Ciclismo, la storia delle volate

Ciclismo

Umberto Preite Martinez

VivianiinVolata

Storia, funzionamento ed evoluzione delle volate, uno dei momenti più appassionanti di una corsa, che è molto cambiato negli ultimi anni

Gli arrivi in volata sono da sempre un elemento fondamentale nel ciclismo. Non solo nei grandi giri di tre settimane, dove i velocisti trovano ampi spazi per mettersi in mostra e collezionare vittorie, ma anche in alcune Classiche che storicamente si sono prestate ai grandi arrivi in volata, come la Parigi-Tours o la Milano-Sanremo. Anche tante edizioni dei Mondiali si sono risolte in volata, cioè negli ultimi trecento metri di una corsa lunga più di duecento chilometri.

L'assurdità delle volate sta proprio qui, in quei pochi secondi di pura potenza dopo ore e ore di gara. Pur essendo per molti appassionati la parte più bella di una gara, le volate in un certo senso sono in contrapposizione con l’immaginario classico del ciclismo, uno sport fatto di rincorse interminabili e lunghe attese, all’opposto delll’intensità fulminea degli sport contemporanei.

Non è un caso che gli arrivi in volata siano malvisti da una parte del pubblico, quella che si ritrova a tifare per un'azione che riesca ad anticipare la volata, per quel ciclista che riesce a sorprendere il gruppo con una sparata negli ultimi chilometri e vada via da solo fino al traguardo. È anche per questi motivi che negli ultimi anni si è pensato di aggiungere un'ulteriore salita nel finale della Milano-Sanremo, e che, più in generale, gli organizzatori delle grandi corse a tappe abbiano negli anni ridotto al minimo indispensabile le frazioni adatte ai velocisti.

Eppure in quel caos apparente che caratterizza gli ultimi chilometri di una gara che si conclude con una volata ci sono tanti piccoli dettagli che aiutano a rispondere alla domanda: “Perché ti piace il ciclismo?”.

L'inizio

Nelle corse a tappe, tutto ha inizio a circa dieci chilometri dal traguardo. Le squadre che puntano alla classifica generale si portano avanti, cercando di tenere fuori dai guai i rispettivi capitani almeno fino ai -3 chilometri, punto dopo il quale scatta la neutralizzazione del tempo in caso di incidenti. Il regolamento delle tappe pianeggianti prevede infatti che se si è vittima di una caduta o di un guasto meccanico all’interno dei 3 chilometri finali, il tempo viene equiparato a quello della posizione che si aveva al passaggio ai -3.

È in questa fase, fra i -10 e i -3, che lo spettacolo ha inizio. In quell'apparente caos di ciclisti che si alternano in testa, di piccoli treni che spuntano dal gruppo e si scavalcano a vicenda, in realtà si cela una delicatissima fase di organizzazione da parte delle squadre. Le varie formazioni si muovono compatte in un’incessante alternanza di sorpassi e controsorpassi e il capitano è solitamente il penultimo vagone del treno. Davanti a lui lavorano i passisti, abili nel muoversi nel traffico del gruppo e in grado di tenere un'andatura sostenuta per lungo tempo in modo da tenere il capitano fuori dai pericoli che correrebbe rimanendo dietro.

L'ultimo vagone è necessario per coprirgli le spalle, evitando che qualcun altro, nel tentativo di prendergli la ruota, lo coinvolga in qualche incidente o vada a sfaldare la composizione del treno.

È fondamentale in questa fase stare davanti ma non troppo, per non sprecare energie stando per tanti chilometri con il vento contro. Il Team Sky, ad esempio, è molto abile in questo tipo di pratica, da una parte grazie agli automatismi di squadra, ormai consolidati negli anni, dall’altra per via della presenza di alcuni passisti molto esperti, come Vasil Kiryenka, che svolgono un ruolo poco appariscente ma di primaria importanza.

