1975-2025: il fil rouge che lega la Ferrari e Monza

Il 7 settembre 1975 Monza non era semplicemente un autodromo, il mitico tempio della velocità: era diventato il luogo di una delle più grandi feste popolari. Quando Clay Regazzoni tagliò il traguardo davanti a tutti, il pubblico invase il rettilineo come un fiume in piena. Niki Lauda, con il suo casco rosso e il sorriso appena accennato, sapeva che quel giorno non si celebrava solo la vittoria Ferrari, ma la fine di un’astinenza lunga undici anni: il titolo Mondiale tornava a Maranello e lui metteva a segno il suo primo di tre. Chi c’era ricorda ancora la corsa della folla, la gente che saltava le barriere per toccare le fiancate rosse, come se quelle macchine fossero reliquie sacre e portava a casa quel che riusciva a staccare dei cartelloni come un ricordo indelebile di una giornata indimenticabile. Ferrari, Lauda, Regazzoni: era una trinità di passione, razionalità e coraggio che ridiede all’Italia un simbolo di orgoglio. Cinquant’anni dopo, Monza è ancora il cuore pulsante di un sogno anche se ha i risvolti dell'incubo. I protagonisti sono Charles Leclerc, il predestinato con il cuore monegasco ma il sangue tinto di rosso. Il sorpasso a Russell fatto con il cuore. Una Ferrari non alla sua altezza troppo spesso, lui che ha già preso nel cuore dei tifosi un posto scolpito con l’emozione, come Villeneuve, Berger e Alesi che non hanno vinto il Mondiale, anzi hanno vinto poco, ma che hanno acceso il cuore rosso. Oggi alla corte di Maranello c’è Lewis Hamilton, l’uomo che ha riscritto la storia della Formula 1 grazie a quel legame invisibile o meno che porta dritto a quel giorno del 1975 e al suo protagonista principale: Niki Lauda. Perché senza Lauda, forse non ci sarebbe l'Hamilton che conosciamo. Era il 2012 quando Niki, già dirigente Mercedes, bussò alla porta di Lewis. Hamilton era indeciso: restare alla McLaren, squadra con cui aveva vinto il suo primo titolo, o lanciarsi in un’avventura che pareva azzardata? Lauda, con la sua franchezza austriaca, gli disse: “Se vuoi davvero essere grande, devi avere il coraggio di cambiare. Vieni con noi, e ti darò la macchina per diventare leggenda”. Hamilton spesso racconta di quella telefonata: Niki che lo chiamava a ogni ora, anche la sera tardi, quasi a ‘perseguitarlo’ fino a convincerlo. Quell’incontro cambiò il destino di entrambi: la Mercedes costruì un’era d’oro, e Lewis divenne il sette volte campione del mondo che tutti conosciamo. Dopo la morte di Lauda, nel 2019, Hamilton confessò: “Senza di lui non sarei qui. Era il mio angelo custode nel paddock.” Ed eccoci al presente. Hamilton in rosso, quasi a chiudere un cerchio con il passato. Leclerc e Hamilton: due anime diverse, ma complementari. Charles rappresenta un futuro che rischia di invecchiare in fretta e male, lui scalpita, il talento nato e cresciuto con il Cavallino nel cuore, che corre non solo per vincere ma anche per onorare la memoria di chi lo ha accompagnato nei primi passi. Lewis porta invece l’esperienza, la calma, la consapevolezza del campione che cerca l’ultimo grande capitolo, quello che può trasformare la sua carriera in leggenda assoluta. Monza, allora, non è più soltanto il palcoscenico di una gara. È un ponte tra epoche: il 1975 di Lauda, la telefonata del 2012, e il 2025 che potrebbe segnare un nuovo inizio. Cinquant’anni di storia, di sconfitte, di speranze, che potrebbero sciogliersi in un unico, grandissimo abbraccio rosso sotto il podio. Perché la Ferrari non è mai stata soltanto una macchina. È un sentimento, un colore, un battito. Ed è destino che, proprio a Monza, questo amore infinito trovi sempre il modo di rinascere.

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Carlo Vanzini