte sospettato in passato, ma un conto è il sospetto e un altro una confessione) che esistono i Fiorito, gli Zambetti eccetera anche dove si era certi che gli ultimi potevano, per un giorno, diventare primi col sudore della fronte. Esistono, anche nello Sport, i disonesti della democrazia malata. Ed è choc. Perché dal fango dell’Alpe d’Huez a quello del disonore, il passo si fa di colpo brevissimo ma c'è una bella differenza. E che brutto il ricordo di quel giorno a Limoges, Tour '95, Armstrong che indica il cielo di un Casartelli (compagno di squadra morto in discesa sul Portet d'Aspet) che adesso si girerà dall'altra parte della nuvola su cui riposa.