Appena superati i -3 le squadre che curano la classifica generale si scansano per lasciare spazio ai velocisti. È una fase molto delicata, nella quale spesso si verificano brutte cadute, soprattutto quando la strada presenta delle difficoltà, come curve secche o restringimenti improvvisi.

Il gruppo in questa fase è lanciato a oltre 50 km/h e, se i velocisti non si organizzano in fretta, è il momento in cui chi si sente particolarmente in forma prova ad anticipare la volata sperando che dietro perdano l'attimo buono per andarlo a riprendere. È una strategia audace ma rischiosa e, a meno che il fuggitivo non si chiami Fabian Cancellara, è molto difficile che porti al successo.

Il treno

Fin qui abbiamo parlato solo dei treni delle squadre con uomini di classifica, ma il vero e proprio treno, per definizione, è quello del velocista. Il treno, infatti, altro non è che lo spiegamento di tutta la squadra per preparare la volata del velocista di punta. A seconda del numero di uomini a disposizione e del tipo di tracciato, l'azione di squadra può partire in diversi momenti ed è qui che è fondamentale la presenza di un “regista” in gara che sappia leggere lo svolgimento della corsa e guidi i suoi compagni verso la scelta migliore.

Uno dei registi migliori degli ultimi anni è stato Giovanni Lombardi, correndo prima con Erik Zabel alla Deutsche Telekom dal 1997 al 2001 e poi con Mario Cipollini alla Acqua&Sapone nel 2002 e alla Domina Vacanze nel biennio 2003-2004.

Grazie alle sue esperienze su pista (fu medaglia d'oro nella Corsa a Punti a Barcellona '92) e ai suoi trascorsi da velocista, Lombardi sapeva perfettamente pilotare i suoi compagni fuori dai guai e sapeva sempre qual era il momento giusto per entrare in azione. Dalla sua posizione, solitamente da ultimo uomo davanti al capitano, chiamava ai suoi compagni davanti la giusta velocità da mantenere e nel frattempo faceva da collante per l'ultimo vagone dietro di lui, assicurandosi di non perderlo mai di vista.

Il capolavoro di Giovanni Lombardi risale al Mondiale di Zolder nel 2002, una vittoria storica che il regista italiano riuscì a regalare al suo capitano Cipollini. In quell'occasione la Nazionale italiana, guidata da Franco Ballerini, riuscì a proteggere Cipollini e a guidarlo verso la volata vincente.

Gli ultimi due uomini per Cipollini sono Petacchi e Lombardi. Il primo si volta continuamente per ricevere le indicazioni del regista. Prima di partire, anche Lombardi controlla continuamente la posizione di Cipollini

Il lavoro degli Azzurri partì molto presto, con Di Luca a guidare il gruppo per chiudere qualsiasi tentativo di fuga. Dietro all'abruzzese erano già pronti gli uomini del treno: Sacchi, Scirea, Tosatto, Petacchi, Lombardi e, per l'appunto, Mario Cipollini. Poco più indietro, a dimostrazione di quanto sia importante stare in testa in queste situazioni concitate, una caduta spezzava in due il gruppo. Davanti, Lombardi guidava i suoi compagni con maestria, lanciando Petacchi e poi facendo da apripista in prima persona per Cipollini. E per gli avversari, disorganizzati, fu impossibile rimontare sul “Re Leone”.

Alessandro Petacchi, negli anni successivi, fu invece il protagonista di un altro treno, quello organizzato per lui dalla Fassa Bortolo. Il suo storico apripista rispondeva al nome di Marco Velo, sempre abilissimo nel pilotare lo spezzino fino ai 250 metri dal traguardo, la distanza perfetta per far partire lo sprint finale. Gli altri vagoni dello storico treno di Petacchi erano, fra gli altri, Mirco Lorenzetto e Alberto Ongarato, prima che Brett Lancaster e lo stesso Erik Zabel si trasferissero alla corte del velocista spezzino.

