Tour, per Nibali un'impresa storica: ecco perché
CiclismoIl siciliano dell'Astana entra nel ristrettissimo club dei vincitori di Giro d'Italia, Tour de France e Vuelta a España. Lo fa grazie a una Grande Boucle piena di talento, dominata con merito: senza senso, ora, parlare di doping o delle cadute dei rivali
di Stefano Rizzato
I brindisi in corsa, gli abbracci e i complimenti, il primo passaggio a fianco dell'Arc du Triomphe, il podio sui Campi Elisi, le interviste e le dediche. C'è questo nel menu del giorno perfetto di Vincenzo Nibali, quello in cui il successo del siciliano alla Grande Boucle diventa finalmente ufficiale. Un concentrato di emozioni per il messinese e per tutti gli appassionati italiani, che possono così celebrare il decimo successo al Tour per un corridore del nostro Paese. Un momento storico e che ha un valore particolare. Soprattutto per cinque motivi.
1. Il club del "triplete" - Jacques Anquetil, Alberto Contador, Felice Gimondi, Bernard Hinault ed Eddy Merckx. Finora, nella storia del ciclismo, era riuscito solo a loro. È la lista dei campionissimi capaci, in carriera, di vincere Giro d'Italia, Tour de France e Vuelta a España. Un club ristrettissimo in cui Nibali - trionfatore al Giro 2013 e alla Vuelta del 2010 - iscrive con merito il proprio nome.
2. Fame e coraggio - Ma non c'è solo il risultato finale. Il 29enne di Messina è andato oltre e fuori gli schemi del ciclismo contemporaneo. Invece di lasciarsi paralizzare dai calcoli e dalla paura di rischiare, ha deciso di vincere e di staccare i rivali ogni volta che poteva. Una scelta d'orgoglio, banale e rivoluzionaria insieme. È così che ha accumulato quasi otto minuti di vantaggio su tutti. E così che, in tasca, si è messo anche quattro perle straordinariamente luminose: le vittorie di tappa a Sheffield, La Planche des Belles Filles, Chamrousse e Hautacam. In pianura, sui Vosgi, sulle Alpi e sui Pirenei.
3. I rivali (che c'erano eccome) - Inutile nascondersi: a segnare la Grande Boucle 2014 è stata anche l'uscita di scena dei due grandi "co-favoriti" per la vittoria finale: Chris Froome e Alberto Contador. Ma dire che Nibali ha vinto grazie al ritiro dei suoi rivali, è un nonsenso sportivo. Al via da Leeds, Froome e Contador c'erano. Entrambi sono finiti a terra in situazioni di corsa in cui Nibali s'è dimostrato superiore. L'inglese è andato ko nella quinta tappa, quella del pavé, dove Nibali ha offerto una splendida esibizione di forza e versatilità. Lo spagnolo s'è ritirato alla nona, quando - proprio per via del pavé - pagava già a Nibali 2'38" che sarebbero stati durissimi da recuperare. Insomma, con Froome e Contador in gara dall'inizio alla fine, sarebbe stato un duello a tre entusiasmante e difficilissimo. Ma questo Nibali era in grado di vincerlo. Impossibile dimostrare il contrario.
4. Una performance credibile - L'altro insensato ritornello sentito e letto - anche su qualche quotidiano francese - negli ultimi dieci giorni è quello di chi cerca di sporcare il dominio di Nibali sul Tour con sospetti legati al doping. Un cliché che si ripresenta a ogni giro di giostra, figlio dell'era Armstrong e di tutti gli scandali degli anni '90 e dintorni. Eppure, fino a prova contraria, il trionfo di Nibali è del tutto credibile e ha nulla a che vedere con quell'epoca poco felice e molto dopata. Due indizi. Uno: il siciliano ha battuto e staccato nettamente avversari che - da Peraud a Valverde, da Pinot a Van Garderen - gli sono sempre stati inferiori in salita. Due: in termini assoluti, le prestazioni di Nibali restano ben al di sotto di certe "imprese" gonfiate dal doping. Basti pensare che la sua ascesa verso Hautacam nella 18esima tappa è stata solo la 27esima più veloce di sempre, con 37'25". Abbastanza per staccare tutti di 500 metri, ma di quasi 3 minuti più lenta rispetto a quella di Bjarne Riis nel 1996.
5. L'eredità del Pirata - Da quando Pantani se n'è andato, il 14 febbraio di dieci anni fa, il ciclismo italiano cerca un campione capace di raccoglierne il testimone. Curiosamente, a riuscirci è proprio il talento che più si è tenuto distante da quel paragone così difficile da sostenere, da un'eredità che poteva schiacciarlo. Diversissimo dal Pirata sotto mille aspetti, Nibali è il primo a riportare il ciclismo italiano al centro dell'attenzione generale. Non è un caso che al siciliano Tonina Pantani, mamma di Marco, aveva dato come amuleto la maglia gialla del figlio. Ora Nibali l'ha già promesso: tornerà a Cesenatico per ricambiare e donare a Tonina la sua, di maglia gialla. In qualche modo, un cerchio che si chiude.
