Oscar Piastri mi ricorda il giovane Kimi Raikkonen

Forse aveva ragione chi sosteneva che dietro una grande storia c’è sempre un piccolo mistero, magari piccolo, ma pur sempre mistero. Ergo, eccoci qua. Anzi, là: al 2 agosto del 2022. Quando, da un lussuoso ufficio parigino, viene diramato il seguente comunicato: "Dopo quattro anni come parte della famiglia Renault e Alpine, il pilota di riserva Oscar Piastri è stato promosso al fianco di Esteban Ocon a partire dal 2023". La cosa aveva francamente una sua logica: l’australiano, classe 2001, aveva vinto in 3 anni consecutivi prima la Formula Renault , poi la Formula 3 e quindi la Formula 2 . Allievo modello della Grandeur francese al servizio dell’automobilismo. Solo che… Solo che era tutto a posto ma niente in ordine. Giovane abituato a parlare attraverso eloquenti silenzi , Oscar aveva idee diversissime sul futuro. Forte di un contratto che evidentemente aveva letto meglio del datore di lavoro transalpino, nel giro di un’ora, tramite lapidario tweet, Piastri fece sapere che il suo avvenire stava altrove. In McLaren, per la precisione. Si narra che la bizzarra vicenda, risolta legalmente a favore del pilota da una pronuncia della Fia, abbia, ohibò, indirettamente contribuito a riportare Flavio Briatore nei box dei Gran Premi. Segue spiegazione: Luca De Meo, italianissimo amministratore delegato del gruppo Renault, prese talmente male la fuga di Piastri, talento svezzato in casa, da spingersi a recuperare l’ex geometra di Cuneo, il manager che in un’altra vita ha vinto mondiali con Michael Schumacher e con Fernando Alonso. Domanda con risposta incorporata: c’è in giro qualcuno disposto a credere che Flavione si sarebbe fatto sfilare Piastri da sotto il naso? Ma figuriamoci... Dopo di che, mai fermarsi al prologo di un romanzo. Perché Oscar se ne va armi e bagagli in McLaren. Cioè in un team che all’epoca, 2023, non toccava palla da una vita. E dove, per giunta, in previsione di una ipotetica rinascita tutto pareva apparecchiato per Lando Norris, fedele alla causa Papaya da anni. Cosa sia accaduto poi, cioè cosa stia accadendo in tempo reale, è sotto gli occhi di tutti. Piastri viene dagli spazi sconfinati dell’Oceania, viene da Down Under, un Papa amatissimo avrebbe detto che arriva quasi dalla fine del mondo. E insomma sì, Oscar se ne frega del contesto, del gossip, dello show business. Si esprime il minimo indispensabile, rifiuta garbatamente il ruolo del piacione, comunica ruvidamente attraverso la sostanza delle cose. Lo dico? Lo scrivo: a me, per indole e per talento, Piastri fa venire in mente il Kimi Raikkonen giovane. Quello che tra McLaren e poi in Ferrari realizzò una silenziosa rivoluzione. Il finlandese rispondeva “bwoah” alle domande che trovava superflue e rasentò i confini della leggenda quando, al giovane Hamilton che definiva in conferenza stampa la sua prima vittoria “meglio del sesso”, ecco, sì, KR7 esclamò “allora tu non hai mai fatto sesso…”. Buona lì: i paragoni tra campioni di ere distinte e distanti valgono fino ad un certo punto, okay. Di sicuro, Piastri è cresciuto in modo esponenziale. Nel 2023 vinse una Sprint Race in Qatar. Nel 2024 ha rotto il ghiaccio nei Gran Premi veri e propri, imponendosi a Budapest e a Baku. Se la McLaren ha festeggiato il titolo costruttori dopo oltre un quarto di secolo, il merito è stato anche suo. Non solo di Norris. Norris, già. Il fratello coltello. Il collega di lavoro che, come vuole la prassi, è in realtà il primo rivale. A maggior ragione in questo 2025, che sta fin qui premiando la netta supremazia tecnologica della McLaren. Fin qui, appunto, su cinque gare l’australiano ne ha vinte tre. Su cinque gare, Piastri mai ha manifestato il benché minimo timore reverenziale nei confronti di Max Verstappen, che invece turba i sonni di un Norris che da Lando, all’anagrafe, sta trasformandosi in… Blando. Sono due i piloti australiani laureatisi campioni del mondo di F1. Uno era Jack Brabham, l’altro Alan Jones. Oscar Piastri sarà il terzo, scommettiamo?

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Leo Turrini