Cancellara, in fuga, viene ripreso dal treno della Milram. Prima Lancaster e poi Ongarato pilotano alla grande Petacchi (in maglia Ciclamino). Appena Lancaster si sposta, Ongarato si volta e vede che alla sua destra sta rimontando posizioni Julian Dean (con la maglia di campione nazionale della Nuova Zelanda) con a ruota Thor Hushovd. A quel punto rilancia l’azione e pochi metri dopo Dean è costretto a rialzarsi dopo essere stato inutilmente con il vento in faccia per circa cento metri e Hushovd si infila alle spalle di Bettini prendendo letteralmente a testate Danilo Napolitano. Ongarato, dopo aver completato il suo lavoro, si sposta quel tanto che basta per far passare Petacchi lungo le transenne, rimanendo però molto vicino per impedire a Bettini di affiancarlo.

I battitori liberi

Ma se velocisti così grossi e potenti come Cipollini e Petacchi avevano necessità di un treno che li lanciasse verso la volata finale, alcuni dei loro avversari agivano in completa autonomia. Una capacità che deriva da una parte dall'assenza di una squadra interamente dedicata a loro, e dall’altra per la loro struttura fisica, più esile e scattante, e che quindi non necessita di una “spinta” per essere messa in moto.

Robbie McEwen è stato uno dei talenti più luminosi del ciclismo contemporaneo in questo senso. Agile e veloce, autonomo e bravissimo nel muoversi in spazi ristretti saltando come un grillo da una ruota all'altra e riuscendo con facilità a raggiungere la velocità di punta, McEwen è stato a lungo il principale spauracchio di Petacchi nelle volate del Giro d'Italia.

Un altro esempio di questa tipologia di corridore è stato Oscar Freire. Lo spagnolo riuscì addirittura a vincere tre titoli mondiali nascondendosi per tutta la gara e sbucando fuori all'improvviso sulla linea del traguardo. Memorabile in tal senso la sua vittoria alla Milano-Sanremo del 2004, quando bruciò sul colpo di reni un Erik Zabel già a braccia alzate.

La strategia di questa tipologia di ciclisti è chiara e semplice: piazzarsi a ruota del bisonte di turno e cercare di sorprenderlo negli ultimi 50 metri. Una tattica che paga grossi dividendi ma che richiede anche una notevole abilità nella sua esecuzione.

Freire e McEwen in questo erano dei maestri. Sapevano leggere in anticipo le mosse degli avversari e riuscivano ogni volta a francobollarsi al treno di turno. Non è mai facile, nella lotta per le posizioni che precede una volata, muoversi nei piccoli spazi lasciati liberi dagli avversari per risalire posizioni e piazzarsi nel posto giusto. Servono sangue freddo e una grande padronanza del mezzo, due caratteristiche che a Freire e McEwen non sono mai mancate e che, unite a un favoloso spunto veloce, hanno concesso loro di portarsi a casa innumerevoli vittorie nell’arco delle rispettive carriere.

La fine dei treni

Con la chiusura della Fassa Bortolo, e successivamente anche della Milram (le due storiche squadre di Alessandro Petacchi), si chiuse anche la grande stagione dei treni. Le squadre non avevano più la possibilità di dedicare un'intera formazione solamente per le volate e l'evoluzione dei velocisti di riferimento, solitamente provenienti dal ciclismo su pista e più agili di corporatura, ha fatto sì che l'antica arte dell'apripista venisse piano piano abbandonata.

I pistard prestati alla strada, infatti, hanno già da soli la capacità di barcamenarsi all'interno del gruppo tenendosi fuori dai pericoli. La caratteristica principale del velocista contemporaneo è quindi diventata quella di scegliere l’avversario giusto a cui incollarsi fino a che non parte lo sprint, per poi provare a superarlo negli ultimi metri.