I brindisi in corsa, gli abbracci e i complimenti, il primo passaggio a fianco dell'Arc du Triomphe, il podio sui Campi Elisi, le interviste e le dediche. C'è questo nel menu del giorno perfetto di Vincenzo Nibali, quello in cui il successo del siciliano alla Grande Boucle diventa finalmente ufficiale. Un concentrato di emozioni per il messinese e per tutti gli appassionati italiani, che possono così celebrare il decimo successo al Tour per un corridore del nostro Paese. Un momento storico e che ha un valore particolare. Soprattutto per cinque motivi.
1. Il club del "triplete" - Jacques Anquetil, Alberto Contador, Felice Gimondi, Bernard Hinault ed Eddy Merckx. Finora, nella storia del ciclismo, era riuscito solo a loro. È la lista dei campionissimi capaci, in carriera, di vincere Giro d'Italia, Tour de France e Vuelta a España. Un club ristrettissimo in cui Nibali - trionfatore al Giro 2013 e alla Vuelta del 2010 - iscrive con merito il proprio nome.
2. Fame e coraggio - Ma non c'è solo il risultato finale. Il 29enne di Messina è andato oltre e fuori gli schemi del ciclismo contemporaneo. Invece di lasciarsi paralizzare dai calcoli e dalla paura di rischiare, ha deciso di vincere e di staccare i rivali ogni volta che poteva. Una scelta d'orgoglio, banale e rivoluzionaria insieme. È così che ha accumulato quasi otto minuti di vantaggio su tutti. E così che, in tasca, si è messo anche quattro perle straordinariamente luminose: le vittorie di tappa a Sheffield, La Planche des Belles Filles, Chamrousse e Hautacam. In pianura, sui Vosgi, sulle Alpi e sui Pirenei.
3. I rivali (che c'erano eccome) - Inutile nascondersi: a segnare la Grande Boucle 2014 è stata anche l'uscita di scena dei due grandi "co-favoriti" per la vittoria finale: Chris Froome e Alberto Contador. Ma dire che Nibali ha vinto grazie al ritiro dei suoi rivali, è un nonsenso sportivo. Al via da Leeds, Froome e Contador c'erano. Entrambi sono finiti a terra in situazioni di corsa in cui Nibali s'è dimostrato superiore. L'inglese è andato ko nella quinta tappa, quella del pavé, dove Nibali ha offerto una splendida esibizione di forza e versatilità. Lo spagnolo s'è ritirato alla nona, quando - proprio per via del pavé - pagava già a Nibali 2'38" che sarebbero stati durissimi da recuperare. Insomma, con Froome e Contador in gara dall'inizio alla fine, sarebbe stato un duello a tre entusiasmante e difficilissimo. Ma questo Nibali era in grado di vincerlo. Impossibile dimostrare il contrario.
4. Una performance credibile - L'altro insensato ritornello sentito e letto - anche su qualche quotidiano francese - negli ultimi dieci giorni è quello di chi cerca di sporcare il dominio di Nibali sul Tour con sospetti legati al doping. Un cliché che si ripresenta a ogni giro di giostra, figlio dell'era Armstrong e di tutti gli scandali degli anni '90 e dintorni. Eppure, fino a prova contraria, il trionfo di Nibali è del tutto credibile e ha nulla a che vedere con quell'epoca poco felice e molto dopata. Due indizi. Uno: il siciliano ha battuto e staccato nettamente avversari che - da Peraud a Valverde, da Pinot a Van Garderen - gli sono sempre stati inferiori in salita. Due: in termini assoluti, le prestazioni di Nibali restano ben al di sotto di certe "imprese" gonfiate dal doping. Basti pensare che la sua ascesa verso Hautacam nella 18esima tappa è stata solo la 27esima più veloce di sempre, con 37'25". Abbastanza per staccare tutti di 500 metri, ma di quasi 3 minuti più lenta rispetto a quella di Bjarne Riis nel 1996.
5. L'eredità del Pirata - Da quando Pantani se n'è andato, il 14 febbraio di dieci anni fa, il ciclismo italiano cerca un campione capace di raccoglierne il testimone. Curiosamente, a riuscirci è proprio il talento che più si è tenuto distante da quel paragone così difficile da sostenere, da un'eredità che poteva schiacciarlo. Diversissimo dal Pirata sotto mille aspetti, Nibali è il primo a riportare il ciclismo italiano al centro dell'attenzione generale. Non è un caso che al siciliano Tonina Pantani, mamma di Marco, aveva dato come amuleto la maglia gialla del figlio. Ora Nibali l'ha già promesso: tornerà a Cesenatico per ricambiare e donare a Tonina la sua, di maglia gialla. In qualche modo, un cerchio che si chiude.