Jim Clark Junior, come molti suoi coetanei, non sarebbe dovuto diventare un pilota. Ed invece grazie al suo talento, alla caparbietà e ad alcuni amici è diventato uno dei più grandi della storia della Formula 1. Ecco la storia di un campione in anticipo sui tempi, capace di record tutt’oggi imbattuti che se ne andava 50 anni fa tra gli alberi di Hockenheim
GP GERMANIA, LE QUALIFICHE IN DIRETTA
Se capitate dalle parti di Hockenheim anche non nel periodo del Gran Premio di Germania andate a vedere il circuito. La pista, quella nuova, in sè non è particolarmente evocativa proprio perchè cambiata e per molti deturpata dal 2002. Per chi ricorda o ha sentito nominare il vecchio circuito però vale la pena fare quattro passi fuori dalle recinzioni della pista nuova. Lì, dove un tempo c’erano i vecchi rettilinei del velocissimo Hockenheimring, adesso ci sono dei sentieri nel bosco percorribili a piedi e in bicicletta. In mezzo a quegli alberi correvano le vecchie Formula 1, in mezzo a quegli alberi si sfrecciava e si rischiava, quando ancora i guard rail non erano in voga, in mezzo a quegli alberi ha corso, per l’ultima volta il leggendario Jim Clark. E in mezzo a quegli alberi c’è ancora un piccolo giardinetto di ghiaia e fiori con delle lapidi che lo ricordano e che ricordano che il 7 aprile 1968 proprio tra quei tronchi e quelle folte chiome la sua Lotus si è schiantata in una gara minore di Formula 2.
Già Formula 2 perchè il più grande pilota della sua epoca e uno dei più grandi di tutti i tempi, due volte campione mondiale, stava correndo una gara di Formula 2. Perchè ai suoi tempi piloti gareggiavano un po’ tutti i fine settimana e in ogni categoria possibile; per il piacere di correre, perchè amavano guidare e perchè, specie nelle formule minori, trovavano il tempo per fare quasi una vacanza ma anche, e soprattutto, perchè venivano pagati. E in un epoca, gli anni ’60, in cui gli ingaggi non erano nemmeno lontanamente paragonabili a quelli di oggi anche per i campioni, si poteva fare una bella differenza.
Ma come ci era arrivato Jim Clark in Formula 1 e poi a correre nella Formula 2 tedesca, seconda gara del campionato europeo di categoria?
Ci era arrivato partendo da una fattoria in Scozia al confine con l’Inghilterra. Negli ampi spazi delle colline scozzesi, tra greggi di pecore di razza, il giovane Jim junior cominciò ad usare, in gran segreto, l’auto di famiglia. I genitori non concepivano minimamente che i veicoli a motore potessero essere usati per altro che per spostarsi di paese in paese o per lavorare nei campi. Ma l’adolescente Jim trasferitosi in una scuola privata ad Edimburgo a 13 anni, legge le riviste di motori. Legge di corse epiche, legge di un mondiale di Formula 1 che nasce in quegli anni e sotto i suoi occhi. Legge delle Alfa Romeo che vincono il primo titolo, legge della Ferrari ma anche delle case inglesi, BRM e Cooper, e si innamora perdutamente del motorsport. A 17 anni, quando ormai lavora a tempo pieno nella fattoria, prende la patente ma nel frattempo ha vinto le perplessità del padre ed è stato autorizzato, già da qualche anno, a guidare i mezzi a motore di famiglia, auto e trattori, nei confini della proprietà.
A quel punto si compra, come auto personale, una Sunbeam-Talbot con cui comincia a competere in qualche gara locale. Stavolta di nascosto dalla famiglia per la cui mentalità i mezzi a motore, tutti, devono solo essere utili e non servono certo per pericolose frivolezze come le competizioni automobilistiche.
Per sua fortuna una ristretta cerchia di amici con una discreta disponibilità di denaro lo finanzia e Jim Clark Junior comincia a correre con una certa continuità e a vincere. E scopre che gareggiare e vincere gli piace tanto quanto non gli piacciono la fama, la notorietà, ancora comunque a livello locale, e l’essere al centro dell’attenzione. E non gli piace correre contro il volere della famiglia.
Nel 1958 viene messo su una Lotus Elite Coupé per correre a Brands Hatch. Corre e impressiona il vincitore di quella corsa che risponde al nome completo di Anthony Colin Bruce Chapman, per tutti semplicemente Colin Chapman e per tutti il fondatore della Lotus.
Chapman lo vuole nel team junior della Lotus per farlo crescere e così accade. Ma Clark non ha bisogno di tanto tempo per fare esperienza: già nel 1960 viene promosso nel team Lotus ufficiale per la seconda parte del mondiale di Formula 1. Esordisce in Olanda nella quarta gara della stagione con un ritiro. Poi si va a Spa in quello che resterà probabilmente il peggior fine settimana della storia del suo team: nelle fasi iniziali della gara Chris Bristow, con la Cooper, va a sbattere e muore sul colpo, Clark riesce per un soffio ad evitare il corpo orrendamente mutilato che giace sull’asfalto ma la sua macchina ne esce coperta di sangue.
Qualche giro dopo il compagno di squadra e amico di Clark, Alan Stacey, viene colpito in faccia da un uccello esce di strada e muore. Jim pensa anche al ritiro ma decide di continuare e decide che con Spa, con le sue terribili curve, ha un conto aperto.