In assenza dei grandi treni, scegliere la ruota giusta nel caos che anticipa sempre una volata è diventato fondamentale e sempre più spesso si vedono ciclisti prendersi letteralmente a testate per conquistare la posizione buona alle spalle del favorito di turno. Per chi sta davanti, invece, basta anche un bel “passistone” (ovvero un gregario in grado di mantenere una velocità elevata rimanendo a lungo in testa col vento in faccia e che sappia quindi tenere davanti il proprio velocista) con lo spunto veloce che ti guidi fino ai fatidici 250 metri.

Inoltre, se fino a pochi anni fa veniva punito severamente qualsiasi cambio di direzione negli ultimi 300 metri, oggi le giurie tendono a chiudere un occhio, vista proprio la confusione che si viene a creare per via dell'assenza di un treno di riferimento. Nella terza tappa di questo Giro d'Italia, Sam Bennett si è spostato brutalmente da un lato all'altro della carreggiata e Viviani, che tentava di scavalcarlo a destra, è stato costretto a passare di forza tra l'irlandese e le transenne.

La manovra di Bennett, fino a pochi anni fa, gli sarebbe valsa la retrocessione all'ultimo posto del gruppo. Oggi si è più tolleranti, a causa della disorganizzazione che regna sovrana nell’ultimo chilometro in assenza di treni ben strutturati. Ma se questo da un lato forse favorisce una spettacolarizzazione televisiva spesso richiesta al ciclismo, dall’altro mette a rischio l’incolumità dei ciclisti in gara.

Il declino dei treni come organizzazione strategica delle squadre è stato evidente in quest’ultimo Giro d’Italia. In queste prime due volate abbiamo ad esempio visto la Quick Step tentare di organizzare il treno per Viviani, senza mai riuscirci. La colpa, oltre a dei finali di percorso piuttosto tortuosi, è da ricercare anche nella scarsa capacità di Fabio Sabatini di “sentire” la presenza del suo compagno a ruota.

In entrambe le occasioni, infatti, poco prima di partire con la volata, Sabatini si è perso sistematicamente Viviani, che è stato bravo a prendere la ruota giusta sfruttando il lavoro di Sam Bennett, prima di demolirlo nel testa a testa. Nella tappa di Tel Aviv, la Quick Step era partita bene ma già ai 900 metri dal traguardo il treno di Viviani si era già fatto sorprendere dagli avversari che hanno avuto vita facile nell’inserirsi fra i vagoni facendo saltare l’organizzazione della Quick Step.

Viviani in questo caso è bravo a ritrovare subito la ruota di Fabio Sabatini, che però all’ultima curva decide di infilarsi in una traiettoria che il suo compagno non può seguire.

Il trenino della Quick Step si sfalda un’altra volta ma Viviani non si perde d’animo e battezza la ruota di Sam Bennett.

Negli ultimi 300 metri, Viviani è a ruota del duo Bora quando Mareczko, con a ruota Bonifazio, parte sulla sinistra. Viviani è più veloce di Bennett a spostarsi sulla ruota di Mareczko ed è poi facile per lui superarlo negli ultimi metri. Spicca l’errore del compagno di Bennett che è troppo lento nello spostarsi lungo le transenne lasciando lo spazio per l’infilata di Mareczko.

Nella tappa successiva, con arrivo a Eilat, le cose sembrano andare molto meglio almeno fino all’ultimo chilometro. Stybar guida il treno della Quick Step e Viviani è saldamente a ruota del suo apripista Sabatini. A 1,6 km dal traguardo il trenino della Quick Step sembra ben organizzato. Viviani è in quinta posizione a ruota di Sabatini. Alle sue spalle i due uomini della Education First di Modolo e della Bora di Sam Bennett. Ma pochi metri dopo, ancora una volta Bennett, Modolo e Debusschere riescono a infilarsi fra un disattento Sabatini ed Elia Viviani, che a quel punto non può far altro che arrangiarsi da solo.

