Addio a de Adamich, l'uomo che ci ha insegnato a guidare

Andrea de Adamich, per un lungo e floridissimo periodo della storia della televisione era l’automobile, come Nico Cereghini era - ed é ancora - la moto, Mike Bongiorno il quiz, Ambrogio Fogar l’avventura. Era una generazione così, che di talent - come li chiamiamo adesso - te ne offriva pochissimi, ma solidi e molto credibili. Per farli diventare dei riferimenti. De Adamich, che era stato un eccellente pilota, più fortunato con i prototipi e le Gran Turismo che con la Formula 1, saltò sul treno televisivo all’inizio della corsa di Mediaset e lì rimase per decenni aprendo la seconda era della sua vita. Erano gli anni Ottanta, il mondo dell’automobile voltava pagina, vivendo un periodo di immagine e di sviluppo tecnico impressionanti. De Adamich guidava ogni modello e si presentava puntuale nel weekend all’ora di pranzo quando girava la sigla di GrandPrix. Chiedete a qualunque millenial che razza di rito fosse quella trasmissione piena di motori raccontati in tutti i modi. “Parapapà, parapapà, parapapaaaa…” Le note di Augusto Martelli, che hanno identificato per un’eternità tutto ciò che su Mediaset avesse un motore, dicevano che di lì a poco avremmo visto De Adamich al volante di qualcosa e che sarebbe stato bellissimo ascoltarlo. Andrea aveva una grandissima qualità che era quella di saper semplificare. Le sue erano spiegazioni di un esperto sì, ma per tutti. Gli piaceva chiedersi chi ci fosse dall’altra parte del teleschermo e parlare una lingua che si rivolgesse a tutte le generazioni e a tutti i livelli di competenza. Alla tv servivano dei divulgatori e non dei tromboni noiosi. De Adamich quella cosa lì ce l’aveva dentro e sapeva farla funzionare. E poi era versatile davvero, come dimostrò quando diventò la voce tecnica della Formula 1 nelle telecronache accanto a Guido Schittone. Passare da filmati registrati di prove auto a lunghe dirette con seguito di massa non era così scontato. Funzionò molto bene anche lì. Lui e Guido Schittone erano una coppia che da subito si rivelò carburatissima. De Adamich adorava quelle dirette, a noi raccontava che lo facevano sentire in qualche modo ancora un po’ pilota. Aveva sposato la tv, aveva sposato Mediaset, come nel mondo dell’automobile aveva sposato l’Alfa Romeo e la Ferrari con cui, quando le cose in F1 non funzionavano come avrebbe voluto la sua parte appassionata, si arrabbiava - anche in onda - più per affetto che per delusione. In redazione si vivevano discussioni lunghissime e umanissime che magari finivano con una gita al parcheggio “a vedere la macchina di Andrea”. Le auto più belle di Alfa e Ferrari passavano sempre in uso per le sue mani. Le portava lì, ce le raccontava, in qualche raro caso ce le faceva guidare con lui seduto accanto a bacchettare. Viaggiava da Varano a Milano con una frequenza assurda. Anche tutti i giorni. Perché a Varano aveva la famiglia, i figli e l’altra sua straordinaria creatura professionale. Il Centro di guida sicura. Le prove auto televisive, che davano peso alla sua immagine, e il passato da pilota di Andrea avevano innescato e alimentato un meccanismo perfetto. De Adamich pensava che non si imparasse realmente a guidare conoscendo i segnali stradali ed effettuando delle svolte a venti all’ora. Pensava invece che, per la sicurezza di tutti, un guidatore dovesse avere delle competenze che solo un corso serio tenuto da piloti avrebbe potuto dare. “Una macchina che va dritta - diceva - sanno guidarla tutti. Io vorrei che la gente sapesse cosa fare quando sbaglia una curva o trova una lastra di ghiaccio all’improvviso”. La pista di Varano divenne il suo quartier generale e l’impresa, supportata dall’Alfa Romeo che ne fece il proprio centro di guida sicura, decollò. De Adamich ci aveva visto lunghissimo anche come imprenditore. Non riesco a dimenticare quando una decina di anni fa decise di portarmi a bordo di una Abarth 500 a fare un giro di pista per mostrarmi i lavori di ristrutturazione dell’impianto appena conclusi. Nonostante Andrea avesse già superato i settant’anni da un po’, non vidi nessun lavoro di ristrutturazione. Fu semplicemente un hot lap, con il motore, le gomme e i freni che urlavano mentre infilava quella bombetta in traiettorie perfette. Proprio come uno che non ha mai smesso di essere un pilota. Il Centro di Guida sicura é ancora lì, diretto da Gordon, figlio di Andrea, ed è strano e triste pensare che tra le curve, il piazzale e gli uffici, a piedi o al volante, non ci sia più il suo geniale e vulcanico fondatore. Andrea, tra i mille impegni che aveva a Varano inseriva piccole fughe nel suo capannone. Suo e solo suo. In quel luogo magico, come in un museo, le auto della sua vita, persino qualche Formula1 e un’infilata di Moto Guzzi v7 perché alla fine “purché abbia un motore, a me piace tutto, ma la Guzzi…” Ecco, anche a noi dei motori piace tutto, ma Andrea… Come un papà, uno zio professionale che andava forte, dal quale abbiamo imparato moltissimo e non soltanto al volante.

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Addio a de Adamich, l'uomo che ci ha insegnato a guidare

Guido Meda