Ed infatti proprio a Spa, due anni più tardi, arriva il suo primo successo in Formula 1. Sarà anche il primo dei quattro consecutivi in Belgio. La sua personale vendetta contro una pista che aveva deciso di portargli via un amico.
Ma nel frattempo un altro episodio lo segnerà profondamente: Monza 10 settembre 1961. Von Trips vola tra le tribune uccidendo 14 persone e morendo sul colpo. In quell’incidente è coinvolto, seppure incolpevole e illeso, anche Clark. Che medita nuovamente il ritiro. Ma ancora una volta la sua vendetta contro una pista che lo ha ferito nel profondo arriverà con una vittoria. Due stagioni dopo nell’anno del suo primo titolo il 1963.
Un anno straordinario in cui lo scozzese vince sette gare su 10 e il titolo mondiale con largo anticipo tanto da non partecipare, anche perchè solo i migliori sei risultati erano considerati validi per la classifica, alle ultime due gare in stagione. Clark sbaglia solo a Monaco, per il resto in tutte le altre gare è sul podio. Peggio risultato terzo negli Stati Uniti a Watkins Glen.
Monaco però resta un tabù per due motivi: il primo è che non è una pista per lui al punto che non salirà mai nemmeno sul podio e il secondo è che in quegli anni il suo rivale, e poi grande amico, è un certo Graham Hill che nel principato trionferà 5 volte di cui tre consecutive dal ’63 al ’65.
Già amico; i due lo sono davvero. Non è infrequente in quegli anni in cui i piloti viaggiano anche con le famiglie al seguito, non sono blindati nei loro motorhome e spesso, tra una gara e l’altra fanno vacanza insieme cementando rapporti, e restando uniti “nella buona e nella cattiva sorte”. Del resto si sentono una famiglia del motorsport. Così nascono i tre moschettieri dell’automobilismo britannico, Clark, Hill e Stewart. Rivali in pista ma amici sinceri fuori.
Completamente diversi per carattere e modi di fare: istrionico, estroso e capace di incantare i giornalisti con i suoi baffetti alla David Niven Graham Hill, onesto, sincero e pronto alla battuta Jackie Stewart, riservato e poco amante delle folle e del successo Jim Clark. Ma sempre amici. Soprattutto Clark e Hill. In anni in cui se le danno di santa ragione in pista, in cui Clark vince due titoli e Hill altri due, in anni in cui però lo scozzese dimostra di essere un pilota fuori dal comune con numeri incredibili a testimoniarlo.
Jim Clark è il primo pilota nella storia a centrare 25 vittorie in Formula 1, le sue 33 pole position, con una media seconda solo a quella di Fangio che però correva in un’epoca decisamente pionieristica, verranno battute solo da un certo Ayrton Senna nel 1989, 21 anni dopo la sua scomparsa.
E Clark detiene ancora un record assoluto: quello di Gran Chelem ovvero di gare in cui ha conquistato pole position, vittoria, giro più veloce ed è stato in testa dall’inizio alla fine. Ne ha fatti segnare 8; Ascari, Schumacher ed Hamilton seguono (statistiche aggiornate al GP di Gran Bretagna 2018) a quota 5.
I suoi numeri, a 50 anni dalla morte, certificano la sua modernità ed il perchè in tanti lo considerino uno dei più grandi piloti della storia nonostante i “soli” due titoli mondiali. Difficile dire se ne avrebbe vinti altri se fosse sopravvissuto a quella gara di Formula 2 del 7 aprile 1968. Possibile, probabile, comunque irrilevante per definirne la grandezza.
Ma torniamo proprio a quella grigia, piovosa giornata di Aprile di 50 anni fa. Clark non ha fatto bene nelle qualifiche in griglia è solo settimo. Per lui, detentore, si diceva, del record di pole in Formula 1 è una mezza sconfitta. E per di più in una gara “minore” si ma con una lista partenti impressionante: Beltoise, Regazzoni, Bell, Courage, Amon e il suo amico Graham Hill.
Al quinto giro della prima delle due manche la Lotus 48 di Clark sterza bruscamente lasciando la pista e infilandosi a piena velocità tra gli alberi. Lo scozzese muore sul colpo. La scena dell’incidente è impressionante con i rottami della monoposto sparsi per decine di metri: Graham Hill accorre immediatamente e si aggira tra i rottami incredulo. Incapace di accettare che Clark non ci sia più ma ancora più incapace di accettare che un talento cristallino, che mai commetteva errori, possa aver fatto uno sbaglio così enorme.
Ed infatti dopo settimane di indagini con investigatori esperti in incidenti aerei le conclusioni porteranno ad una probabile foratura di una gomma posteriore o ad un altro problema meccanico. Qualcuno racconta che uno spettatore avrebbe attraversato la pista durante la gara e che per evitarlo Clark sarebbe finito tra gli alberi. Pare si tratti di una leggenda che però spiega come fosse impossibile, all’epoca, accettare l’idea di un errore dell’infallibile Clark.
Sarebbe potuto succedere di tutto, di tutto ma non uno sbaglio. Non uno sbaglio di Clark per giunta. Quello no, decisamente non era da Jim Clark Junior il più grande pilota della propria epoca uno dei più grandi di tutti i tempi.