Il 25 aprile del 2001 ci lasciava il pilota milanese, l'ultimo azzurro capace di vincere in Formula 1 con una Ferrari, sfiorando anche il Mondiale nel 1985
Michele Alboreto non viene al mondo ricco, non è un 'figlio di papà', ma la sua determinazione e la voglia di emergere sono tali da permettergli di annullare l'handicap finanziario con il duro lavoro, con il sacrificio e con l'impegno. Il ragazzo della periferia milanese ha due caratteristiche fondamentali. La prima è che è una 'gran bella persona' e ha quindi tanti amici che gli vogliono bene e si fanno in quattro per dargli una mano; la seconda è che va forte, molto forte. Ha piede pesante, testa pensante e grinta. Il tutto in quantità inversamente proporzionale ai soldi a disposizione.
Un sogno in regalo - Le vittorie nelle categorie minori fioccano: quel gran signore e mecenate del Conte Zanon le nota e, come aveva già fatto in passato con lo svedese Peterson, decide di "metterci il grano" regalando ad Alboreto il sedile della Tyrrell F1 per il GP di San Marino a Imola nel 1981. Due vittorie con la macchina dello 'zio Ken', il boscaiolo, nel biennio seguente (non risulta che abbia vinto qualcun altro negli anni '80 con la Tyrrell!) gli valgono la chiamata per il 1984 da parte di Enzo Ferrari, che trova finalmente un pilota italiano degno di calarsi nell'abitacolo di una delle macchine che portano il suo nome.
Sul tetto del mondo, o quasi - Aprile 1984, siamo in Belgio a Zolder, la Ferrari da tenere d'occhio porta il 27 sul musetto. Non è un numero qualsiasi, perchè è quello della 'febbre Villeneuve'. E' il weekend della gloria con la pole il sabato ed il trionfo la domenica sulla pista che due anni prima si è portata via Gilles per sempre. Michele Alboreto con il suo casco gialloblu in onore dell'idolo Peterson diventa uno di noi, uno del popolo ferrarista, uno che resterà per sempre nella storia del cavallino. L'anno seguente la macchina di Maranello è di quelle giuste. La 156/85 va forte, ma la McLaren Tag Porsche di Prost fa paura. Alboreto vince in Canada sul circuito intitolato a Villeneuve, quasi a voler entrare ancora più in profondità nel 'cuore rosso', e poi raddoppia in Germania. A due terzi di campionato è in testa al Mondiale. E' un grande sogno, forse troppo bello. Il risveglio infatti è nella nuvola di fumo delle turbine che si sbriciolano nella parte decisiva del campionato. Il Mondiale, lì a portata di mano, scappa via.
Passione infinita - Dopo i cinque anni in rosso ed il purgatorio delle scuderie minori, il secondo treno per il successo passa nel '96 quando Alboreto riscopre le ruote coperte, quelle dell'endurance (oggi rinato nel WEC). Si accasa con lo storico team Joest che fa correre le barchette TWR-Porsche e con il binomio anglo-tedesco trionfa alla 24h di Le Mans nel '97 dividendo l'abitacolo con l'ex compagno di squadra in Ferrari Johansson ed il re della Sartre Kristensen. Alla maratona francese aggiunge poi anche la prestigiosa 12h di Sebring con l'Audi che aveva assorbito il team Joest per entrare alla grande nelle corse di durata.
Lo spirito di un ragazzino - Ormai le corse di durata lo assorbono totalmente, quasi avesse ritrovato l'entusiasmo degli anni della Formula Italia e dello squadrone Lancia Endurance, di quando era un ragazzo che cercava di farsi strada. Il suo talento e la grande esperienza lo fanno diventare ben presto un punto di riferimento anche per il colosso Audi, che si affida spesso alla sua sensibilità di guida per gli sviluppi. Ed è proprio al volante della R8 - durante uno di quei test oscuri - che qualcosa va storto. Siamo al Lausitzring, la stessa pista che proietterà Alex Zanardi in una nuova dimensione di lì a qualche mese.
Il 25 Aprile di quindi anni fa - E' un mercoledì di festa in Italia, non così in Germania e infatti Audi Sport sta macinando chilometri in vista di Le Mans. Il guasto maledetto, quello subdolo è lì in agguato da qualche parte. Una gomma si sgonfia progressivamente, il fondo piatto della barchetta prende aria diventando portante e la macchina decolla a oltre 300 all'ora. Michele Alboreto se ne va così a 44 anni, in un giorno di festa, lontano dal pubblico e dalle telecamere come Alberto Ascari il campionissimo degli anni '50. E' stato l'ultimo italiano a vincere un GP su una Ferrari. Era un gran manico e una persona per bene.