Il capitano della Quick Step è ancora una volta bravo nel prendere la ruota di Sacha Modolo, che stava risalendo le posizioni di testa, e poi saltarlo negli ultimi 250 metri per andare a ruota di Bennett e scavalcarlo lungo le transenne. Ai -800, quando Stybar si sposta, Viviani ha già perso la ruota di Sabatini, scavalcato dai Bora di Bennett e dai Lotto-Soudal di Debusschere. A sinistra, un compagno di squadra porta avanti Modolo e Viviani si accoda prontamente. In seconda posizione nel trenino Quick Step, Sabatini chiama l’ammiraglia per sapere dov’è Viviani.

Quando tocca a lui, Sabatini si volta continuamente e non sa come comportarsi. Alla fine non fa nulla e si sposta. A quel punto parte Bennett da dietro anticipando i Lotto, ma Viviani era già pronto alla sua ruota.

Non sarebbe giusto attribuire tutte le responsabilità a Sabatini, ovviamente, ma è chiaro che qualcosa non stia funzionando nel meccanismo della Quick Step e solo la schiacciante superiorità di Viviani rispetto ai diretti avversari ha finora portato alla vittoria la corazzata belga.

Quest’ultimo Giro d’Italia, quindi, ha anche dimostrato che l’assenza di un treno organizzato porta le squadre ad affidarsi quasi del tutto al talento dei suoi uomini migliori, diminuendo il loro margine di controllo sulle gare. E se da un lato questo caos è sinonimo di grande incertezza, dall’altro è anche un fattore di rischio per i velocisti lanciati a oltre 70 km/h. Gli sprinter, oggi, sono sempre di più costretti ad arrangiarsi da soli per uscire fuori da questo caos indenni e, in secondo luogo, a braccia alzate.

Il futuro

Per questi motivi, il prototipo del velocista moderno è Fernando Gaviria, un concentrato di potenza e agilità, di forza fisica e astuzia. Il colombiano viene dalla pista e si è subito ambientato alla grande nel mondo del ciclismo su strada (la Quick Step, ovviamente, non se l'è lasciato sfuggire). L'anno scorso ha dominato le volate al Giro d'Italia, anche quando sembravano perse, vincendo in ogni modo, su ogni arrivo, anche quando c'era da rimontare da dietro.

Gaviria, in maglia Ciclamino, ha perso le ruote dei suoi compagni. Ai 200 metri si trova chiuso dietro a un gruppetto di sette ciclisti lanciati a tutta velocità. Lui si infila in un buco che non esiste e scavalca tutti come se fossero cicloamatori della domenica.

La superiorità di Fernando Gaviria l'anno scorso fu imbarazzante e quest'anno la Quick Step ha deciso di testarlo sulle strade del Tour de France contro i più forti velocisti del mondo.

Ma Gaviria è già oggi un punto di riferimento del ciclismo mondiale. Nel 2016 riuscì a vincere la Parigi-Tours, una classica che si conclude quasi sempre in volata, anticipando tutto il gruppo a 800 metri dal traguardo. Il suo avversario nelle volate del futuro, sarà verosimilmente l'australiano Caleb Ewan, piccolo ma esplosivo, fisicamente l'esatto opposto di Gaviria, come McEwen era l'esatto opposto di Petacchi.

Fernando Gaviria unisce alla sua potenza fisica anche la capacità di sapersi muovere negli spazi, storicamente un tratto tipico dei velocisti più leggeri. È una caratteristica che ha sviluppato correndo su pista, dove non esistono treni e si corre ognun per sé. Imparare a evitare guai nelle caotiche volate su pista, dove le cadute sono all’ordine del giorno, è stato utile a Gaviria una volta passato alla strada per dimenarsi in testa al gruppo, cercando anche nei momenti di difficoltà lo spazio giusto laddove chiunque altro non sognerebbe mai neanche di provare a infilarsi.

In questa naturale evoluzione delle volate nel ciclismo contemporaneo, dominate dal caos e dall’incertezza, le caratteristiche di Gaviria dipingono il ritratto del velocista perfetto. La dimostrazione vivente che il lavoro su pista è tornato ad essere fondamentale per i velocisti del futuro.